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giovedì 30 maggio 2013

ORA E' UFFICIALE L'IVA SI ALZERÀ E BERLUSCONI PERDERÀ VOTI

Ora è ufficiale: l'Iva si alzerà E Berlusconi perderà voti 

Saccomanni conferma la stangata. Il provvedimento colpirà soprattutto l'elettoratto azzurro. Se punta solo sull'Imu, cala il consenso del Cav 
Lasciate ogni speranza o voi che comprate (poco). Il ministro dell’Economia e Finanze Fabrizio Saccomanni è stato esplicito: l’aumento dell’Iva scatterà a luglio portando l’Italia al poco invidiabile record del 22% come aliquota imposta su circa il 70% delle merci e dei servizi. Stupisce che il Pdl non si renda conto della relazione inversamente proporzionale che lega i propri consensi al peso delle tasse. Più aumentano le seconde più diminuiscono i primi. Ma il Pdl è in questo recidivo. (...)
Come spiega Carlo Cambi su Libero di giovedì 30 maggio, ci sono brutte notizie in arrivo per gli italiani. Ora è ufficiale: l'Iva si alzerà. Il ministro dell'Economia Saccomanni conferma: "A luglio avremo un'aliquota del 22% sul 70% delle merci e dei servizi". Il provvedimento colpirà soprattutto l'elettorato azzurro. Silvio Berlusconi ha legato tutto alla riduzione delle tasee ma se punta solo sull'abolizione dell'Imu, Silvio Berlusconi perderà voti ed è fortemente a rischio la tenuta del governo. Se il Pdl non dovesse incassare il risultato, se l'Iva dovesse davvero aumentare, non è escluso che gli azzurri pensino di sfilarsi da un governo tassatore che rende impossibile il mantenimento delle promesse della campagna elttorale.

SANTORO E TRAVAGLIO SI INCATENANO PER PROTESTA

Ciancimino Jr arrestato, Santoro e Travaglio si incatenano per protesta 

Massimo Ciancimino è stato arrestato su ordine del gip di Bologna con l’accusa di associazione a delinquere ed evasione fiscale. Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo, è stato portato al carcere Pagliarelli del capoluogo siciliano. L’operazione ha portato a 13 ordinanze di custodia cautelare, di cui nove in carcere e quattro ai domiciliari nei confronti dei componenti di un sodalizio criminoso accusato di frode fiscale nel settore della commercializzazione di metalli ferrosi.
Avvistati davanti al carcere Santoro, Travaglio e Ruotolo. Sono pronti a incatenarsi per difendere il loro amico che tante volte hanno osannato a uomo chiave e testimone perfetto su stragismo e trattativa. Ciancimino Jr è stato protagonista di tantissime interviste in cui metteva in mezzo il Cav, vero obiettivo dei processi mediatici del trio dell’antiberlusconismo militante.
E che dire di Ingroia che ha fatto di questo personaggio (ora riarrestato ma plurindagato anche da altre procure) un eroe, il pentito più buono del mondo? Quanto ci è costato ascoltare e perdere tempo dietro a questo individuo?
Chiederanno mai scusa questi fenomeni che pur di accusare B. hanno idolatrato un delinquente?

GLI ITALIANI COSTANO TROPPO E SONO POCO PRODUTTIVI LA FORMERO

«Gli italiani? Costano troppo e sono poco produttivi»

Torna a parlare Elsa Fornero: «Mi hanno lasciata sola». Gli esodati? «Sanzioni per i vertici Inps»
È un’Elsa Fornero che si esprime a tutto tondo, con spunti critici ma anche di mea culpa, quella che parla della sua esperienza al dicastero dell’Economia durante il Governo Monti su Class CNBC e Class TV. «Nonostante il grande carico di sofferenza sento ancora l’orgoglio di essere appartenuta al governo Monti», dice l’ex ministro che non lesina critiche: «Se mi chiede se mi hanno lasciata da sola, non posso certamente dire il contrario, era facile criticare un governo senza appartenenza politica, Mario Monti era molto impegnato come tutti noi. Abbiamo scontato nel nostro operato assenza di risorse e credo che anche l’attuale governo avrà i medesimi problemi». Per quanto riguarda la riforma del lavoro, «sono d’accordo con il ministro Giovannini che vada modificata, nessuna norma nasce perfetta, si fanno esperimenti».

      E sugli esodati? «L’Inps non ha alcun diritto di rispondere in modo soggettivo su questo tema. Se una persona è stata riconosciuta come salvaguardata non c’è nessuno, nemmeno ai vertici, che possa dare un’opinione diversa. Se non si adegua ritengo debbano esserci delle sanzioni», ha continuato la Fornero, che ammette come quella degli esodati non sia una situazione che aveva previsto e di cui possa dire di andare orgogliosa. «Abbiamo salvaguardato 130 mila esodati, su tutti gli altri non mi posso esprimere, spero che il nuovo governo trovi la copertura finanziaria». Un commento anche sull’ipotesi di accorciare il tempo di rinnovo dei contratti a tempo determinato: «Non credo sia un buon servizio né al lavoratore né all’impresa, non aiuta la produttività». Infine, una considerazione generale sui lavoratori italiani: «Costano troppo e sono poco produttivi», ha affermato l’ex ministro.
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PENSIONI LE INDICAZIONI DELL'EUROPA SERVE UN REGIME MULTIPILASTRO

Pensioni, le indicazioni dell'Europa: serve un regime multipilastro 

Il Parlamento Europeo auspica l'attuazione di un regime pensionistico diversificato tra pubblico e privato.
La crisi economica, sommata all'inevitabile progressivo invecchiamento della popolazione, mette a repentaglio la tenuta del sistema previdenziale. E questo, ovviamente, non vale solo per l'Italia: il capitolo pensioni è in cima alle priorità anche del'Unione Europea.
Mentre il governo Letta, in patria, sta studiando una nuova riforma nella direzione di una maggiore flessibilità, Strasburgo detta le linee guida per il settore: l'indicazione è di diversificare i regimi pensionistici, tra sistema pubblico, pensioni complementari derivanti da accordi collettivi e soluzioni di risparmio privato, offerte da enti e compagnie di assicurazione.
In una risoluzione appena approvata, gli eurodeputati invitano gli stati membri a introdurre o mantenere sistemi pensionistici diversificati ed integrati.
In risposta al Libro bianco della Commissione del febbraio 2012, i deputati sostengono l'idea di un "sistema multipilastro": una struttura costituita da una combinazione di pensioni pubbliche nel primo pilastro, da pensioni complementari derivanti da accordi collettivi a livello nazionale o risultanti dalla legislazione nazionale nel secondo, e dal risparmio privato nel terzo pilastro.
Questo, sottolineano, fermo restando la priorità alla salvaguardia delle pensioni pubbliche, che "assicurano un livello di vita dignitoso per tutti". Nella risoluzione, i deputati deplorano in particolare "i forti tagli operati nei paesi più colpiti dalla crisi economica, a causa dei quali molti pensionati si trovano ora in una situazione di povertà o sono a rischio di povertà".
Infine, l'indicazione a creare contemporaneamente più occupazione: "per finanziare pensioni adeguate, sicure e sostenibili - afferma la risoluzione del Parlamento - è necessario aumentare il tasso di occupazione, ad esempio eliminando gradualmente i regimi di prepensionamento o consentendo alle persone di lavorare oltre l'età legale di pensionamento, se lo desiderano".

LETTA INCALZA I PARTITI RIFORME ENTRO 18 MESI

Letta incalza i partiti «Riforme entro 18 mesi» 

Ce la mette tutta, Enrico Letta, quando sprona i partiti spiegando che «questa è un’occasione unica per le riforme» e che «l’astensionismo alle comunali è un segnale che la politica non può più permettersi di ignorare». Ma la verità è che dopo quanto visto ieri in Parlamento, la strada per modificare la seconda parte della Costituzione sembra essersi fatta terribilmente in salita. Tra compromessi al ribasso e spaccature nei partiti di maggioranza, infatti, l’idea che nei 18 mesi fissati dal premier come «dead line» per le riforme si arrivi a un accordo univoco su riduzione dei parlamentari, addio al bicameralismo perfetto, potenziamento dei poteri del premier e nuova legge elettorale, appare quantomeno utopistica.
Ieri, nelle due Camere, era il giorno della presentazione delle mozioni per avviare il processo riformativo. Alla base del documento elaborato dagli «sherpa» di Pd, Pdl e centristi, la composizione della commissione di 40 «saggi» che dovrà elaborare il piano di modifiche costituzionali e sottoporlo al voto del Parlamento e al referendum popolare. Nessun accenno ai contenuti, insomma. Per adesso l’unico accordo faticosamente trovato è quello sul metodo.
In particolare, la mozione approvata a larga maggioranza sia dalla Camera che dal Senato impegna il governo a presentare al Parlamento, entro fine giugno, un disegno di legge costituzionale che preveda una procedura straordinaria per le modifiche costituzionali rispetto a quella stabilita dall’articolo 138 della Carta. In particolare, il ddl dovrà istituire un comitato, composto da 20 senatori e 20 deputati (scelti proporzionalmente basandosi sui voti conseguiti alle elezioni e non sui seggi, come richiesto dal Pdl). Il comitato sarà presieduto dai presidenti delle commissioni per le Riforme. Inoltre si sono stabiliti gli iter legislativi che dovranno seguire i provvedimenti delle Commissioni, che passeranno sì in Parlamento e saranno aperti agli emendamenti, ma dovranno al tempo stesso contenere meccanismi per garantire la conclusione del percorso in 18 mesi. Infine, si è deciso di non indicare ancora nessuna modifica alla legge elettorale, che andrà cambiata solo nel contesto più ampio della riforma costituzionale.
«Siamo chiamati a dare seguito all’impegno che abbiamo preso col Capo dello Stato», ha esordito Letta nel discorso al Senato. «C’è un drammatico distacco dei cittadini dalla politica - ha continuato - e il segnale che i cittadini italiani hanno dato è inequivocabile. Questa è un’occasione unica per fare le riforme e non va perduta». «Questo Paese - ha sottolineato il premier - non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere. Abbiamo la più bella Costituzione, ma dobbiamo cambiarla perché oggi rispetto alle esigenze della nostra società abbiamo bisogno di istituzioni che decidono più democraticamente e rapidamente».
Ma il presidente del Consiglio ci tiene innanzitutto a porre dei paletti temporali: «Qui non può cominicare un percorso dai tempi indefiniti, sarebbe la cosa peggiore che potremmo fare. Entro 18 mesi deve terminare tutto l’iter complesso». E se così non fosse «ne trarremo le conseguenze» ammonisce Letta, lasciando intendere che un fallimento significherebbe la fine del governo.
Ma sulla tempistica arriva già il distinguo del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, per il quale «i 18 mesi decorreranno da quando il ddl costituzionale del governo sarà approvato dal Parlamento, quindi presumibilmente a fine settembre». In realtà, trattandosi di un provvedimento che modifica la Carta, il disegno di legge del governo dovrà affrontare l’iter della doppia «navetta» Camera-Senato a distanza di tre mesi. E quindi i tempi si potrebbero allungare ulteriormente.
Quando basta, con una situazione politica così instabile, per far passare ancora invano il treno delle riforme. È il rischio denunciato da 43 parlamentari del Pd che, pur dando parere favorevole alla mozione di maggioranza, ne portano alla luce i punti critici. Il documento reca la firma, tra gli altri, di Rosy Bindi, Pippo Civati, Laura Puppato e di alcuni prodiani e renziani. Vi si sottolineano, in particolare, le perplessità sulla «deroga alla procedura di revisione costituzionale» che «rappresenta un oggettivo problema e un pericoloso precedente» e, soprattutto, sul pericolo che il superamento del Porcellum venga rinviato «sine die», «in aperta contraddizione col solenne impegno da tutti proclamato per la sua cancellazione».

PD SI DIVIDE LA CAMERA BOCCIA RITORNO AL MATTARELLUM

Legge elettorale, Pd si divide. La Camera boccia ritorno al Mattarellum 

Respinta la mozione del deputato Pd Giachetti che aveva chiesto l'abolizione immediata del Porcellum con conseguente ritorno al sistema precedente. Al Senato è passata la mozione della maggioranza sulle riforme: entro giugno ddl su revisione della Costituzione
camera
ROMA - Sul fronte della riforma della legge elettorale, con 415 voti contrari e 139 voti a favore la Camera ha respinto ieri sera la mozione del deputato Pd renziano Roberto Giachetti che impegnava ad abrogare subito il Porcellum per tornare al Mattarellum. "L'unica modifica al sistema che possa coagulare in tempi brevi il consenso di un'ampia maggioranza parlamentare  - ha detto Giachetti - è il ritorno alla previgente disciplina, ovvero al cosiddetto Mattarellum". Ed è proprio attorno alla mozione presentata ieri alla Camera che è esploso lo scontro nel Partito democratico. La mozione Giachetti è stata colta come un fulmine a ciel sereno dalle parti del Nazareno, dopo che per tutta la giornata di martedì si era cercato di arrivare ad una quadra sulla mozione di maggioranza. Quadra faticosamente trovata con il risultato di escludere l'immediata modifica della legge elettorale, compresa la clausola di salvaguardia, per inserirla nel più ampio schema di revisione costituzionale. In più il sindaco di Firenze ha lanciato una sfida al premier Letta e ha difeso Giachetti, attaccando sull'urgenza della riforma elettorale. ''Prima di essere renziano è una persona seria - ha detto Renzi -, sulla legge elettorale ci ha messo la faccia. Oggi non si consumava il voto della vita ma ho la preoccupazione che governo e maggioranza rinviino troppo, facciano melina''. Parole che non fanno piacere al premier, determinatissimo a marciare verso l'approvazione delle riforme. 
FINOCCHIARO: "GIACCHETTI INTEMPESTIVO". Secondo Anna Finocchiaro, che pure nei giorni scorsi aveva depositato un disegno di legge per il ritorno al Mattarellum, l'azione di Giachetti è stata "intempestiva: non possiamo mettere a rischio il percorso con atti di prepotenza". Il problema principale, infatti, è che sul ritorno al sistema elettorale precedente al Porcellum, benché sia una opzione maggioritaria nel Pd, c'è stata fin da subito la netta opposizione del Pdl che invece predilige, come soluzione transitoria, l'apporto di poche modifiche alla legge attuale. Di qui la necessità di evitare forzature e la scelta di non entrare subito nel merito delle modifiche, anche per tutelare la tenuta del governo. Durante la giornata ci sono stati diversi tentativi di fare desistere il deputato del Pd. In primo luogo alcuni dei firmatari della mozione, tra cui il veltroniano Walter Verini e il franceschiniano Alessandro Bratti, hanno fatto mancare il loro appoggio. Durante l'assemblea del gruppo del Pd  il presidente dei deputati dem Roberto Speranza ha chiesto ufficialmente il ritiro della mozione dichiarando: "Il Pd non voterà a favore della mozione, parlare di ritorno al Mattarellum è prematuro".
RIFORME, PASSA LA MOZIONE DELLA MAGGIORANZA. Senato e Camera hanno approvato ieri la mozione di maggioranza sulle riforme costituzionali con 224 sì, 61 no e 4 astenuti. La mozione impegna il governo a presentare entro giugno un ddl costituzionale che preveda una procedura straordinaria per la riforma della Costituzione. "Il Senato - si legge nel 'dispositivo' della mozione - impegna il governo a presentare alle Camere, entro il mese di giugno 2013, un disegno di legge costituzionale, che in coerenza con le finalità e gli obiettivi indicati nelle premesse, preveda, per l'approvazione della riforma costituzionale, una procedura straordinaria rispetto a quella di cui all'articolo 138 della Costituzione, che tenda a agevolare il processo di riforma, favorendo un'ampia convergenza politica in Parlamento". "Il disegno di legge -si legge ancora - dovrà, altresì, prevedere adeguati meccanismi per un lavoro comune delle due Camere. In particolare, occorrerà prevedere: a) l'istituzione di un comitato, composto da 20 senatori e 20 deputati, nominati dai rispettivi Presidenti delle Camere, su designazione dei Gruppi parlamentari, tra i componenti delle Commissioni Affari Costituzionali, rispettivamente, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, in modo da garantire la presenza di ciascun gruppo parlamentare e di rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi tenendo conto della loro rappresentanza parlamentare e dei voti conseguiti alle elezioni politiche". Il comitato e' presieduto congiuntamente dai Presidenti delle stesse commissioni, "cui conferire poteri referenti per l'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di governo e all'assetto bicamerale del Parlamento, nonché, coerentemente con le disposizioni costituzionali, di riforma dei sistemi elettorali".
"SCETTICI" 43 PARLAMENTARI DEL PD. Quarantatré parlamentari del Pd hanno sottoscritto un documento in cui esprimono "scetticismo intorno alla via di riforme costituzionali che il governo e la sua maggioranza hanno inteso intraprendere". Tra i firmatari anche Rosy Bindi, Laura Puppato, Giuseppe Civati, Antonio Boccuzzi, Walter Tocci, Vannino Chiti e Sandra Zampa. I parlamentari, "in merito alla mozione di maggioranza oggi in votazione a Camera e Senato relativa al processo di riforma costituzionale", hanno manifestato alcune "preoccupazioni". Scrivono i parlamentari: "La deroga alla procedura di revisione costituzionale rappresenta un oggettivo problema e un pericoloso precedente". E aggiungono che "è quanto meno discutibile che siano le Camere a chiedere al Governo di impegnarsi a varare un disegno di legge costituzionale che introduca una tale deroga su materia eminentemente parlamentare".