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domenica 2 giugno 2013

SOLDI AI PARTITI DAI CITTADINI SUL 730 E LA PRAIVACY ??

soldi ai partiti dai cittadini sul 730 e la privacy? 

2xmille ai partiti. Elezione diretta del Capo dello Stato e lavoro tra una cinquantina di anni, se tutto fila liscio e la banda bassotti sta dietro le sbarre.
Certo, a più di qualcuno queste ultime furbate non stanno bene e gli roderà sapere che lo Stato fa il duro con i deboli e il buonista con chi governa.
Letta è come il prete all'altare che predica il bene, l'amore e poi si fotte i soldi della questua.
Senza contare che la geniale idea del 2x1000 lede la segretezza dell'urna, perché apporre una croce sul 730 a favore di un partito significa manifestare apertamente l'intenzione del voto che è segreto!, anche Letta continua a mungere i cittadini senza porsi alcun problema.
Però, come sono furbi questi gestori della Patria!
Per tagliare pensioni e congelare i diritti acquisiti dai lavoratori non c'è voluto granché ma per tagliare la mazzetta ai partiti le stanno provando tutte.
Ma li capisco. Eccome se li capisco! Come fa un partito che si definisce dei lavoratori e di sinistra a licenziare 180 dipendenti? E i diritti dei lavoratori, dove li mettiamo?
Il Presidente Giorgio Napolitano ha ragione: l'Italia è determinata a superare la crisi. L'Italia, appunto! Ma certo non i suoi rappresentanti che continuano a giocare sulla pelle dei cittadini.

GRILLO GIORNALISTI OMERTOSI GLI FAREMO UN CU...COSI'

Grillo: "giornalisti omertosi, gli faremo un c... cosi'" 

Non solo la Rai. Grillo lancia i suoi strali anche contro La7 colpevole di "stare preconfenzionando un servizio ad hoc contro di me, anche contro di noi. Tornino tra la gente, parlino di cose concrete, dicano la verita'. Non siamo noi a dovere andare in televisione. Comunque, abbiamo persone preparate che andranno in televisione". Del resto, prosegue, "gli altri non hanno nulla da dire. Guardate Berlusconi: e' un uomo malato, e' giallo, e' polvere... basta parlare con lui". I mezzi di informazione, piuttosto, "dicano che mentre gli altri discutono di come gestire i soldi, noi abbiamo deciso di non gestirli, li abbiamo dati indietro. Siamo nati il 4 ottobre di tre anni fa e siamo i primi francescani d'Italia, prima del Papa. Siamo giovani e stiamo crescendo, non si possono paragonare le politiche con le elezioni amministrative".
GRILLO: "GIORNALISTI RAI PAGHERANNO PER LA LORO OMERTA'"
"Molti giornalisti della Rai dovranno in futuro rendere conto della loro omerta', dei loro attacchi telecomandati, dei loro silenzi". Lo scrive Beppe Grillo sul suo blog tornando ad attaccare il servizio pubblico: "Rai1, Rai2 e Rai3 sono occupate dai partiti. Non e' una notizia. Non e' una novita'.
  Il vero scandalo e' che questo non da' piu' scandalo. Si da' ormai per scontato che plotoni di addetti stampa raccontino le balle dei partiti senza vergogna pagati dal canone, dalla pubblicita' e dalle tasse". Ma se i giornalisti, per Grillo, sono complici di una lottizzazione "peggiore di quella socialista", i vertici rai hanno la responsabilita' aver fatto perdere al servizio pubblico "200 milioni di euro nel 2012. Il direttore generale Gubitosi e la presidente Tarantola - osserva il comico genovese - rimangono imperterriti ai loro posti e dai consiglieri di amministrazione non un fiato. Cosa fanno dalla mattina alla sera questi signori ben pagati dagli italiani?".
  Per Grillo si e' di fronte a "una Rai lottizzata. Un non luogo dell'informazione che fa rimpiangere persino l'era socialista, quando di tre assunti uno era democristiano, l'altro socialista e il terzo bravo. Ora il terzo viene spartito tra Sel e Lega.
  Quando c'e' un colpo di Stato, la prima cosa messa in atto e' il controllo dei mezzi di informazione. Il cittadino pero', mentre avviene, ne e' consapevole. Sa che, da quel momento, la dittatura usera' la televisione per legittimare se' stessa e si comporta di conseguenza. I sovietici leggevano la Pravda, ma non le credevano. Gli italiani guardano la televisione e le credono. Non hanno anticorpi, pensano di vivere in una democrazia", conclude il leader del Movimento Cinque Stelle. 
GRILLO, PRESIDENZA VIGILANZA A M5S AL PIU' PRESTO
"O ci verra' affidata la presidenza della Rai al piu' presto, sono gia' passati tre mesi dalle elezioni, o ne trarremo le conseguenze". Lo scrive Beppe Grillo sul suo blog spiegando che "tre commissioni sono ancora senza presidente: Giunta per le elezioni (bloccata in attesa di una persona gradita a Berlusconi), Copasir e Vigilanza Rai. Le presidenze di norma vengono assegnate all'opposizione. L'unica presente in Parlamento e' il M5S. Fratelli d'Italia, Sel e Lega si sono coalizzate con pdl e pdmenoelle e in seguito si sono scisse come un'ameba per mettersi la maschera da finta opposizione.
  L'ennesima beffa di questa legislatura. Ora, il M5S e' stufo di prendere schiaffi e di essere, allo stesso tempo, preso per il culo dalla Rai"
GRILLO, RODOTA'? DI LUI NON MI FIDO PIU'
"Rodota'? Non ce l'ho con lui, ma vuole fare una sinistra insieme agli arancioni, ai rossi e ai Sel. Ecco perche' sono contro di lui. Noi siamo sopra tutto questo. E, poi, non mi ha mai dato un consiglio. Perche' non mi telefonava e non mi diceva 'Beppe stai facendo una cazzata'. Non mi fido piu'. Non mi fido di quelli che parlano attraverso i giornali". Lo ha detto Beppe Grillo, parlando a Mascalucia, in provincia di Catania, dove ha aperto il suo tour siciliano in vista delle elezioni del 9 e 10 giugno.

ALITALIA 2 MILA CONTRATTI SOLIDARIETÀ TAGLI DIRIGENTI

Alitalia: 2mila contratti solidarietà, tagli dirigenti. Schisano resta al sicuro 

ROMA - Nuovi tagli in casa Alitalia: il nuovo piano industriale prevede infatti contratti di solidarietà di due anni per duemila dipendenti, una sforbiciata alle spese, e il licenziamento di alcuni di dirigenti di prima fascia. L’amministratore delegato Gabriele Del Torchio, chiede ancora sacrifici. Secondo il quotidiano la Repubblica,i sindacati starebbero valutando la proposta e già lunedì potrebbero siglare un’intesa.
“Per ora – scrive Repubblica – il gruppo rinuncia alla cassa integrazione per 600 persone, soluzione che aleggiava da oltre un anno su Fiumicino, in cambio di questa proposta più morbida”.

I duemila dipendenti a cui il piano chiede sacrifici sono per lo più personale di terra: si parla di una riduzione pari a cinque giorni al mese, principalmente degli uffici di Roma, che corrisponde ad una diminuzione di circa 65 euro in media.
Se l’accordo dovesse andare in porto, l’azienda risparmierà 21 milioni di euro l’anno. Nel nuovo piano industriale lacrime e sangue sono previste anche chiusure delle basi sparse per l’Italia che Rocco Sabelli aveva aperto negli anni scorsi, mini hub che non hanno portato alcun guadagno. Tagli infine agli stipendi dei dirigenti, circa il 10%, e dello stesso amministratore delegato, meno 20%.
Saltano anche le poltrone di alcuni manager, l’unico che sembra restare al sicuro è Giancarlo Schisano, quello che sbianchettò l’ala dell’aereo romeno incidentato, rimuovendo il logo Alitalia. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo già 20 su 70 dirigenti hanno lasciato la compagnia di volo.
Scrive Repubblica che Del Torchio vuole puntare sui giovani:
tariffe stracciate per l’Italia (45 euro a tratta) e l’Europa (50 euro), e ad una messa a punto e rafforzamento degli orari nello scalo principale di Fiumicino che saranno spostati per favorire le coincidenze con altri voli. Previste inoltre nuove aperture di rotte internazionali e intercontinentali.

LA PROPAGANDA BERLUSCONI OPS INTENDEVO DIRE LETTA

La propaganda del governo Berlusconi. Oops… intendevo dire Letta 

Il governo Letta ha annunciato un programma ambizioso... ma al momento sembra impigliato nella rete propagandistica di Berlusconi. 

Io sono uno di quelli dolorosamente convinti della necessità del governo Letta. So che molti lettori di basta casta Italia hanno idee diverse; le mie le ho spiegate qui, se vi interessano, ma non è più molto importante perché i continui ricatti del PDL stanno rapidamente mutando il parere mio e di molti altri. Dal giorno del giuramento (28 Aprile) è in effetti passato solo un mese o poco più, ma mi pare che l’inizio non sia entusiasmante.All’inizio siamo stati coinvolti dal dibattito sull’IMU, rispetto al quale tutti gli esponenti della destra tuonavano, quotidianamente, “o si abolisce o cade il governo!”. Lasciamo perdere che le tasse non ci piacciono, che già viviamo un’insopportabile carico fiscale e che ci sono indubbiamente dei casi (una minoranza) in cui l’IMU diventa un carico ingiusto (anziani con piccoli redditi, proprietari di vecchie case…); l’IMU è una tassa come ce n’è di analoghe in tutto l’occidente, è una piccolissima patrimoniale (che può – e dovrebbe – essere rivisitata anche con l’aggiornamento dei catasti, sì, certo…) ma che rappresenta una ridicolaggine sotto l’aspetto complessivo, se orientato da una visione globale, del nostro sistema fiscale. Chi avesse dei dubbi su queste mie affermazioni può leggere qui una più approfondita argomentazione un’infografica piuttosto esplicativa. Abolire l’IMU (per ora è stata solo rinviata) risolve pochi problemi della gente, non reimmetterà sul mercato liquidità, creerà problemi al governo per il reperimento necessario di analoghe risorse e serve solo a una cosa: rispettare una promessa elettorale di Berlusconi alla quale, vergognosamente, si erano poi accodati tutti (compreso il rigorosissimo Monti).
Adesso ci vogliono buttare nel tritacarne del presidenzialismo. Sono di oggi le entusiastiche forzature di Alfano su alcune timide (e inopportune) aperture di Letta, e giù il prossimo mese – ci scommettete? – tutti a parlare di presidenzialismo. Che è un’altra fissazione di Berlusconi, sempre avuta, forse spera di farsi eleggere dal “suo popolo” alla massima carica… Ma stiamo scherzando? La Costituzione è un meccanismo delicato, pensato come sistema coerente in cui non si può malamente ficcare dentro in presidenzialismo come se non avesse conseguenze gravi sull’intero sistema repubblicano. Pare che gli unici a capirlo siano gli intellettuali di Libertà e Giustizia (Rodotà, Zagrebelsky…) che stanno disperatamente lanciando appelli e proponendo manifestazioni all’insegna dello slogan “Non è cosa vostra” (ovvero di voi scalzacani parlamentari).Intanto il mondo intorno cade a pezzi. Nessuno sembra occuparsi di esodati, di giovani disperati, di aziende che chiudono, di ricerca che non si fa… Cioè: tutti ne parlano nei talk show e nei comunicati, ma senza che apparentemente nulla accada. Ho scritto ‘apparentemente’ perché spero sempre che ci sia un bellissimo trucco che io ignoro: che cioè stiano lavorando proprio a questi problemi e che fra settimane – che dico? giorni – arrivi a sorpresa l’annuncio della soluzione dei nostri veri problemi. E che si smetta di inseguire l’agenda propagandistica e demagogica di Berlusconi.

PAKISTAN I DRONI DI OBAMA

Pakistan: i droni di Obama 


Nella primissima mattinata di mercoledì, gli Stati Uniti hanno lanciato un bombardamento in una località del Waziristan del Nord che ha assassinato il numero due dei talebani attivi nel paese centro-asiatico e almeno altre quattro persone. L’operazione condotta dalla CIA, che ha interrotto un periodo relativamente lungo senza incursioni di droni in territorio pakistano, rappresenta con ogni probabilità un messaggio lanciato da Washington al Primo Ministro entrante, Nawaz Sharif, e contraddice la promessa fatta la settimana scorsa dal presidente Obama di porre un freno alla valanga di eccessi e illegalità messe in atto in oltre un decennio di “guerra al terrore”.
La vittima più illustre del blitz americano di questa settimana è Wali ur-Rehman, il secondo in comando della coalizione di gruppi militanti integralisti Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), più comunemente conosciuti come Talebani Pakistani, operanti nelle Aree Tribali al confine con l’Afghanistan.
Secondo le testimonianze riportate dai media occidentali, attorno alle tre del mattino di mercoledì alcuni missili sono caduti su un’abitazione alla periferia di Miranshah, la principale città del Waziristan del Nord, uccidendo, oltre a Rehman, due jihadisti uzbeki e ferendo almeno tre bambini.
La morte di Rehman è stata inizialmente confermata dalle autorità pakistane e solo giovedì dal portavoce ufficiale di TTP, Ehsanullah Ehsan. Sulla testa di Rehman era stata messa una taglia di 5 milioni di dollari dagli Stati Uniti, i quali lo accusavano di avere organizzato svariati attacchi contro le forze di occupazione americane in Afghanistan e di essere coinvolto nell’attentato suicida commesso da un doppio agente giordano nel dicembre 2009 che uccise sette dipendenti della CIA in una base della provincia di Khost, al confine con il Pakistan.
Soprattutto, però, Rehman era considerato relativamente moderato rispetto al leader dei Talebani Pakistani e suo diretto superiore, Hakimullah Mehsud. La sua morte, perciò, potrebbe rendere ancora più improbabile l’avvio di un già complicatissimo processo di riconciliazione con il governo civile di Islamabad.
Nei commenti pubblicati in questi giorni dai giornali americani, Rehman viene definito come un militante in grado di risolvere pacificamente le dispute tra le varie fazioni jihadiste, nonché contrario agli attacchi indiscriminati contro i civili spesso portati a termine dai Talebani. Inoltre, lo stesso comandante sembrava avere legami con svariati partiti religiosi pakistani che si erano offerti di mediare tra il governo e i Talebani.
Una qualche speranza di trovare un’intesa per far diminuire il livello di violenza in Pakistan era emersa in seguito al successo nelle elezioni dell’11 maggio scorso della Lega Musulmana del Pakistan-N (PML-N) di Nawaz Sharif, il quale in campagna elettorale aveva più volte criticato l’uso dei droni nel proprio paese da parte degli Stati Uniti e lasciato intravedere la volontà di aprire un dialogo proprio con Tehrik-i-Taliban.
All’inizio della scorsa settimana, ad esempio, il premier in pectore aveva ribadito pubblicamente la necessità di perseguire un processo di pace “per il progresso e lo sviluppo del paese”, aggiungendo che il suo governo si adopererà per “il dialogo, rispondendo all’offerta di pace dei Talebani”.
In una dichiarazione rilasciata giovedì al quotidiano pakistano The Express Tribune, il portavoce di TTP ha però inevitabilmente annunciato che la sua organizzazione intende ritirare l’offerta di dialogo fatta al nuovo governo. Ehsan, inoltre, ha attribuito l’intera responsabilità degli attacchi con i droni nelle Aree Tribali all’esecutivo di Islamabad, colpevole di passare agli americani informazioni cruciali per localizzare i militanti.
L’assassinio di Rehman da parte degli americani, perciò, sembra assestare un colpo mortale alle già esili prospettive di pace che avrebbero potuto teoricamente determinare una limitazione delle attività “anti-terroristiche” americane in territorio pakistano.
Dal momento che Nawaz sta per ultimare le trattative attorno alla formazione del suo prossimo governo, l’incursione con i droni della CIA di mercoledì può dunque essere considerata come un messaggio preliminare lanciato da Washington a Islamabad a non abbassare la guardia nella lotta all’integralismo islamico in Pakistan, ovvero a non deviare dalla strada percorsa dal precedente gabinetto, fedele esecutore delle politiche statunitensi nonostante la diffusa ostilità della popolazione.
Il ritorno dei droni nei cieli del Pakistan questa settimana, come anticipato in precedenza, giunge poi a pochi giorni di distanza da un importante quanto contraddittorio discorso tenuto da Obama presso la National Defense University di Washington. Nel suo intervento di giovedì scorso, l’inquilino della Casa Bianca aveva in sostanza ammesso la totale illegalità dei metodi più discussi utilizzati dagli Stati Uniti, compresa la sua amministrazione, nell’ambito della “guerra al terrore”.
Esprimendo le inquietudini di alcune sezioni della classe dirigente d’oltreoceano, preoccupate per il venir meno della legittimità di un sistema di potere che ha ormai istituzionalizzato il ricorso a metodi di governo profondamente antidemocratici, Obama si era perciò impegnato a modificare, tra l’altro, la gestione del programma “anti-terrorismo” basato sull’impiego dei droni.
In particolare, il presidente democratico aveva annunciato una revisione di questo stesso programma, così da renderlo più trasparente, sottraendolo in alcuni casi alla CIA - incaricata delle incursioni in Pakistan - per assegnarne la completa responsabilità al Dipartimento della Difesa.
Sia pure limitata e del tutto inadeguata a mettere fine ad un programma palesemente illegale, questa presunta svolta prospettata da Obama è apparsa da subito poco più che una farsa. Infatti, come ha spiegato giovedì il New York Times, “fin dai giorni successivi al discorso del presidente, membri della sua amministrazione hanno chiarito dietro le quinte che i nuovi standard [per la gestione della campagna con i droni] non sarebbero stati applicati al programma condotto dalla CIA in Pakistan”, almeno “fino a quando le truppe americane rimarranno in Afghanistan”.
Questa eccezione per “il teatro di guerra afgano” - all’interno del quale, per gli USA, rientra anche il Pakistan - è stata alla fine confermata dall’incursione di mercoledì che ha eliminato il numero due dei Talebani Pakistani.
Nonostante le promesse di maggiore trasparenza e l’affermazione inequivocabile fatta da Obama circa l’incompatibilità con la democrazia degli assassini con i droni, gli Stati Uniti hanno così già chiarito che questa campagna di morte illegale nel territorio di un paese sovrano continuerà ancora a lungo.
Secondo alcune stime, la CIA ha condotto più di 360 attacchi con i droni in Pakistan a partire dal 2004, uccidendo migliaia di civili innocenti, considerati nient’altro che “danni collaterali” di assassini mirati di semplici militanti o, in misura decisamente minore, di esponenti di spicco delle formazioni jihadiste attive al confine con l’Afghanistan.
Come ha messo in luce un rapporto di qualche mese fa delle università di New York e Stanford, la campagna con i droni in Pakistan non causa soltanto un numero altissimo di morti tra i civili ma ha ormai trasformato la vita dei residenti delle zone colpite in un vero e proprio incubo. Qui, infatti, adulti e bambini vivono in uno stato di perenne terrore, con “la consapevolezza di essere totalmente indifesi” di fronte ad un attacco dal cielo che potrebbe giungere in qualsiasi momento.

FINANZIAMENTI COLLATERALI

Finanziamenti collaterali  

Da venerdì scorso la legge per tagliare il finanziamento pubblico ai partiti esiste, ora si tratta di approvarla in Parlamento. Il percorso probabilmente non sarà dei più semplici e qualche modifica al testo varato dal Consiglio dei ministri è addirittura probabile. Al momento, comunque, si punta ad abolire i finanziamenti gradualmente fra l'anno prossimo e il 2017, sostituendoli a poco a poco con i contributi dei privati, che godranno di sgravi fiscali variabili a seconda della donazione (del 52% fra i 50 e i 5 mila euro e del 26% fino a un massimo di 20 mila euro), ma a partire dal 2016.
Dalla stessa data, inoltre, sarà possibile destinare il due per mille nella dichiarazione dei redditi ai partiti (per chi non vuole, allo Stato), che potranno anche usufruire di spazi e servizi gratuiti o scontati.
Ma prima ancora di entrare nel merito delle misure proposte e delle possibili correzioni, sorgono un paio di dubbi. Primo: era davvero questo uno dei primi interventi da mettere in cantiere con il "governo di servizio" guidato da Enrico Letta? Secondo: non c'è il rischio che la riforma consenta ai partiti maggiori di incassare lo stesso, danneggiando invece le formazioni minori o alternative?
In molti fanno notare che l'anomalia italiana non riguarda i finanziamenti in sé. Anzi, a livello puramente teorico, che lo Stato garantisca sostegno finanziario a chi si impegna in attività politiche è perfino un principio democratico, altrimenti questo diritto sarebbe esercitabile soltanto da chi può permetterselo. Uomini come Silvio Berlusconi, che vent'anni fa fondò in pochi mesi un partito personale, o semplicemente le forze politiche più ramificate e influenti, quelle in grado di ottenere un cospicuo appoggio non solo dai portafogli dei militanti, ma anche dalla pletora di lobby interessate a distribuire favori per poi riceverne. E' evidente che se un gruppo di cittadini qualsiasi decidesse di formare un nuovo partito contando solo sulle donazioni private avrebbe ben poche possibilità di successo.
Certo, la situazione attuale non è sostenibile. Ma il vero problema è altrove: ossia nella quantità dei fondi che sono stati distribuiti finora e soprattutto nelle modalità di assegnazione. Il punto è che nessun Lusi deve più comprarsi casa con i soldi pubblici, nessun Belsito deve più sgraffignare diamanti con i fondi che avrebbe dovuto dare alle sezioni.
Fin qui sono mancati i controlli e le rendicontazioni, anche perché la prassi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è sempre stata viziata a monte: le risorse destinate ai partiti avrebbero dovuto essere dei rimborsi sulla base di spese certificate, invece erano di fatto dei finanziamenti (una pratica contro cui, peraltro, gli italiani avevano espresso il proprio dissenso via referendum ormai un paio di decenni fa). Ora la certificazione dei bilanci diventa obbligatoria, ed è questo il passo avanti più importante.
Il secondo tema riguarda l'uguaglianza di trattamento garantita alle forze in campo. Il ddl approvato dal Consiglio dei Ministri prevede che per accedere a tutti i benefici previsti i partiti debbano avere uno statuto che preveda "requisiti minimi idonei a garantire la democrazia interna". Al di là della vaghezza di una simile formulazione (chi giudicherà questi "requisiti minimi"?) è inevitabile leggere nella postilla una chiara (e goffa) volontà di marginalizzare il Movimento 5 Stelle, che infatti ha già gridato allo scandalo.
Senza statuto non si potrà usufruire nemmeno della manna dal cielo prevista nel comma 2 dell'articolo 4 a proposito di quel famoso due per mille: "In caso di scelte non espresse - si legge nel testo - la quota di risorse disponibili, nei limiti di cui al comma 4, è destinata ai partiti ovvero all’erario in proporzione alle scelte espresse". Il limite è di 61 milioni di euro e dovrebbe essere facilmente raggiungibile anche se la maggior parte dei contribuenti decidesse di devolvere i soldi allo Stato. Sembrerebbe poca cosa, se paragonata ai 160 milioni che i partiti si sono spartiti dopo le ultime elezioni. Peccato che, a quanto pare, i "limiti di cui al comma 4" facciano riferimento a una quota da incassare ogni anno.

RITORNO AL PASSATO LA CHICCHA DELLA GIORNATA

Ritorno al passato 

La chicca della giornata, definita storica da quella gran parte di quotidiani nazionali che ancora godono di finanziamenti pubblici, ce l’ha regalata un insigne sindacalista della Cisl, tal G. Terracciano : “E’ meglio avere un lavoro, anche senza diritti, anche senza le giuste condizioni, ma l’importante è avere un lavoro”.
Nessuna sorpresa, quindi, che nella giornata “storica” di ieri si sia sancita, nell’incontro/accordo tra i tre confederali (Cgil, Cisl e Uil) e la loro cosiddetta controparte, Confindustria, la fine della democrazia sindacale, del diritto di sciopero e la cancellazione “normativa” di quelle sigle contrarie a quei contratti nazionali, causa principale della perdita di potere d’acquisto e di ogni strumento di difesa da parte dei lavoratori.
Non un passo indietro…bensì decenni di lotte e di rivendicazioni cancellate in una farsa durata poche ore e confermata proprio dalle “parole in libertà” dei solerti funzionari di queste organizzazioni.
Basta con quei lacci e lacciuoli che costringevano i “padroni” a rispettare quei diritti che la classe operaia si è conquistata con il sangue ed il sudore…ora siamo in una fase nuova…ci vuole l’unità delle forze produttive…ergo tu lavori per quattro soldi, per una pensione misera, per un lavoro che non ti da garanzie né sul presente né sul futuro…e l’occupazione crescerà…crescerà la domanda interna, cresceranno i consumatori…l’economia ripartirà e saremo tutti più felici e contenti…almeno quelli che resteranno vivi….la stessa litania già sentita quando introdussero la precarietà.
Peccato che, all’indomani della “storica” firma, la stessa Cgil pubblichi un’indagine sulla ripresa economica e parla di 60 anni di recessione e di un ritorno alla situazione pre-crisi solo nel 2070 ed oltre…chissà come saranno contenti gli schiavi dei prossimi 60 anni a sapere che il loro sacrificio forse non servirà neanche ai loro figli !
Già…lo dice anche il nostro presidente Napolitano, presentando i “festeggiamenti” del 2 giugno, festa della Repubblica…c’è bisogno di unità e sacrifici…quei sacrifici che faranno quei fessi che pagheranno i prodotti aumentati dall’iva per finanziare le ristrutturazioni delle case dei ricchi…o quegli idioti che preferiranno dare il loro contributo ad associazioni umanitarie e che avranno uno sgravio fiscale 6 volte inferiore a chi preferirà, di contro, darli ai partiti…al limite per riaverne in cambio qualche “vivo e vibrante” favore.
Le caste si blindano in un ritorno al peggior passato della nostra triste repubblica…blindano i loro privilegi, il loro potere e, con la scusa della crisi, tappano la bocca a quei milioni di italiani che li hanno bocciati nelle ultime elezioni, a quei milioni di lavoratori che non sono iscritti a nessun sindacato o hanno optato per quelli di base.
Di “storico” nella giornata di ieri c’è che la storia, quella con la “s” maiuscola, quella che è stata testimone di un paese in grado di rinascere dalle ceneri di una guerra devastante, è stata ancora una volta calpestata dagli interessi di quelle caste che hanno ridotto il nostro paese ad un’enorme tavola imbandita…alla quale la gente onesta non è invitata…se non per pagare il conto.

FINANZIAMENTO PUBBLICO PARTITI !ORA CONTRIBUTI VOLONTARI


FINANZIAMENTO PUBBLICO PARTITI / Finisce l'era del finanziamento pubblico ai partiti. Ora contributi volontari 


Si conclude l'era del finanziamento pubblico ai partiti, ultime notizie Roma - Finisce il sistema dei rimborsi ai partiti. Il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che introduce un nuovo sistema di finanziamento della politica basato sulle contribuzioni volontarie. Con la nuova legge sul finanziamento ai partiti "ci sara' un periodo transitorio, perche' esattamente legato alla transitorieta' con cui arriveranno i finanziamenti dei privati". A dirlo e' il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, al termine del Consiglio dei ministri.

Il ddl, spiega, e' l'"attuazione dei principi che avevamo approvato in Consiglio dei ministri, una completa e assoluta rivisitazione del finanziamento dei partiti, dove non ci sara' piu' il finanziamento pubblico ma il contributo da parte dei privati con agevolazioni fiscali". Il meccanismo di de'calage del finanziamento, a quanto si apprende, prevede una riduzione progressiva in tre anni dal 60% del primo anno, al 50% del secondo anno e al 40% del terzo.

Sarebbe prevista inoltre una misura che incide sul cosiddetto 'inoptato'. Si tratta di una misura compensativa: entro un determinato stanziamento, i fondi non espressamente attribuiti dai privati attraverso l'opzione del due per mille, saranno distribuiti ai partiti proporzionalmente alle somme stanziate in via esplicita.

INTERVISTA A LANDINI CHE CHIEDE UNA LEGGE

Si comincia con l’accordo. Intervista a Landini, che chiede una legge 

Maurizio Landini promuove l’intesa raggiunta sulla rappresentanza. «Ma non risolve tutte le vertenze, ci vuole una legge»
«L’accordo sulla rappresentanza è positivo. Perché finalmente in un’intesa firmata sia dai sindacati che dalle imprese, si arriva a definire chi può fare i contratti e come debbano essere validati. E, fondamentale, si mette in mano ai lavoratori il mezzo di validazione». Il segretario Fiom Maurizio Landini accoglie con soddisfazione il nuovo patto siglato da Cgil, Cisl e Confindustria, ma non si nasconde che molti problemi rimangono aperti. «E resta comunque – aggiunge – la necessità di avere una legge».
Partiamo dagli elementi positivi, poi affronteremo i problemi.
Innanzitutto c’è un fattore di fondo: è importante che sia stato riconosciuto, in qualche modo, il valore delle nostre lotte per la democrazia. È un bene che non solo la Fiom e gli altri sindacati vogliano mettere fine all’epoca dei contratti separati, ma che lo pensi e lo voglia anche la Confindustria. Mi pare si sia rispettato il principio che più volte abbiamo detto di sostenere, ovvero che per la validazione di un contratto ci vuole la firma del 50% più 1 dei sindacati rappresentativi e una consultazione certificata dei lavoratori. Questo spinge finalmente verso la ricerca di una vera unità sindacale, fatta sui contenuti. Bene anche che si preveda l’elezione delle Rsu su base proporzionale, senza il terzo garantito.
Dei problemi, però, restano aperti. Quali secondo voi?
Innanzitutto non si risolve il problema della Fiat, a meno che l’azienda non voglia rientrare in Confindustria: ma non mi pare che ne abbia l’intenzione. E poi resta aperto il nodo del contratto separato con Federmeccanica, non essendo questo accordo retroattivo. Ma è importante che d’ora in poi vigeranno queste regole.
Però la Fiom sostiene che ci voglia comunque una legge.
Sì, e lo dice ad esempio il caso Fiat. Non sono ancora state realizzate, nonostante quest’ultimo accordo, l’agibilità e la libertà sindacale. E poi c’è l’estensione «erga omnes» dei contratti, che un accordo «privato» tra le parti come questo non può disporre. Ci sono tante aziende in Italia, come la stessa Fiat, non iscritte a nessuna associazione firmataria, come molti lavoratori non sono tesserati con il sindacato. Per comprendere queste realtà, ci vorrebbe una legge.
Tornando alla Confindustria, si è aperto un nuovo dialogo? È la crisi ad aver cambiato le cose? Il nuovo governo, le vostre lotte?
Riconosco a Giorgio Squinzi che il primo atto da lui compiuto è un accordo unitario e per regole democratiche. È stato coerente con le affermazioni fatte fin dall’inizio, ha sempre detto che voleva chiudere con gli accordi separati. Ma se si è arrivati a questo punto, è grazie anche alle nostre lotte. E non solo della Fiom: contratti separati sono stati firmati anche nel commercio, nel pubblico, tra i bancari.
E il nuovo governo?
Non credo possa intestarsi alcun merito per questo accordo, che è tutto sindacale. Ma che, attenzione, parla anche alla politica, perché risolve, almeno nel nostro campo, quella che è una crisi generale della rappresentanza. Il nuovo governo per ora ha solo parlato, vogliamo vedere le azioni concrete. Cancelli l’articolo 8, faccia una vera politica industriale e una legge per la rappresentanza. Induca le imprese a investire, perché su questo finora sono state parecchio assenti. La stessa Fiat neanche con il ministro Zanonato è stata chiara. Poi ci servono soluzioni per l’Ilva, la siderurgia e altri settori a rischio. Infine, il governo ci spieghi una cosa: perché non fa in modo che i 100 miliardi dei fondi pensione siano investiti su titoli e azioni italiani? Il 70%, per ora, va all’estero.
Il 2 giugno immagino che non sarete alla parata militare a Roma, ma in Piazza Santo Stefano a Bologna. Come mai?
No, in effetti non andrò alla parata di Roma. Sarò molto volentieri, invece, a Bologna. Innanzitutto perché gentilmente ci ha invitato Libertà e giustizia. E poi perché crediamo fermamente che la Costituzione non vada cambiata, ma che anzi debba essere pienamente realizzata per avere il cambiamento che tutti desideriamo: valorizzando il lavoro, la sanità e l’istruzione come beni comuni e pubblici.

CHE VERGOGNA PETIZIONE MARO' NEGLI USA NON QUI

Che vergogna, petizione pro marò Negli Usa, non qui 

La richiesta all'Onu è di "monitorare il processo" indiano a Latorre e Girone, ormai imminente, e "promuovere un arbitrato intrenazionale"Il 2 giugno sono gli italiani all'estero, che ci ricordano il valore simbolico, per la dignità nazionale, del caso marò con una petizione al segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki moon. La richiesta all'Onu è di «monitorare il processo» indiano a Massimiliano Latorre e Girone, ormai imminente, e «promuovere un arbitrato intrenazionale». I due fucilieri di Marina «non sono terroristi, ma militari che combattevano la pirateria». Parole semplici ed efficaci che non risuonano in Italia, la patria della raccolta di firme per qualsiasi fregnaccia, ma oltreoceano. Da New York, Giorgio Caruso, che ha fondato il gruppo «Italiani nel mondo - salviamo i nostri marò» ha lanciato la petizione raccolta dalle pagine facebook delle famiglie Latorre e Girone. Margaret, la madre americana di Caruso, che negli anni Cinquanta è stata giornalista del New York Times, lo ha aiutato a scrivere il testo. In America se fosse capitato lo stesso per due marines, il Paese si sarebbe mobilitato e le tv avrebbero trasmesso il sito dove firmare la petizione. In Italia poco o nulla nonostante la festa della Repubblica coincida con oltre 15 mesi di «odissea» indiana per i marò. Il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha invitato sul palco della parata ai Fori imperiali i familiari dei due fucilieri. Qualche ora prima li aveva chiamati a Delhi. L'ennesima, stucchevole telefonata dei governi italiani, che da un anno e mezzo promettono di risolvere il caso. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha chiesto «compostezza» e di «urlare» di meno. «Non so se dovrei bombardare l'India, rompere i rapporti commerciali, ritirare l'ambasciatore» ha aggiunto con una facile battuta. Forse dovrebbe solo rendersi conto, come il Giornale propone da tempo, che l'Italia è in grado di dimostrare un minimo di dignità nazionale ritirando per protesta le navi dalla flotta antipirateria al largo della Somalia. E se non bastasse scatenare un'analoga «rappresaglia» per le missioni in Libano ed in Afghanistan.

venerdì 31 maggio 2013

ILTRUCCO DELL'ABOLIZIONE I PARTITI CONTINUERANNO AD INCASSARE SVEGLIAMOCI ITATILA

Il trucco dell’abolizione del finanziamento pubblico: i partiti continueranno ad incassare 90 milioni per i prossimi 4 anni 

-Redazione- 31 maggio 2013- Il governo di  Enrico Letta programma un lento maquillage del meccanismo di finanziamento dei partiti e i compagni del Pd giocano la carta più odiosa: la minaccia di mettere in cassa integrazione i dipendenti.
Che in un Paese senza lavoro, e dove la cassa integrazione è ormai vista da molti come un mezzo privilegio, non è neppure il massimo dell'arma dialettica.
La verità è che i partiti continueranno a incassare 90 milioni di euro per i prossimi quattro anni.
In compenso, a partire dal 2014, i cittadini potranno detrarre dalla dichiarazione dei redditi le donazioni ai partiti e poi scatterà il meccanismo del 2 per mille da versare alla forza politica preferita.

LA BATTAGLIA PER IL FINAZIAMENTO AI PARTITI

La battaglia per il finanziamento ai partiti 

Tutti dicono basta con il finanziamento pubblico ai partiti ma dopo che il governo avrà presentato il disegno di legge relativo, sarà così conseguente la votazione del Parlamento? Oggi dovrebbe essere il “D-Day”, quello nel quale il Consiglio dei ministri dovrebbe varare il disegno di legge con il quale abolisce il finanziamento pubblico ai partiti, aprendo un’altra pagina nella storia e nella vita degli stessi. Ma non sarà un boccone facile da far mandare giù ai molti. Oggi sul Corriere Marco Galluzzo spiega perché.
A meno di imprevisti il Consiglio dei ministri dovrebbe oggi approvare il disegno di legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti. Non avrà vita facile in Parlamento, è una sorta di salto nel buio per l’organizzazione classica dei partiti così come li conosciamo, costringerà Pd e Pdl, più di altri, a ripensarsi: in termini di sedi, strutture e anche di personale.
IL TESTO – Dicono a Palazzo Chigi che il testo sarà snello, poco più di una decina di articoli, in grado di ripensare il sistema, aprendo alle erogazioni dirette dei cittadini e affidando ad essi la decisione di finanziare omeno i partiti. Riprenderà le norme dell’anno scorso, molto severe in termini di trasparenza dei bilanci e introdurrà la possibilità di destinare una quota della dichiarazione dei redditi, molto probabilmente fissata al 2 per mille. In ogni caso dovrà essere strutturato per resistere alle tensioni che in Parlamento inevitabilmente accenderà. Meno saranno gli articoli, minori saranno anche le occasioni di emendamenti e cambiamenti.

PRESSING – Il disegno di legge del governo, su cui ancora ieri sera il sottosegretario Patroni Griffi e i ministri Franceschini e Quagliariello stavano lavorando, è una delle promesse di Letta, fa parte del programma su cui il Parlamento ha votato la fiducia. Ed è divenuto in qualche modo improcrastinabile, anche per le critiche d’immobilismo rivolte da Renzi all’esecutivo, oltre che per la sfida costante sull’argomento da parte del movimento di Grillo. Negli ultimi giorni sembra siano arrivati a Palazzo Chigi progetti alternativi, suggerimenti cortesi e insistenti di modificare o alleggerire il taglio di risorse: nel governo non lo negano, accreditano non poche tensioni rimaste sotto traccia e l’immagine di un Letta che ha respinto l’assalto dei tesorieri (forse più del suo partito, certamente più «pesante» del Pdl) e di tutti coloro che avrebbero cercato di mitigare gli effetti dell’abolizione.

ECCO COSA CABIA IL FINANZIAMENTO AI PARTITI

Ecco come cambia il finanziamento ai partiti. M5s: è una legge truffa  

Approvata la contribuzione volontaria ai partiti attraverso detrazioni fiscali a 2x1000 che prenderà avvio nel 2014 ma andrà a regime nel 2016. I parlamentari grillini: saranno soldi sottratti al bilancio dello Stato e quindi ai cittadini
Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge per l'abolizione del finanziamento pubblico e per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai partiti. In un comunicato, Palazzo Chigi fa sapere che al posto del finanziamento pubblico entrerà in funzione un nuovo sistema che si fonderà sulla contribuzione volontaria da parte dei privati e che si potrà effettuare attraverso detrazioni e il 2 x 1000. Il sistema di regolamentazione prenderà avvio nel 2014, ma andrà a regime nel 2016.
Possono essere ammessi ad ottenere il finanziamento privato - si legge ancora nel comunicato del Consiglio dei ministri - i partiti politici che abbiano conseguito, nell'ultima consultazione elettorale, almeno un rappresentante eletto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica o in un'assemblea regionale, o che abbiano presentato, nella stessa consultazione elettorale, candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o in almeno tre del Senato della Repubblica o delle assemblee regionali, o in almeno una circoscrizione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Per ottenere i contributi volontari, i partiti politici - precisa ancora la nota - dovranno organizzarsi secondo requisiti minimi idonei a garantire la democrazia interna. Dovranno altresì assicurare la trasparenza e l'accesso a tutte informazioni relative al proprio funzionamento, anche mediante la realizzazione di un sito internet, completo nelle informazioni, chiaro nel linguaggio, facile nella consultazione. Su questo sito dovrà essere pubblicato il rendiconto di esercizio corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, nonchè il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio. 
E dal M5s arriva un comunicato di commento al disegno di legge: "Il ddl di modifica della legge sui rimborsi elettorali è un vittoria morale per il MoVimento 5 Stelle che ha imposto l'agenda politica al governo, ma è una legge-truffa, una presa in giro per i cittadini che continueranno a pagare per far campare i partiti". "Di fatto -  si legge ancora nel comunicato - a riempire le casse delle forze politiche saranno sempre gli italiani tramite risorse che saranno sottratte al bilancio dello Stato".

CONSIGLIO DEI MINISTRI COSA CAMBIA ? ECO-BONUS

Consiglio dei ministri: cosa cambia per le ristrutturazioni, il finanziamento ai partiti e gli eco-bonus

Il governo toglie i soldi pubblici alla politica, rinnova gli incentivi per l'edilizia e premia chi riduce i consumi di energia 

Abolizione graduale del finanziamento pubblico ai partiti, rinnovo delle agevolazioni per chi ristruttura la casa (che verranno estese anche agli arredi dell'appartamento ) e maggiori eco-bonus per chi riduce i consumi energetici degli edifici, con opportuni lavori. Sono questi i principali provvedimenti usciti dal consiglio dei ministri di oggi. Eccoli nel dettaglio.
SOLDI AI PARTITI
Al posto del finanziamento pubblico entrerà in funzione un nuovo sistema che si fonderà sulla contribuzione volontaria da parte dei privati cittadini e che si potrà effettuare in due modi: attraverso delle detrazioni, oppure con il versamento del 2 per mille dell'Ire (l'imposta sui redditi personali). Potranno beneficiare di questa forma di finanziamento privato i partiti politici che abbiano ottenuto, nelle ultime elezioni, almeno un deputato o un senatore o un rappresentante in un’assemblea regionale, oppure che abbiano presentato, nella stesse consultazioni elettorali, dei candidati in almeno tre circoscrizioni per la Camera o per il Senato o per le Regioni (e in almeno una circoscrizione per le elezioni europee)
LE DETRAZIONI
I versamenti dei cittadini privati ai partiti potranno essere detratti dall'imposta sui redditi con le seguenti percentuali
-il 52 % per le donazioni comprese fra 50 euro e 5.000 euro annui;
-il 26 % per i versamenti tra 5mila e i 20mila euro.
IL DUE PER MILLE
Ai partiti politici che hanno ottenuto nelle ultime elezioni almeno un deputato o un senatore eletto, potrà inoltre essere destinato dai contribuenti il 2 per mille dell'imposta sul reddito (Ire) dovuta al fisco. La decisione sarà espressa dal cittadino al momento della dichiarazione dei redditi. Questo meccanismo entrerà però a regime tra il 2015 e il 2016 (quando verranno eleborate le prime dichiarazioni dei redditi sull'anno 2014). Nel frattempo, è previsto un regime transitorio che porterà al taglio progressivo dell'attuale finanziamento pubblico ai partiti (la sforbiciata sarà del 40% nel primo anno, del 50% nel secondo e del 60% nel terzo). Per ottenere i contributi volontari, i partiti politici dovranno organizzarsi in modo da garantire la democrazia interna e assicurare la trasparenza delle informazioni sul proprio funzionamento, rendendole consultabili via internet. Inoltre, le forze politiche avranno diritto a degli spazi gratuiti sui media, messi a disposizione dal servizio pubblico radiotelevisivo
RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE
Verranno prolungate fino al 31 dicembre del 2013 le detrazioni fiscali pari al 50% delle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie, che verranno estese anche agli interventi anti-sismici e agli acquisti dei mobili fissi di casa come gli armadi a muro o le cucine (che in molti paesi esteri vengono considerati parte dell'edificio) e non invece ad altre componenti dell'arredamento come i letti e i comodini. La detrazione sui mobili avrà un importo massimo di 5mila euro (il 50% di 10mila).
ECO-BONUS
Fino al 31 dicembre 2014, verranno innalzate al 65% le detrazioni previste per le spese sostenute in seguito ai lavori di miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici (che oggi, fino al 30 giugno prossimo, sono fissate invece al 55%). Inoltre, entro il 2020, i fabbricati di nuova costruzione dovranno essere ad energia “quasi zero”, cioè a bassissimo consumo, in base a dei criteri stabiliti dalla legge. I fabbricati della pubblica amministrazione dovranno adeguarsi a questo nuovi criteri entro il 2018

ALEMANNO PUNTA SUI CATTOLICI E LA FAMIGLIA PECCATO CHE IL SUO CONSULENTE

Alemanno punta sui cattolici e la famiglia. Peccato che il suo consulente sia stato condannato per pedofilia 

Gianni Alemanno deve giocare sporco per cercare di colmare al ballottaggio per il Comune di Roma  il distacco che lo separa dallo sfidante Ignazio Marino. In questi giorni le sta provando di tutte: raffiche di assunzioni, inaugurazioni fantasma e soprattutto battere bene sul chiodo dei valori della famiglia e del cattolicesimo, che a Roma, si sa, possono spostare parecchi voti.
Va letta in questo senso anche la sua partecipazione alla Marcia per la vita, che ha visto scendere in piazza integralisti da operetta e un po' tutte le associazioni neofasciste, che grazie ai pretesti forniti dalla Chiesa cattolica, guadagnano un po' di visibilità. Marino (che pure si definisce un credente) viene considerato un pericolo per i potenziali "vulnus" che potrebbe infierire a quel simulacro che è la famiglia secondo i cattolici, solo per aver detto sì a un misero registro delle unioni di fatto. 
Alemanno invece sì che è un vero timorato di dio.
Tanto per fare un esempio illuminante, durante la campagna elettorale del 2008, aveva ingaggiato come garante per le politiche della famiglia e le periferie don Ruggero Conti, arrestato pochi mesi dopo mentre era in procinto di partire con un po' di ragazzetti per la Giornata mondale della gioventù di Sidney. Un vero "amico dei ragazzi", infatti viene accusato di aver commesso nell’arco di dieci anni violenza sessuale su sette minori e induzione alla prostituzione, condannato in primo grado a 15 anni con pena confermata oggi in Appello.
Questi sì che sono buoni cristiani. 

giovedì 30 maggio 2013

ORA E' UFFICIALE L'IVA SI ALZERÀ E BERLUSCONI PERDERÀ VOTI

Ora è ufficiale: l'Iva si alzerà E Berlusconi perderà voti 

Saccomanni conferma la stangata. Il provvedimento colpirà soprattutto l'elettoratto azzurro. Se punta solo sull'Imu, cala il consenso del Cav 
Lasciate ogni speranza o voi che comprate (poco). Il ministro dell’Economia e Finanze Fabrizio Saccomanni è stato esplicito: l’aumento dell’Iva scatterà a luglio portando l’Italia al poco invidiabile record del 22% come aliquota imposta su circa il 70% delle merci e dei servizi. Stupisce che il Pdl non si renda conto della relazione inversamente proporzionale che lega i propri consensi al peso delle tasse. Più aumentano le seconde più diminuiscono i primi. Ma il Pdl è in questo recidivo. (...)
Come spiega Carlo Cambi su Libero di giovedì 30 maggio, ci sono brutte notizie in arrivo per gli italiani. Ora è ufficiale: l'Iva si alzerà. Il ministro dell'Economia Saccomanni conferma: "A luglio avremo un'aliquota del 22% sul 70% delle merci e dei servizi". Il provvedimento colpirà soprattutto l'elettorato azzurro. Silvio Berlusconi ha legato tutto alla riduzione delle tasee ma se punta solo sull'abolizione dell'Imu, Silvio Berlusconi perderà voti ed è fortemente a rischio la tenuta del governo. Se il Pdl non dovesse incassare il risultato, se l'Iva dovesse davvero aumentare, non è escluso che gli azzurri pensino di sfilarsi da un governo tassatore che rende impossibile il mantenimento delle promesse della campagna elttorale.

SANTORO E TRAVAGLIO SI INCATENANO PER PROTESTA

Ciancimino Jr arrestato, Santoro e Travaglio si incatenano per protesta 

Massimo Ciancimino è stato arrestato su ordine del gip di Bologna con l’accusa di associazione a delinquere ed evasione fiscale. Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo, è stato portato al carcere Pagliarelli del capoluogo siciliano. L’operazione ha portato a 13 ordinanze di custodia cautelare, di cui nove in carcere e quattro ai domiciliari nei confronti dei componenti di un sodalizio criminoso accusato di frode fiscale nel settore della commercializzazione di metalli ferrosi.
Avvistati davanti al carcere Santoro, Travaglio e Ruotolo. Sono pronti a incatenarsi per difendere il loro amico che tante volte hanno osannato a uomo chiave e testimone perfetto su stragismo e trattativa. Ciancimino Jr è stato protagonista di tantissime interviste in cui metteva in mezzo il Cav, vero obiettivo dei processi mediatici del trio dell’antiberlusconismo militante.
E che dire di Ingroia che ha fatto di questo personaggio (ora riarrestato ma plurindagato anche da altre procure) un eroe, il pentito più buono del mondo? Quanto ci è costato ascoltare e perdere tempo dietro a questo individuo?
Chiederanno mai scusa questi fenomeni che pur di accusare B. hanno idolatrato un delinquente?

GLI ITALIANI COSTANO TROPPO E SONO POCO PRODUTTIVI LA FORMERO

«Gli italiani? Costano troppo e sono poco produttivi»

Torna a parlare Elsa Fornero: «Mi hanno lasciata sola». Gli esodati? «Sanzioni per i vertici Inps»
È un’Elsa Fornero che si esprime a tutto tondo, con spunti critici ma anche di mea culpa, quella che parla della sua esperienza al dicastero dell’Economia durante il Governo Monti su Class CNBC e Class TV. «Nonostante il grande carico di sofferenza sento ancora l’orgoglio di essere appartenuta al governo Monti», dice l’ex ministro che non lesina critiche: «Se mi chiede se mi hanno lasciata da sola, non posso certamente dire il contrario, era facile criticare un governo senza appartenenza politica, Mario Monti era molto impegnato come tutti noi. Abbiamo scontato nel nostro operato assenza di risorse e credo che anche l’attuale governo avrà i medesimi problemi». Per quanto riguarda la riforma del lavoro, «sono d’accordo con il ministro Giovannini che vada modificata, nessuna norma nasce perfetta, si fanno esperimenti».

      E sugli esodati? «L’Inps non ha alcun diritto di rispondere in modo soggettivo su questo tema. Se una persona è stata riconosciuta come salvaguardata non c’è nessuno, nemmeno ai vertici, che possa dare un’opinione diversa. Se non si adegua ritengo debbano esserci delle sanzioni», ha continuato la Fornero, che ammette come quella degli esodati non sia una situazione che aveva previsto e di cui possa dire di andare orgogliosa. «Abbiamo salvaguardato 130 mila esodati, su tutti gli altri non mi posso esprimere, spero che il nuovo governo trovi la copertura finanziaria». Un commento anche sull’ipotesi di accorciare il tempo di rinnovo dei contratti a tempo determinato: «Non credo sia un buon servizio né al lavoratore né all’impresa, non aiuta la produttività». Infine, una considerazione generale sui lavoratori italiani: «Costano troppo e sono poco produttivi», ha affermato l’ex ministro.
                                          IL VIDEO INTERVISTA  CLICCA SOPRA IL LINK

PENSIONI LE INDICAZIONI DELL'EUROPA SERVE UN REGIME MULTIPILASTRO

Pensioni, le indicazioni dell'Europa: serve un regime multipilastro 

Il Parlamento Europeo auspica l'attuazione di un regime pensionistico diversificato tra pubblico e privato.
La crisi economica, sommata all'inevitabile progressivo invecchiamento della popolazione, mette a repentaglio la tenuta del sistema previdenziale. E questo, ovviamente, non vale solo per l'Italia: il capitolo pensioni è in cima alle priorità anche del'Unione Europea.
Mentre il governo Letta, in patria, sta studiando una nuova riforma nella direzione di una maggiore flessibilità, Strasburgo detta le linee guida per il settore: l'indicazione è di diversificare i regimi pensionistici, tra sistema pubblico, pensioni complementari derivanti da accordi collettivi e soluzioni di risparmio privato, offerte da enti e compagnie di assicurazione.
In una risoluzione appena approvata, gli eurodeputati invitano gli stati membri a introdurre o mantenere sistemi pensionistici diversificati ed integrati.
In risposta al Libro bianco della Commissione del febbraio 2012, i deputati sostengono l'idea di un "sistema multipilastro": una struttura costituita da una combinazione di pensioni pubbliche nel primo pilastro, da pensioni complementari derivanti da accordi collettivi a livello nazionale o risultanti dalla legislazione nazionale nel secondo, e dal risparmio privato nel terzo pilastro.
Questo, sottolineano, fermo restando la priorità alla salvaguardia delle pensioni pubbliche, che "assicurano un livello di vita dignitoso per tutti". Nella risoluzione, i deputati deplorano in particolare "i forti tagli operati nei paesi più colpiti dalla crisi economica, a causa dei quali molti pensionati si trovano ora in una situazione di povertà o sono a rischio di povertà".
Infine, l'indicazione a creare contemporaneamente più occupazione: "per finanziare pensioni adeguate, sicure e sostenibili - afferma la risoluzione del Parlamento - è necessario aumentare il tasso di occupazione, ad esempio eliminando gradualmente i regimi di prepensionamento o consentendo alle persone di lavorare oltre l'età legale di pensionamento, se lo desiderano".

LETTA INCALZA I PARTITI RIFORME ENTRO 18 MESI

Letta incalza i partiti «Riforme entro 18 mesi» 

Ce la mette tutta, Enrico Letta, quando sprona i partiti spiegando che «questa è un’occasione unica per le riforme» e che «l’astensionismo alle comunali è un segnale che la politica non può più permettersi di ignorare». Ma la verità è che dopo quanto visto ieri in Parlamento, la strada per modificare la seconda parte della Costituzione sembra essersi fatta terribilmente in salita. Tra compromessi al ribasso e spaccature nei partiti di maggioranza, infatti, l’idea che nei 18 mesi fissati dal premier come «dead line» per le riforme si arrivi a un accordo univoco su riduzione dei parlamentari, addio al bicameralismo perfetto, potenziamento dei poteri del premier e nuova legge elettorale, appare quantomeno utopistica.
Ieri, nelle due Camere, era il giorno della presentazione delle mozioni per avviare il processo riformativo. Alla base del documento elaborato dagli «sherpa» di Pd, Pdl e centristi, la composizione della commissione di 40 «saggi» che dovrà elaborare il piano di modifiche costituzionali e sottoporlo al voto del Parlamento e al referendum popolare. Nessun accenno ai contenuti, insomma. Per adesso l’unico accordo faticosamente trovato è quello sul metodo.
In particolare, la mozione approvata a larga maggioranza sia dalla Camera che dal Senato impegna il governo a presentare al Parlamento, entro fine giugno, un disegno di legge costituzionale che preveda una procedura straordinaria per le modifiche costituzionali rispetto a quella stabilita dall’articolo 138 della Carta. In particolare, il ddl dovrà istituire un comitato, composto da 20 senatori e 20 deputati (scelti proporzionalmente basandosi sui voti conseguiti alle elezioni e non sui seggi, come richiesto dal Pdl). Il comitato sarà presieduto dai presidenti delle commissioni per le Riforme. Inoltre si sono stabiliti gli iter legislativi che dovranno seguire i provvedimenti delle Commissioni, che passeranno sì in Parlamento e saranno aperti agli emendamenti, ma dovranno al tempo stesso contenere meccanismi per garantire la conclusione del percorso in 18 mesi. Infine, si è deciso di non indicare ancora nessuna modifica alla legge elettorale, che andrà cambiata solo nel contesto più ampio della riforma costituzionale.
«Siamo chiamati a dare seguito all’impegno che abbiamo preso col Capo dello Stato», ha esordito Letta nel discorso al Senato. «C’è un drammatico distacco dei cittadini dalla politica - ha continuato - e il segnale che i cittadini italiani hanno dato è inequivocabile. Questa è un’occasione unica per fare le riforme e non va perduta». «Questo Paese - ha sottolineato il premier - non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere. Abbiamo la più bella Costituzione, ma dobbiamo cambiarla perché oggi rispetto alle esigenze della nostra società abbiamo bisogno di istituzioni che decidono più democraticamente e rapidamente».
Ma il presidente del Consiglio ci tiene innanzitutto a porre dei paletti temporali: «Qui non può cominicare un percorso dai tempi indefiniti, sarebbe la cosa peggiore che potremmo fare. Entro 18 mesi deve terminare tutto l’iter complesso». E se così non fosse «ne trarremo le conseguenze» ammonisce Letta, lasciando intendere che un fallimento significherebbe la fine del governo.
Ma sulla tempistica arriva già il distinguo del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, per il quale «i 18 mesi decorreranno da quando il ddl costituzionale del governo sarà approvato dal Parlamento, quindi presumibilmente a fine settembre». In realtà, trattandosi di un provvedimento che modifica la Carta, il disegno di legge del governo dovrà affrontare l’iter della doppia «navetta» Camera-Senato a distanza di tre mesi. E quindi i tempi si potrebbero allungare ulteriormente.
Quando basta, con una situazione politica così instabile, per far passare ancora invano il treno delle riforme. È il rischio denunciato da 43 parlamentari del Pd che, pur dando parere favorevole alla mozione di maggioranza, ne portano alla luce i punti critici. Il documento reca la firma, tra gli altri, di Rosy Bindi, Pippo Civati, Laura Puppato e di alcuni prodiani e renziani. Vi si sottolineano, in particolare, le perplessità sulla «deroga alla procedura di revisione costituzionale» che «rappresenta un oggettivo problema e un pericoloso precedente» e, soprattutto, sul pericolo che il superamento del Porcellum venga rinviato «sine die», «in aperta contraddizione col solenne impegno da tutti proclamato per la sua cancellazione».

PD SI DIVIDE LA CAMERA BOCCIA RITORNO AL MATTARELLUM

Legge elettorale, Pd si divide. La Camera boccia ritorno al Mattarellum 

Respinta la mozione del deputato Pd Giachetti che aveva chiesto l'abolizione immediata del Porcellum con conseguente ritorno al sistema precedente. Al Senato è passata la mozione della maggioranza sulle riforme: entro giugno ddl su revisione della Costituzione
camera
ROMA - Sul fronte della riforma della legge elettorale, con 415 voti contrari e 139 voti a favore la Camera ha respinto ieri sera la mozione del deputato Pd renziano Roberto Giachetti che impegnava ad abrogare subito il Porcellum per tornare al Mattarellum. "L'unica modifica al sistema che possa coagulare in tempi brevi il consenso di un'ampia maggioranza parlamentare  - ha detto Giachetti - è il ritorno alla previgente disciplina, ovvero al cosiddetto Mattarellum". Ed è proprio attorno alla mozione presentata ieri alla Camera che è esploso lo scontro nel Partito democratico. La mozione Giachetti è stata colta come un fulmine a ciel sereno dalle parti del Nazareno, dopo che per tutta la giornata di martedì si era cercato di arrivare ad una quadra sulla mozione di maggioranza. Quadra faticosamente trovata con il risultato di escludere l'immediata modifica della legge elettorale, compresa la clausola di salvaguardia, per inserirla nel più ampio schema di revisione costituzionale. In più il sindaco di Firenze ha lanciato una sfida al premier Letta e ha difeso Giachetti, attaccando sull'urgenza della riforma elettorale. ''Prima di essere renziano è una persona seria - ha detto Renzi -, sulla legge elettorale ci ha messo la faccia. Oggi non si consumava il voto della vita ma ho la preoccupazione che governo e maggioranza rinviino troppo, facciano melina''. Parole che non fanno piacere al premier, determinatissimo a marciare verso l'approvazione delle riforme. 
FINOCCHIARO: "GIACCHETTI INTEMPESTIVO". Secondo Anna Finocchiaro, che pure nei giorni scorsi aveva depositato un disegno di legge per il ritorno al Mattarellum, l'azione di Giachetti è stata "intempestiva: non possiamo mettere a rischio il percorso con atti di prepotenza". Il problema principale, infatti, è che sul ritorno al sistema elettorale precedente al Porcellum, benché sia una opzione maggioritaria nel Pd, c'è stata fin da subito la netta opposizione del Pdl che invece predilige, come soluzione transitoria, l'apporto di poche modifiche alla legge attuale. Di qui la necessità di evitare forzature e la scelta di non entrare subito nel merito delle modifiche, anche per tutelare la tenuta del governo. Durante la giornata ci sono stati diversi tentativi di fare desistere il deputato del Pd. In primo luogo alcuni dei firmatari della mozione, tra cui il veltroniano Walter Verini e il franceschiniano Alessandro Bratti, hanno fatto mancare il loro appoggio. Durante l'assemblea del gruppo del Pd  il presidente dei deputati dem Roberto Speranza ha chiesto ufficialmente il ritiro della mozione dichiarando: "Il Pd non voterà a favore della mozione, parlare di ritorno al Mattarellum è prematuro".
RIFORME, PASSA LA MOZIONE DELLA MAGGIORANZA. Senato e Camera hanno approvato ieri la mozione di maggioranza sulle riforme costituzionali con 224 sì, 61 no e 4 astenuti. La mozione impegna il governo a presentare entro giugno un ddl costituzionale che preveda una procedura straordinaria per la riforma della Costituzione. "Il Senato - si legge nel 'dispositivo' della mozione - impegna il governo a presentare alle Camere, entro il mese di giugno 2013, un disegno di legge costituzionale, che in coerenza con le finalità e gli obiettivi indicati nelle premesse, preveda, per l'approvazione della riforma costituzionale, una procedura straordinaria rispetto a quella di cui all'articolo 138 della Costituzione, che tenda a agevolare il processo di riforma, favorendo un'ampia convergenza politica in Parlamento". "Il disegno di legge -si legge ancora - dovrà, altresì, prevedere adeguati meccanismi per un lavoro comune delle due Camere. In particolare, occorrerà prevedere: a) l'istituzione di un comitato, composto da 20 senatori e 20 deputati, nominati dai rispettivi Presidenti delle Camere, su designazione dei Gruppi parlamentari, tra i componenti delle Commissioni Affari Costituzionali, rispettivamente, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, in modo da garantire la presenza di ciascun gruppo parlamentare e di rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi tenendo conto della loro rappresentanza parlamentare e dei voti conseguiti alle elezioni politiche". Il comitato e' presieduto congiuntamente dai Presidenti delle stesse commissioni, "cui conferire poteri referenti per l'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di governo e all'assetto bicamerale del Parlamento, nonché, coerentemente con le disposizioni costituzionali, di riforma dei sistemi elettorali".
"SCETTICI" 43 PARLAMENTARI DEL PD. Quarantatré parlamentari del Pd hanno sottoscritto un documento in cui esprimono "scetticismo intorno alla via di riforme costituzionali che il governo e la sua maggioranza hanno inteso intraprendere". Tra i firmatari anche Rosy Bindi, Laura Puppato, Giuseppe Civati, Antonio Boccuzzi, Walter Tocci, Vannino Chiti e Sandra Zampa. I parlamentari, "in merito alla mozione di maggioranza oggi in votazione a Camera e Senato relativa al processo di riforma costituzionale", hanno manifestato alcune "preoccupazioni". Scrivono i parlamentari: "La deroga alla procedura di revisione costituzionale rappresenta un oggettivo problema e un pericoloso precedente". E aggiungono che "è quanto meno discutibile che siano le Camere a chiedere al Governo di impegnarsi a varare un disegno di legge costituzionale che introduca una tale deroga su materia eminentemente parlamentare".

lunedì 27 maggio 2013

LAVORO TASSE PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E BANCHE

Lavoro, tasse, pubblica amministrazione e banche: ecco le riforme che l'Europa ci chiede ancora

L'Ue promuove i conti dell'Italia, ma vuole misure strutturali per la crescita. Il giudizio in vista dell'Ecofin  

Promossa per i bilanci, ma ancora osservata speciale per la necessità di riforme. È questo, in sostanza, il giudizio che l'Unione Europea sta per esprimere sull'Italia, in vista della riunione dell'Ecofin, il gruppo che riunisce i ministri economici e finanziari del Vecchio Continente. Mercoledì prossimo, infatti, il commissario Ue per gli affari economici, Olli Rehn, proporrà la chiusura della procedura straordinaria ai danni del nostro paese, aperta nel 2009 per la presenza di un deficit eccessivo. Dopo aver promosso i conti pubblici di Roma, però, le autorità di Bruxelles indicheranno alcune misure strutturali ancora necessarie per riportare il nostro paese sulla strada della crescita. Ecco, nel dettaglio, cosa ci chiede ancora l'Europa.
TUTTO SULLA CRISI DELL'EURO
LAVORO
Per rilanciare l'occupazione, dopo la contestatissima  riforma Fornero , l'Italia ha bisogno di spingere di più sulle politiche attive per l'impiego. Il che si traduce, per Bruxelles, in un potenziamento dei servizi di collocamento per i i giovani e della formazione professionale per i neolaureati. Si tratta di misure che hanno bisogno di risorse finanziarie per essere attuate, che potrebbero arrivare proprio dai fondi comunitari se il premier italiano, Enrico Letta, riuscirà ad anticipare di un anno i piani europei contro la disoccupazione giovanile.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Da Bruxelles arriverà mercoledì anche l' invito a rendere più efficiente l'intero sistema della la pubblica amministrazione, riducendo i tempi biblici della giustizia civile, attuando una lotta efficace contro la corruzione e utilizzando meglio i fondi europei nelle regioni del Sud, dove spesso le risorse si perdono in una miriade di sprechi. Non manca neppure l'appello a favore delle liberalizzazioni e per una semplificazione della selva di leggi e regolamenti che impediscono lo sviluppo dei settori produttivi e delle attività imprenditoriali.
BANCHE
L'Ue chiede anche al nostro paese di migliorare il sistema creditizio, che oggi è molto avaro con le aziende italiane. Da Bruxelles, giunge innanzitutto l'invito a sviluppare nuove fonti di finanziamento alle imprese, alternative a quelle più tradizionali delle banche. Inoltre, la Commissione Europea suggerisce anche di rimuovere o modificare la regola che obbliga gli istituti di credito nazionali a non eliminare i crediti ormai inesigibili dai propri bilanci, se non dopo un periodo lunghissimo di tempo (che arriva sino a 18 anni). Si tratta di una norma “ferrea”, che ha delle ripercussioni negative sui conti delle banche e ostacola spesso l'erogazione di nuovi prestiti.
FISCO
Pur non avendo competenze dirette in ambito fiscale, la Commissione Ue chiede all'Italia l'adozione di alcune misure efficaci anche su questo fronte. Secondo Bruxelles, va continuata la lotta all'evasione e va riformato il catasto. Inoltre, deve essere attuato un alleggerimento del peso delle tasse dal lavoro, che oggi è fortemente penalizzato, spostandolo verso le proprietà, i consumi e le attività industriali inquinanti.
Non va dimenticato, infine, che l'Italia ha ricevuto comunque dall'Europa anche un invito a non abbassare la guardia nel consolidamento dei conti pubblici, tenendo sotto controllo il deficit, senza sgarrare nelle politiche di spesa. Come dire: la prima promozione c'è stata, ma gli esami non sono finiti.