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martedì 6 maggio 2014

LA TRUFFA DELLA VENDITA DI BANCA ITALIA

LA TRUFFA DELLA VENDITA DI BANCA ITALIA 

In questa data avvengono due fatti estremamente importanti per la realizzazione del progetto:
viene varata la legge 82 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), attribuisce alla Banca d’Italia la “facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro”
. Ovvero dal 1992 la Banca d’Italia decide autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro; Giulio Andreotti come presidente del Consiglio assieme al ministro degli Esteri Gianni de Michelis e al ministro del Tesoro Guido Carli firmano il Trattato di Maastrich, con il quale vengono istituiti il Sistema europeo di Banche Centrali (SEBC) e la Banca Centrale Europea (BCE). Il SEBC è un’organizzazione, formata dalla BCE e dalle Banche Centrali nazionali dei Paesi dell’Unione Europea, che ha il compito di emettere la moneta unica (euro) e di gestire la politica monetaria comune con l’obiettivo fondamentale di mantenere la stabilità dei prezzi.
I cittadini italiani non si rendono conto della gravità delle conseguenze che questi atti hanno, ed avranno, sulle loro vite. Ne subiscono le conseguenze e quando si domandano “perchè”, ogni volta viene loro proposto un capro espiatorio diverso. L’importante è che i cittadini non riescano a capire quanto sta avvenendo.
I potenti, nel frattempo, continuano a lavorare al loro progetto e, il 13 ottobre 1995, il governo italiano, con il Decreto Ministeriale numero 561, pone il segreto su:
“articolo 2) atti, studi, analisi, proposte e relazioni che riguardano la posizione italiana nell’ambito di accordi internazionali sulla politica monetaria…;
d) atti preparatori del Consiglio della Comunità europea;
e) atti preparatori dei negoziati della Comunità europea…
Articolo 3. a ) atti relativi a studi, indagini, analisi, relazioni, proposte, programmi, elaborazioni e comunicazioni… sulla struttura e sull’andamento dei mercati finanziari e valutari…; ecc. …)”.
Insomma, quanto il Governo sta facendo per realizzare il progetto europeo non si deve sapere, men che meno in ambito di politica monetaria.
Il 1 gennaio 2002 l’Italia ed altri Paesi europei (non tutti) adottano come moneta l’euro. I prezzi raddoppiano, gli stipendi no. La crisi economica si acuisce. Anche in questo caso viene offerto ai cittadini qualche capro espiatorio per giustificare una crisi che, invece, secondo alcuni analisti, è stata pianificata da tempo.
Il 4 gennaio 2004 Famiglia Cristiana rende note le quote di partecipazione alla Banca d’Italia. Si scopre così, per la prima volta (le quote di partecipazione di Banca d’Italia erano riservate) che l’istituto di emissione e di vigilanza, in palese violazione dell’articolo 3 del suo statuto (“In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici) è, per il 95% in mano a banche private e società di assicurazione (Intesa, San Paolo, Unicredito, Generali, ecc..). Solo il 5% è dell’INPS.
Da quando la Banca d’Italia è in mano ai privati? Come è potuto succedere tutto ciò? La risposta è semplice: con la privatizzazione degli istituti di credito voluta con la legge numero 35/1992 Amato- Carli, cui, l’ex governatore della Banca d’Italia, ha fatto subito seguire la legge 82/1992, che dava facoltà alla Banca d’Italia di decidere autonomamente il costo del denaro.
In altri termini con queste due leggi la Banca d’Italia è divenuta proprietà di banche private che si decidevano da sole il costo del denaro sancendo così, definitivamente, il dominio della finanza privata sullo Stato. A questo stato di cose seguono i noti scandali bancari (Bond argentini, Cirio, Parmalat, scalata Unipol con il rinvio a giudizio del governatore di Banca d’Italia Fazio, ecc..) con grande danno per migliaia di risparmiatori.
Non è possibile che il ministro Carli, ex governatore della Banca d’Italia, non si sia accorto di tutto ciò. Ed ancora: è possibile che i politici, ministri del Tesoro, governatori non si siano accorti, per ben 12 anni, di questa anomalia? Comunque se ne accorgono alcuni cittadini, che citano immediatamente in giudizio la Banca d’Italia.
Il 26 settembre 2005 un giudice di Lecce, con la sentenza 2978/05, condanna la Banca d’Italia a restituire ad un cittadino (l’attore) la somma di euro 87,00 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla sottrazione del reddito monetario.
Nella sentenza viene sottolineato, inoltre, come la Banca d’Italia, solo nel periodo 1996-2003, si sia appropriata indebitamente di una somma pari a 5 miliardi di euro a danno dei cittadini. Ma ancora non basta, perché la perizia del CTU nominato dal giudice mette in evidenza:
Per quanto concerne la Banca d’Italia:
come questa sia, in realtà, un ente privato, strutturato come società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da parte dello Stato;
come, pur avendo il compito di vigilare sulle altre banche, Banca d’Italia sia in realtà di proprietà e controllata dagli stessi istituti che dovrebbe controllare;
come, dal 1992, un gruppo di banche private decida autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro.
Per quanto concerne la BCE:
come questa sia un soggetto privato con sede a Francoforte;
come, ex articolo 107 del Trattato di Maastricht, sia esplicitamente sottratta ad ogni controllo e governo democratico da parte degli organi dell’Unione Europea.
come la succitata previsione faccia si che la BCE sia un soggetto sovranazionale ed extraterritoriale;
come, tra i sottoscrittori della BCE, vi siano tre Stati (Svezia, Danimarca ed Inghilterra) che non hanno adottato come moneta l’euro, ma che, in virtù delle loro quote, possono influire sulla politica monetaria dei Paesi dell’euro.
In altri termini la sentenza mette in evidenza come lo Stato, delegato dal popolo ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, dal 1992 l’abbia ceduta a soggetto diverso dallo Stato: prima alla Banca d’Italia (di proprietà al 95% di privati), quindi alla BCE (soggetto privato, soprannazionale ed extraterritoriale).
Così facendo lo Stato ha violato due articoli fondamentali della Costituzione:
L’articolo 1 che recita: “… La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Infatti il popolo aveva delegato i suoi rappresentanti ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, non a cederla a soggetti privati;
L’articolo 11 della Costituzione che recita: “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
L’articolo 11 della Costituzione consente limitazioni (non già cessioni) della sovranità nazionale.
Inoltre, la sovranità monetaria non è stata ceduta a condizioni di parità (le quote di partecipazione alla BCE non sono paritarie), vi fa parte anche la Banca d’Inghilterra che non fa parte dell’euro e partecipa alle decisioni di politica monetaria del nostro Stato, senza che lo Stato italiano possa in alcun modo interferire nella politica monetaria interna.
Ed ancora. Tale limitazione (non cessione) può essere fatta ai soli fini di assicurare “la pace e la giustizia tra le Nazioni”. I fini della BCE non sono quelli di assicurare pace e giustizia fra le nazioni, ma quello di stabilire una politica monetaria. La sentenza è, quindi, estremamente importante e, per taluni, anche estremamente pericolosa, visto che ai politici che illegittimamente hanno concesso la sovranità monetaria prima alla Banca d’Italia e poi alla BCE potrebbero essere contestati i reati di cui agli articoli:
241 codice penale: “Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato, è punito con l’ergastolo”.
283 codice penale: “Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni”.
I politici, infatti, hanno ceduto un potere indipendente e sovrano ad un organismo privato e, per quanto riguarda la BCE , anche esterno allo Stato. Il pericolo c’è, ma la paura di un possibile rinvio a giudizio per questi gravi reati dura poco. Per una strana coincidenza, a soli 5 mesi dalla sentenza che condanna la Banca d’Italia, nell’ultima riunione utile prima dello scioglimento delle camere in vista delle elezioni, con la legge 24 febbraio 2006 numero 85 dal titolo “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” vengono modificati proprio gli articoli 241 (attentati contro l’indipendenza, l’integrità e l’unità dello Stato); 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato); 289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), ovvero le figure di attentato alle istituzioni democratiche del Paese, che, diciamolo, con i reati di opinione hanno ben poco a che vedere.
Cosa cambia con questa modifica? Nella sostanza le figure di attentato diventano punibili solo se si compiono atti violenti. Se invece si attenta alla Costituzione semplicemente abusando di un potere pubblico non si commette più reato. I politici, dunque, non solo sono salvi per quanto concerne il passato, ma, da ora in poi, potranno abusare del loro potere pubblico violando la Costituzione senza più rischiare assolutamente nulla. Certo, questa modifica priva la nostra repubblica di qualsiasi difesa, ma di questo pare nessuno se ne accorga.
Pochi mesi dopo questa modifica arriva la sentenza 16.751/2006 della Cassazione a Sezioni Unite, che accoglie il ricorso di Banca d’Italia avverso la succitata sentenza del giudice di Lecce. Nelle motivazioni si legge: “… al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione ad organismi sovranazionali: funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto”.
In altri termini il giudice non può sindacare come lo Stato esercita le sue funzioni sovrane, neanche quando queste arrechino un danno al cittadino.
Ma, come abbiamo appena visto, il cittadino è rimasto privo di difese anche nel caso in cui, abusando di poteri pubblici, la sua sovranità venga svenduta a soggetti privati. E allora che fare? Al cittadino resta un’ultima flebile speranza? Può aggrapparsi alla violazione dell’articolo 3 dello Statuto della Banca d’Italia? Assolutamente no, anche l’articolo 3 dello Statuto, ovviamente, è stato modificato a dicembre del 2006. Ora non è più necessaria nessuna partecipazione pubblica in Banca d’Italia. Tutto in mano ai privati per Statuto.
La sovranità monetaria è persa. Ma l’inganno è solo all’inizio, anche se è stato portato a termine un tassello importante del progetto, in fondo si sa, è il denaro che governa il mondo.
Lisbona
I potenti, sicuri della loro totale impunità, proseguono nel grande inganno e, visto che nel 2005 la Costituzione Europea (che presentava palesi violazioni con le maggiori costituzioni europee e pareva scritta per favorire le grandi lobby affaristiche in danno dei cittadini) era stata bocciata da francesi ed olandesi al referendum, decidono che, per far passare il testo, si deve agire in due modi:
evitare di far votare la popolazione;
rendere il testo illeggibile.
Il loro progetto prevede di lasciare la Costituzione Europea immutata e, per evitare il referendum, di chiamarla Trattato. Poi, per non far capire al cittadino che nulla è cambiato, rendono il testo illeggibile inserendo migliaia di rinvii ad altre leggi e note a piè pagina, come hanno confessato:
l’ex presidente francese Valéry Giscard D’Estaing: “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum”;
il parlamentare europeo danese Jens-Peter Bonde “i primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe mai stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum. La loro intenzione era di farlo approvare senza sporcarsi le mani con i loro elettori”;
il nostro Giuliano Amato: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile… Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum”.
Nel 2007 tutto è pronto e il 13 dicembre i capi di governo si riuniscono a Lisbona per firmare il Trattato, ovvero la Costituzione Europea bocciata nel 2005 e resa illeggibile. Ora manca solo la ratifica dei vari Stati.
Il parlamento italiano ratifica il trattato di Lisbona l’8 agosto del 2008, approfittando della distrazione dei cittadini dovuta al periodo feriale. Nessuno spiega ai cittadini cosa comporti la ratifica del Trattato, ed i media, ancora una volta, tacciono.
In realtà con quella ratifica abbiamo ceduto la nostra sovranità in materia legislativa, economica, monetaria, salute e difesa ad organi ( Commissione e Consiglio dei Ministri) che non verranno eletti dai cittadini. Il solo organo eletto dai cittadini, il Parlamento Europeo, non avrà, nei fatti, alcun potere.
Ancora una volta i nostri politici, abusando del loro potere pubblico, hanno violato l’articolo 1 e 11 della nostra Costituzione.
L’articolo 1 perchè, come detto, lo Stato ha la delega ad esercitare la funzione sovrana in nome e per conto dei cittadini, non a cederla. E’ come se una persona avesse il compito di amministrare un immobile e lo vendesse all’insaputa del proprietario, abusando del potere che gli è stato conferito.
Inoltre ha violato l’articolo 11 perché, come abbiano visto: “L’Italia… consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità”.
Lo Stato, invece, ancora una volta ha ceduto la sovranità e l’ha ceduta non in condizioni di parità. Infatti l’Inghilterra, che già non ha aderito all’euro, in sede di negoziato ha ottenuto diverse e importanti esenzioni per aderire al Trattato di Lisbona, eppure pare che il primo presidente europeo sarà proprio l’ex primo ministro inglese Tony Blair. La nomina a presidente europeo di Blair deve far riflettere, sopratutto in ordine alla cosiddetta Clausola di Solidarietà presente nel Trattato di Lisbona. Detta Clausola prevede che ogni nazione europea sia tenuta a partecipare ad azioni militari quando si tratti di lottare contro “azioni terroristiche” in qualunque altra nazione. Il problema e che nessuno ha definito cosa si intenda per “azioni terroristiche”. Chi deciderà chi è un terrorista e perchè? Persone come Tony Blair, in passato coinvolto nello scandalo sulle inesistenti armi di distruzione di massa in mano a Saddam con cui è stata giustificata la guerra all’Iraq? A quante guerre ci sarà chiesto di partecipare solo perché qualche politico non democraticamente eletto avrà deciso di usare la parola “terrorista” o “azione terroristica”?
Si consideri che già, oggi, basta definire un cittadino “presunto terrorista” per poterlo privare dei diritti umani e permettere che i servizi segreti possano sequestrarlo a fini di tortura, attività criminale che potrà poi essere coperta con il segreto di Stato, come ha recentemente confermato con la sentenza 106/2009 anche la nostra Corte Costituzionale.
Ma il dato più allarmante è che con il Trattato di Lisbona viene reintrodotta la pena di morte. Ovviamente tale dicitura non è chiaramente presente nel testo, ma in una noticina a piè pagina (si continua nell’inganno).
Leggendo attentamente questa noticina, e seguendo tutti i rimandi, si arriva alla conclusione che con il Trattato di Lisbona accettiamo anche la Carta dell’Unione Europea, la quale dice “La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: Per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione” (articolo 2, paragrafo 2 della CEDU).
La cosa è di estrema gravità. Infatti, anche in questo caso, chi deciderà che una protesta è sfociata in disordini tali da rendere lecito un omicidio? (l’Italia, poi, ha un triste primato in fatto di “agenti provocatori” pagati per trasformare una manifestazione in guerriglia). In quali casi si potrà sparare sulla folla disarmata? Chi deciderà quando potranno essere sospesi i diritti umani? Perché di questo si tratta.
Ecco la storia di un grande inganno, un inganno che inizia
- con il cedere illecitamente, proteggendosi con il segreto, la funzione sovrana dell’esercizio della politica monetaria a privati:
- nello sfuggire alle responsabilità del proprio operato depenalizzando le figure di attentato alla Costituzione;
- nell’approfittare delle ferie estive per ratificare un Trattato con cui vengono cedute le nostre restanti sovranità (legislativa, economica, monetaria, salute, difesa, ecc.) ad una oligarchia non eletta e che nessuno conosce;
- ed, in ultimo, nel dare il potere a qualche politico di poter privare i cittadini dei loro diritti umani semplicemente con una parola.
Così, quando i cittadini si renderanno conto che hanno perso tutto, che la loro vita viene decisa da una oligarchia di potenti non eletti democraticamente, quando si renderanno conto del grande inganno in cui sono caduti non sarà loro concesso neanche reagire o protestare, perchè basterà una sola parola per trasformare la reazione in “azione terroristica” o la protesta in “insurrezione”, legittimando così la sospensione dei diritti umani e l’applicazione della pena di morte. Il tutto, poi, verrà coperto con il segreto di Stato.
La crisi non esiste,la crisi è provocata dalla banche che chiedono rientri e non rilasciano presiti,questo provoca un’economia ferma e senza sbocchi.
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TOTALI 300.000.

L'OSCE COPIA IL GOVERNO SU RECENSIONE E DEFICIT

L'Ocse copia il governo su recessione e deficit ma frena sulla disoccupazione: "Nessun miglioramento" 

Crescita lenta e ancora problemi con il deficit nel 2014 e 2015 mentre sul fronte della disoccupazione continua la stagnazione. E’ questo in sintesi il quadro che l’Ocse ha diffuso in queste ore sulla situazione nel Bel Paese, un quadro tutto sommato uguale a quello delineato dal Governo nell’ultimo Def. Così sovrapponibili i due profili che in un passaggio viene sottolineato come le prospettive complessive continuano a migliorare non solo grazie "alle esportazioni, stimate in crescita per via dell'aumento della domanda estera”, ma anche per una domanda interna che iniziera' a espandersi, “sostenuta anche dai tagli alle tasse sul reddito nel 2014”. Tuttavia, ancora una volta proprio come sottolinea palazzo Chigi, servono "ulteriori riforme strutturali mentre "il governo dovrebbe anche garantire l'effettiva attuazione delle riforme precedenti".
Nel 2015 la disoccupazione sarà al 12,5%
La recessione continuera' durante il 2104 e la crescita aumentera' un po' di piu' nel 2015 - scrive l'organizzazione parigina - Il ritorno della fiducia aiutera' sia i consumi sia gli investimenti (tenuti a freno dal sistema creditizio), con un'ulteriore spinta dai moderati tagli alle tasse che aumenteranno il reddito delle famiglie". Quadro nero per la disoccupazione, che scendera' nel 2015, ma solo lentamente, perche' il primo impatto dell'aumento della domanda di lavoro “saranno probabilmente piu' ore lavorate". La percentuale di senza lavoro viene al 12,8% nel 2014, dopo il 12,2% dell'anno scorso, e al 12,5% nel 2015. Sul fronte del deficit invece, scrive ancora l'Ocse, "il governo italiano ha avuto successo nel portare avanti il consolidamento di bilancio nel 2013". Ciononostante, "il livello del deficit non e' sceso, a causa dell'attivita' economica debole". Il rapporto deficit/Pil e' cosi' rimasto al 2,8% l'anno scorso, e scendera' secondo le stime dell'organizzazione al 2,7% quest'anno e al 2,1% l'anno prossimo."il rapporto tra debito e Pil non comincera' a scendere prima del 2016”. Cio' rende il Paese "ancora vulnerabile a potenziali scossoni" dei mercati, ed e' quindi "essenziale continuare con la cautela sui conti pubblici basata sulla riduzione della spesa".
"Inflazione destinata a rimanere bassa"
La fiducia delle imprese “e' cresciuta ma rimane al di sotto dei recenti picchi", prosegue l'Ocse, "l'occupazione, pero', continua a diminuire e la disoccupazione e' aumentata di nuovo; pertanto la debolezza dell'economia rimane sostanziale". "La crescita dei salari e' rimasta bassa e l'inflazione e' calata, in parte a causa dell'apprezzamento dell'euro", si legge ancora nell'Outlook, "la spesa pubblica restera' debole e l'inflazione e' destinata a rimanere bassa". In Italia le condizioni del credito dovrebbero in qualche modo migliorare nel 2014, a seconda dei risultati dell'Asset Quality Review della Bce, ma dovrebbero sostenere una ripresa solo graduale degli investimenti", i quali, secondo l'Ocse, accelereranno comunque nel 2015 grazie proprio alla ripresa delle esportazioni. I rischi al ribasso per la ripresa, afferma ancora l'organizzazione di Parigi, sono legati proprio al settore bancario, la cui debolezza potrebbe "restringere il credito e interrompere il normale ciclo degli investimenti" e a una possibile reazione avversa dei mercati a una frenata sul consolidamento fiscale. D'altro canto, si legge ancora nell'Outlook, "gli investimenti, e di conseguenza il Pil, potrebbero riprendersi piu' del previsto, soprattutto se il piano di rimborso dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese riuscira' a dare un impeto significativo all'economia".
Il quadro mondiale è sostanzialmente statico
La situazione mondiale, al di là di qualche facile trionfalismo sui segnali di qualche ripresa in settori del mondo occidentale, non lascia intravvedere grandi prospettive. Il Pil dell'area Ocse e' destinato a crescere del 2,2% nel 2014 e del 2,8% nel 2015, in accelerazione rispetto all'espansione dell'1,3% segnata nel 2013, in un quadro che vede gli Usa accelerare, la Cina rallentare e l'Eurozona riprendersi in modo piu' lento rispetto alle altre grandi potenze economiche mondiali. Però, viene anche sottolineato che i rischi derivanti dal ritiro delle misure di allentamento quantitativo attuate dalle banche centrali "potrebbero rivelarsi un'enorme sfida", dice l’Ocse. E se da una parte sono diminuiti i timori di un collasso dell'area euro, proprio "le tensioni finanziarie sui mercati emergenti potrebbero far deragliare la ripresa globale". Fattori di rischio che si aggiungono ai pericoli di deflazione nell'Eurozona e alle tensioni geopolitiche, in un quadro dove "l'eredita' della crisi deve ancora essere affrontata".

RIFORMA DEL SENATO IL GOVERNO VA SOTTO SULL'ODG CALDEROLI

Riforma del Senato, il governo va sotto sull’odg Calderoli. Poi passa il testo base 

Roma - Il governo incassa l’adozione del proprio ddl come testo base per le riforme in commissione Affari costituzionali del governo, e per di più con i voti di Forza Italia e della Lega, cosa che spinge Matteo Renzi ad esultare («la palude non ci blocca è proprio la volta buona», dice) ma prima di questo passaggio maggioranza e governo incappano in uno scivolone che non lascia presagire un cammino tranquillo alle riforme.
In Commissione Affari costituzionali del Senato si era raggiunto un accordo di massima che consisteva nell’adottare il ddl del governo come testo base, e di votare anche un ordine del giorno che contenesse una serie di modifiche su cui c’era ampio consenso, compreso il sì del governo. Ma dopo una giornata di tensioni, nella seduta serale si è giunti con due distinti ordini del giorno da parte dei due relatori, Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli.
Il testo del senatore leghista indicava, diversamente da quanto prevede il ddl del governo e l’odg di Finocchiaro, l’elezione diretta dei senatori di ciascuna regione in concomitanza con quella dei consigli regionali. «Non la daremo vinta a Calderoli», dichiara il ministro Maria Elena Boschi entrando in Commissione. Ma da lì a poco subirà una delusione.
Al momento del voto Mario Mauro si è sfilato dalla maggioranza ed ha votato per il testo Calderoli (Corradino Mineo era in quel momento fuori dall’Aula): finisce 15 a 13. A quel punto l’ordine del giorno di Finocchiaro, che non entrava nel merito delle modalità di elezione dei senatori, viene ritirato, mentre viene bocciato un documento di Forza Italia che chiedeva di affrontare il presidenzialismo subito dopo la riforma di Senato e Titolo V.
Dopo un momento di smarrimento, con tanto di sospensione della seduta, maggioranza e governo non possono che prendere atto dello schiaffone. Viene quindi proposto il ddl del governo come testo base per i futuri emendamenti, ed esso viene approvato anche con il consenso di Forza Italia e Lega.
Il ministro Boschi esce subito dalla commissione con un largo sorriso e dice che quella odierna «è una serata positiva» visto che il ddl del governo è stato adottato come testo base, e «questo era l’obiettivo fondamentale». La linea comunicativa è di valorizzare questo aspetto, e così su Twitter Renzi fa sentire la propria esultanza: «approvato il testo base del Governo sulla riforma del Senato. Molto bene, non era facile. La palude non ci blocca! È proprio #lavoltabuona».
Le facce meste dei senatori di maggioranza tradiscono però altri sentimenti. L’ordine del giorno Calderoli, spiega la presidente di commissione Finocchiaro «orienterà» i lavori ma non inibirà altre soluzioni diverse. Insomma se verranno presentati emendamenti che escludono l’elezione diretta non saranno inammissibili e potranno essere discussi e votati. Quindi nulla è perduto. Purché maggioranza e governo sappiano fare bene i conti sui voti in commissione.

DOPO ODESSA NULLA SARA' COME PRIMA

Dopo Odessa Nulla Sarà Come Prima 

Un massacro pianificato e realizzato scientificamente dai terroristi di Kiev (perché i terroristi stanno al governo e non altrove) segna il punto di non ritorno di una guerra civile che non sarebbe mai cominciata senza i dollari americani, il supporto strategico della CIA e quello delle alte sfere militari statunitensi. Le visite di rappresentanti istituzionali prima degli assalti nel sud-est, dal capo della Cia Brennan al vice-Presidente Biden, sono l’emblema dell’escalation, pretesa e guidata da Washington.
Basterebbe seguire l’odore dei soldi per dipanare tutta la matassa Ucraina e portare i colpevoli alla sbarra, di fronte ad un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità, se non fosse che ormai l’afrore acido della carne bruciata rende del tutto inutile tale operazione, almeno sotto il profilo della compensazione del rancore che reclama un diverso tributo.
Qualcuno ha voluto alzare il livello dello scontro e ora dovrà pagarne le conseguenze. Ci saranno ancora violenze, ma non tutte le violenze sono uguali. La vendetta porterà a quella purificazione dall’odio che nessuna sentenza sarebbe mai in grado di garantire a chi ha subito lutti e umiliazioni. Del resto, gli pseudonazisti che hanno perpetrato l’eccidio di Odessa conoscono soltanto la lingua del terrore. Nella Casa del sindacato, dove si è svolta la rappresaglia, Pravy Sektor non ha semplicemente ucciso ma ha violentato le donne, vilipeso i cadaveri, bruciato le prove.
Non sarà il diritto a chiudere questa partita perché tutti quei morti chiamano i parenti e gli amici alla rivalsa che non tarderà a manifestarsi. Vorrei augurarmi il contrario ma immagino che le cose andranno così. La brutalità di Odessa è un refrain, un film già visto su altri scenari più lontani dietro ai quali, guarda caso, ci sono sempre gli americani.
Questa volta però anche l’Ue è stata parte attivissima, sin dai primi momenti, dell’esasperazione dello scontro. Fior di rappresentati europei facevano la spola tra Bruxelles e Kiev per dimostrare al popolo ucraino di essere pronti ad accoglierlo nella famiglia europea. Promettevano alla piazza, sotto un vergognoso sventolio di bandiere naziste e simbologia celtica, che solo un cieco non avrebbe notato, di voler condividere con essa ricchezza e democrazia.
Finora sono riusciti a darle un piano lacrime e sangue del FMI e una guerra fratricida con centinaia e centinaia di cadaveri. Chi ha sostenuto quel gioco sporco di giuramenti fasulli si è reso indirettamente complice di assassini e criminali. Li ha spinti ad una risolutezza che già non mancava alla frange più estreme di majdan, ha legittimato i carnefici alla “soluzione finale” del problema russo, assicurando loro l’impunità e una terra promessa di libertà nel grembo della Nato che era un miraggio, non la realtà.
Odessa è il risultato di queste dinamiche prevedibili che nessuno ha voluto evitare. Quasi trecento morti dicono gli odessini, nonostante la polizia stia provando ad occultare i corpi ed eliminare gli indizi. I responsabili di questo massacro sono a piedi libero e la Junta di Kiev sta impedendo indagini indipendenti perché dietro l’eccidio ci sono i suoi ordini. Nessuna trattativa tra le parti potrà essere possibile finché lo Stato Ucraino sarà in mano ai serial killer di Svoboda o di Batkivshchina. Lo ha detto anche Sergei Tigipko, membro del Partito delle Regioni, il quale ha chiesto nella Rada le dimissioni dell’esecutivo sotto il quale è avvenuta la mattanza.
La storia è sì magistra vitae, ma quasi sempre inascoltata. Ed ecco che qualcuno continua ancora a soffiare sul rogo di Odessa, reclamando ancora più distruzione. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione orribile che non rispetta i morti della casa del sindacato e nemmeno il sangue versato nel Donbass: ‘Kiev ha mostrato “grande moderazione”, sullo sfondo degli eventi in Ucraina orientale’, ha chiosato Washington. Senza parole. Le pecore nere di Kiev non potevano che essere state partorite da un montone ancor più immondo.
Fin qui la parte più emotiva che non ci direbbe nulla di veramente comprensibile su quello che sta avvenendo ad Est senza un’analisi più stringente della situazione geopolitica, benchè appena abbozzata. Il taglio razionale degli eventi ci suggerisce che gli Usa stanno mettendo in pratica una nuova strategia di accerchiamento delle potenze, con aspirazioni globali, nelle quali prevedono stia nascendola sfida concreta al mantenimento delle sue sfere egemoniche nella presente conformazione. Questa dichiarazione di guerra, perché di questo si tratta, degli Usa alla Russia mira a prevenire, o almeno rallentare, l’avvento di un mondo policentrico.
La Russia, in questo senso, non può rinunciare ai suoi sbocchi sul mare. Odessa rientra tra questi. E’ il suo punto di osservazione sull’Occidente, sul Mediterraneo e sul teatro africano, in una fase di massima allerta per gli equilibri in tali aree. Privata di questo avamposto Mosca diventerebbe una potenza regionale quasi orba, tagliata dal mediterraneo, snodo di palcoscenici multipli, con un campo visivo e d’azione molto più angusto. E’ vero che c’è la Crimea e la base di Sebastopoli ma se gli Usa installassero una loro postazione ad Odessa la prima sarebbe neutralizzata. Proprio come in Siria, dove i russi annoverano le basi di Tartus e Lakatia e si ritrovano ostacolati dal conflitto scatenato dagli Usa contro Assad.
Che farà allora il Cremlino? Sicuramente reagirà anche se non possiamo prevederne modi e tempi, ma lo farà per non vedere vanificati i suoi obiettivi vitali di risalita geopolitica. La sua strategia dolce o gentile, come l’ha definita il nuovo procuratore della Crimea, nonostante le continue istigazioni della Nato, assomiglia a quell’area centrale di calma, detta in termine tecnico occhio, intorno alla quale si creano pian piano i venti che si trasformano in tifoni. E i tifoni prima o poi si abbattono prendendo delle direzioni. Staremo a vedere con quale forza e fin dove si spingeranno.

MANGIALARDI REPLICA A GRILLO /DA RENZI NON SCIACALLAGGIO

Mangialardi replica a Grillo: “Da Renzi vicinanza a Senigallia, non sciacallaggio” 

Il Sindaco risponde al leader M5S: "Sono sicuro che la visita si tradurrà in sostegno economico dal Governo"
“Quello che scrive Grillo a proposito della visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi a Senigallia il giorno dopo la tremenda alluvione che ha colpito la nostra città è ingiusto, sbagliato e del tutto fuori luogo.
Altro che sciacallaggio politico, quello del Presidente Renzi è stato al contrario un atto di attenzione e affettuosa vicinanza ad una comunità come la nostra prostrata da una tragedia che ha provocato delle vittime e che rischia di mettere in ginocchio l’economia locale. E’ stato un gesto simbolico importante che ci ha fatto sentire meno soli.
Sono certo che il Presidente Renzi, a differenza di altri, tradurrà questa presenza anche in provvedimenti normativi concreti capaci di assicurare sostegno economico alla popolazione senigalliese colpita da una calamità così grave”.

LAVORO PA E RIFORMA PENSIONI 2014 RENZI REPLICA

Lavoro, PA e riforma pensioni 2014, Renzi replica alla Camusso: 'Avanti senza sindacati' 

Riforma pensioni 2014, Cgil, Cisl e Uil contro il Governo Renzi. Poletti: 'Governo cerca soluzioni per gli esodati' 
La leader della Cgil Susanna Camusso, ieri al congresso del "sindacato rosso" a Rimini, ha accusato il premier Matteo Renzi di determinare una "distorsione democratica" escludendo i sindacati dai processi decisionali e, con il sostegno di Cisl e Uil, ha lanciato la nuova sfida la governo chiedendo una riforma pensioni condivisa e la concertazione sulla riforma del lavoro e quella della Pubblica Amministrazione.
Lavoro, PA e riforma pensioni 2014, Renzi: 'Avanti senza sindacati'
Intanto il premier Matteo Renzi replica ai sindacati e alla Cgil che ieri a Rimini hanno sferrato un nuovo attacco al governo. "Penso che sarebbe importante - ha detto ieri sera Matteo Renzi a Ballarò su Rai 3 - che i sindacati dessero una mano sulla riforma della Pubblica Amministrazione". Come si ricorderà, il ministro Marianna Madia ha proposto prepensionamenti per gli statali. "Aspettiamo loro contributi e idee su lavoro, pensioni e PA, non solo attacchi", ha detto Renzi. "Se i sindacati hanno voglia di confrontarsi - ha aggiunto il premier replicando alla sfida dei sindacati sulla riforma pensioni e sulle proposte per il lavoro - ci siamo, se hanno voglia di fare polemica la facciano, noi andiamo avanti anche senza di loro. Partecipino alla discussione, non chiamiamolo tavolo altrimenti - ha concluso Renzi - si pensa alle riunioni fumose".
Riforma pensioni 2014, Poletti: 'Governo in cerca di soluzioni per gli esodati'
"Il problema degli esodati - ha dichiarato il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti a Sky Tg24 - lo abbiamo ereditato da una scelta che non ha previsto e non ha gestito una transizione dal vecchio regime al nuovo regime. E' un problema - ha aggiunto il ministro che aprirà oggi mercoledì 7 maggio il tavolo per valutare le proposte di riforma pensioni e in particolare per risolvere le questioni esodati e Quota 96 scuola - che va affrontato in maniera integrale, ma per farlo - secondo il ministro del Lavoro del Governo Renzi - occorre avere la volontà di perimetrarlo chiaramente. Si deve dire e decidere - ha aggiunto Poletti - chi può essere identificato correttamente come un esodato e per queste persone poi va trovata una soluzione. Noi stiamo lavorando - ha assicurato il ministro Poletti - per farlo affinché in tempi non lunghi questo possa essere considerato un problema risolto''.
Riforma pensioni 2014 in tv, scontro Renzi - Camusso su Rai 3
Lo scontro Renzi - Camusso su riforma pensioni, lavoro e pubblica amministrazione sarà al centro del dibattito della nuova puntata Agorà in programma oggi mercoledì 7 maggio, dalle 8 alle 10, su Rai 3. Ospiti in studio di Gerardo Greco saranno: Alessia Mosca (Pd); Giovanni Galli (Forza Italia); Paola Morandin (L`Altra Europa con Tsipras); Barbara Saltamartini (Nuovo Centrodestra); Dario Parrini (Pd); Claudia Fusani (l`Unità); Paolo Liguori, direttore editoriale New Media di Mediaset; Michel Martone, docente di Relazioni Industriali e Diritto del Lavoro, e lo storico Franco Cardini

giovedì 1 maggio 2014

E' ALLARME LAVORO NON FESTA "NAPOLITANO"

"E' allarme lavoro, non festa" Napolitano 'scuote' il 1 maggio 

Un appello contro la disoccupazione dal Presidente della Repubblica nel messaggio per il primo maggio.
  "Se volessimo dare un nome" a questa giornata del Primo Maggio, "non e' eccessivo parlare di "allarme lavoro". Napolitano ha aperto cosi' il suo intervento al Quirinale.

  "No, non e' eccessivo parlare di 'allarme lavoro': per suscitare il massimo di reazioni in tutti i sensi, non certo per abbandonarsi allo scoramento. Il massimo di reazione - ha detto Napolitano - in termini di riforme e di politiche pubbliche, di impegno delle imprese e delle organizzazioni sociali, di iniziativa dal basso, individuale e di gruppo".
"L'opposto, insomma, della rassegnazione, del fatalismo e anche dell'ordinaria amministrazione della pigra e lenta routine burocratica". "Non tocca a me esprimermi sul merito di orientamenti e provvedimenti e sui punti controversi che presentano", ha detto il capo dello Stato.
  "Il confronto e' fisiologico e il dissenso pienamente libero di esprimersi: ma le scelte conclusive non possono tardare a lungo", ha aggiunto, dopo aver premesso: "come stia reagendo con accresciuto dinamismo e spirito innovativo il governo lo ha detto qui il ministro Poletti". Ai sindacati spetta "un ruolo essenziale e nuovo". Ma a loro spetta anche un ruolo nuovo e sono chiamati, in un quadro grave di crisi aziendali, come l'attuale, "a concorrere alla ricerca di soluzioni solidaristiche, innovative, coraggiose e determinate".
I sindacati "per loro natura - ha detto il Capo dello Stato - hanno storicamente sempre avuto difficolta' a rappresentare, insieme con il lavoratori, i senza lavoro, le istanze degli uni e degli altri. Ma anche salvaguardare posti di lavoro a rischio, oggi implica azioni diverse da quelle tradizionali di difesa condotte dai sindacati". Per raggiungere l'obiettivo della piena occupazione e del progresso sociale servono "anche in Italia ripensamenti non da poco nei nostri sistemi di garanzia del benessere e della protezione sociale", ha aggiunto il presidente della Repubblica. "Anche al fine di evitare che venga messo a rischio quel modello civile che nella seconda meta' del '900 ha fatto dell'Europa un punto di riferimento mondiale", ha osservato ancora. "Per non far regredire l'Italia e l'Europa, per rilanciarne il ruolo e i valori, innanzitutto promuovendo decisamente crescita e occupazione, ricerca e formazione, si impongono riforme razionalizzatrici", Lo concluso il presidente della Repubblica, ed ha spiegato: "dal mercato del lavoro al sistema tributario". E si impongono "politiche severe di impiego trasparente e produttivo del denaro pubblico, incidendo su sprechi, corruzione, privilegi e parassitismi".

RENZI ITALIA DA LACCI INUTILI

Renzi: non facile 'slegare' Italia da lacci inutili in un mese 

"Non e' facile 'slegare' questo paese da lacci inutili e anacronistici. Soprattutto, non si fa in un giorno e nemmeno in un mese. Vorrei anche dire che non si realizza una forte azione modernizzatrice solo 'dall'alto', da palazzo Chigi o dal parlamento: no, serve l'iniziativa di tutti, serve un concorso partecipato di idee". Lo scrive il premier Matteo Renzi in una lettera a 'Europa'. "Il che non vuol dire ripetere il copione del passato, con i tempi lunghissimi della politica tradizionale e delle infinite trattative, ma vuol dire: muoviamoci, muoviamoci come istituzioni, come comunita', come nazione".
  "E dunque, in questo senso, - dice ancora - questo Primo Maggio ci serve per raccoglierci insieme e riflettere su quello che stiamo facendo e su quello che abbiamo intenzione di fare.
  Noi stiamo parlando il linguaggio della concretezza e anche dell'ottimismo. Perche' non dobbiamo assuefarci. L'intervento sulle buste paga per chi ha di meno, la riforma della pubblica amministrazione, le leggi sul mercato del lavoro, la prossima riforma fiscale, il pagamento dei debiti alle pubbliche amministrazioni: tasselli di un mosaico che tende a comporsi con l'obiettivo di ridare fiato all'economia italiana. Non basta, e' chiaro. Ma ripartiamo da quello che c'e', e scrolliamoci di dosso la rassegnazione. Per cambiare, insieme, l'Italia". "Da troppi anni ormai il tema del lavoro viene declinato come il tema del non-lavoro - aggiunge il premier - Nelle case, in famiglia, con gli amici si parla di disoccupazione, non di lavoro, e la verita' e' che ci siamo un po' tutti abituati a questo. Ci siamo assuefatti. Diamo per scontato che ormai e' cosi', che non c'e' niente da fare. Che in Europa, in Italia per forza ci debba essere meno lavoro e che ai giovani non resti fare altro che prendersi un bel biglietto aereo di sola andata e cercare fortuna altrove". "Purtroppo la realta', certo - conclude il presidente del Consiglio - e' quella di una crisi mai vista negli ultimi decenni, una crisi che da noi e' mille volte piu' grave a causa di un sistema-paese che ostacola l'innovazione, la sperimentazione, il coraggio, la fantasia.
  Pensiamo a quanti imprenditori, soprattutto giovani, hanno tante idee e validissimi progetti per far partire imprese nuove e che si trovano di fronte a una serie impressionante di porte chiuse quando chiedono un finanziamento, un'autorizzazione, un bollo, un permesso"

CARIGE NON LASCEREMO NESSUNO SUL LASTRICO

Carige, «Non lasceremo nessuno sul lastrico» 

Genova - Le operazioni di dismissioni che Banca Carige deve realizzare nell’ambito del processo di rafforzamento patrimoniale da 800 milioni non avranno ricadute occupazionali. Lo ha detto il presidente dell’istituto, Giovanni Berneschi, nel corso dell’assemblea dei soci chiamati a deliberare sul bilancio 2012 e, nella parte straordinaria, la delega al Cda fino a fine marzo 2014 per un aumento di capitale fino a 800 milioni di euro.
«La vendita non significa abbandonare tutti, si possono fare vendite avendo garanzie sul personale. Banca Carige farà le cose in modo corretto e serio» ha detto Berneschi, rispondendo ai sindacati preoccupati per le ricadute occupazionali derivanti dalle cessioni degli asset, in primo luogo le due compagnie assicurative “La compagnia Danni” (Carige Assicurazioni) conta circa 300 dipendenti, mentre i lavoratori in “Carige Vita” sono circa 115.
«In questa vicenda colpisce il fatto che circa 450 persone possono essere lasciate sul lastrico, ma non lasceremo nessuno sul lastrico», ribadisce Berneschi. Il presidente ha spiegato le ragioni che hanno portato il gruppo a dovere mettere a punto un piano di rafforzamento patrimoniale incentrato sulle dismissioni, in primo luogo Basilea 3 e l’unione bancaria con la vigilianza della Bce, e si è detto fiducioso sul successo delle operazioni di dismissioni. «Se avessimo fatto solo un aumento di capitale avremmo dato un’altra bastonata alle nostre quotazioni», dice Berneschi spiegando che, con le attuali condizioni di mercato, «avremmo dovuto fare un aumento con uno sconto anche fino al 50%

LA RICHIESTA DI ARRESTO PER L'ON FRANCANTONIO GENOVESE

LA RICHIESTA DI ARRESTO PER L’ON. FRANCANTONIO GENOVESE: NUOVA SEDUTA DELLA GIUNTA. ECCO IL RESOCONTO. IL TERMINE SCADE IL 18 MAGGIO. NUOVE MEMORIE DIFENSIVE. L’INTERVENTO DELL’ON. GRILLO (M5S) 

Domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Francantonio Genovese (doc. IV, n. 6). (Seguito dell’esame e rinvio).
  La Giunta riprende l’esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 16 aprile 2014.
  Danilo LEVA, presidente, comunica che, a seguito della deliberazione assunta dalla Giunta nella riunione del 16 aprile scorso, la Presidente della Camera ha concesso la proroga di trenta giorni del termine entro cui la Giunta è tenuta a riferire all’Assemblea. Nella sua lettera viene specificato che si prende atto dell’esigenza di acquisire taluni documenti dall’autorità giudiziaria competente, nonché dell’impegno della Giunta di riprendere l’esame non appena essi siano acquisiti al fine di assumere le relative deliberazioni nei tempi più brevi possibili. Il nuovo termine scade pertanto il 18 maggio.   Nella citata seduta della Giunta del 16 aprile è stata, altresì, approvata la richiesta di acquisire dall’autorità giudiziaria le pronunce relative alle misure cautelari disposte nell’ambito del procedimento penale nonché la documentazione – ulteriore rispetto a quella già presente negli atti trasmessi – concernente la società Training service.   Quanto ai provvedimenti cautelari, il Presidente del tribunale di Messina, che ringrazia a nome della Giunta per la sollecita cooperazione, ha inviato i suddetti atti. Quest’ultimo ha altresì comunicato che la documentazione concernente la società Training service è nella disponibilità della locale procura della Repubblica, alla quale il presidente della Giunta ha immediatamente rivolto la medesima richiesta.
 Antonio LEONE (NCD), relatore, ritiene opportuno offrire ai colleghi una sintetica disamina degli elementi istruttori prodotti dal deputato interessato, ovvero acquisiti dalla Giunta su propria iniziativa nel corso dell’esame della domanda.   Già nella relazione introduttiva aveva fatto cenno ai contenuti della prima memoria difensiva prodotta dal deputato interessato, poi integrata – oltre che in sede di audizione presso la Giunta – da altre note e documenti, in parte richiesti dalla Giunta e in parte da lui spontaneamente prodotti.   Nelle sue memorie difensive, nonché nella sua audizione, Genovese formula argomentazioni a sostegno della sussistenza, nei suoi confronti, di un evidente fumus persecutionis.   Ciò sarebbe desumibile, in primo luogo, dall’abuso di mezzi investigativi, caratterizzato dall’acquisizione e dall’uso indebito delle intercettazioni delle sue conversazioni; inoltre, secondo Genovese, vi sarebbero state distorsioni macroscopiche nell’interpretazione delle norme penali sostanziali applicate, con lo scopo di formulare – in modo artificioso e meramente funzionale all’obiettivo di pervenire a pene edittali più elevate e rendere più plausibile la misura cautelare della custodia in carcere (oltre che aumentarne i termini massimi) – fattispecie di reato più gravi e, segnatamente il peculato in luogo del reato di truffa (in contrasto con il giudicato cautelare interno: Cass. VI sez. pen. n. 5889/2014) e – soprattutto – il riciclaggio.   Ad avviso del deputato Genovese, si assisterebbe inoltre ad un travisamento dei fatti per come ricostruiti nel corso dell’indagine, cui si accompagnerebbe un immotivato rifiuto di approfondire o addirittura acquisire – mediante incidente probatorio – prova su elementi di fatto essenziali per l’integrazione delle figure di reato contestate.   Nelle memorie difensive si palesa anche la possibile manipolazione di alcune fasi processuali, in quanto la contestazione del reato nei suoi confronti sarebbe dovuta eventualmente avvenire in una fase precedente e non quando effettivamente è accaduto, con lo scopo di affievolire la sua posizione difensiva.   Il deputato interessato ha anche richiamato elementi di condizionamento del giudice procedente, testimoniati dalla formulazione di un’istanza di astensione, per gravi ragioni di convenienza, che sarebbe stata rigettata dal Presidente del tribunale di Messina, in quanto essa non avrebbe enunciato in modo completo i rapporti tra alcuni imputati e la moglie ed il cognato del giudice, peraltro emersi ben prima della decisione sulla richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti.   Infine, il deputato Genovese denuncia la sistematica fuga di notizie che avrebbe caratterizzato, anticipandone i contenuti, ogni atto giudiziario relativo all’inchiesta, così da sollecitare nell’opinione pubblica la convinzione della colpevolezza degli indagati e rendere doverose le ordinanze di custodia in carcere.   Quanto poi alla sua posizione nell’ambito delle vicende oggetto di indagine, Genovese – nei suoi atti difensivi – ha posto all’attenzione della Giunta alcuni elementi di valutazione, che si riassumono di seguito.   In primo luogo, la limitatissima incidenza che le somme contestate avrebbero in ordine alla sua complessiva posizione patrimoniale, maturata in trenta anni di partecipazioni societarie e attività politica e professionale.   In secondo luogo, il mancato riconoscimento – senza prove ed al solo scopo di configurare una condotta, invero anomala, di riciclaggio – dell’effettivo svolgimento da parte sua di attività professionale fatturata alle società a lui riferibili e dell’attività della sua società Caleservice, erroneamente definita dal giudice come una «cartiera», senza riconoscere il notevole patrimonio – superiore ai 15 milioni di euro – e senza preoccuparsi di acquisirne i bilanci, circostanza che smentisce in radice l’accusa di false fatturazioni e di frode fiscale.   Infine, l’onorevole Genovese ha ribadito con forza, in ogni suo atto difensivo, l’impossibilità di configurare nei suoi confronti l’ipotesi di reiterazione del reato, atteso che gli enti di formazione oggetto di indagine (LUMEN e ARAN) non sono più accreditati presso la Regione Sicilia e hanno già cessato la loro attività. Residua una sola società a lui indirettamente riconducibile – denominata Training Service – che è ancora operativa nel campo della formazione professionale. Al riguardo, la nota difensiva precisa che i relativi progetti formativi sono stati ammessi al finanziamento nell’agosto del 2012, con la previsione di una prosecuzione per gli anni a venire, come poi avvenuto per il 2014 peraltro con un significativo decremento del finanziamento; l’ente ha un unico contratto (di locazione immobiliare) con una sua società e non ha partecipato ad ulteriori bandi, avendo in corso solo ed esclusivamente l’attività formativa riconducibile alla seconda annualità dell’avviso pubblico n. 20 del 2011, destinata ormai ad esaurirsi nei mesi a venire.   Come già ricordato dalla presidenza, nella seduta dello scorso 16 aprile la Giunta ha deliberato di richiedere all’Autorità giudiziaria le pronunce in materia di provvedimenti cautelari adottati nell’ambito dei due tronconi del procedimento riguardante l’onorevole Genovese.   La richiesta di integrazione documentale derivava dal collegamento – posto in evidenza nella stessa ordinanza del GIP oggetto di esame – tra la posizione di Genovese e le esigenze cautelari riferite ad altri indagati tra cui, in particolare, il signor Elio Sauta.   Per quest’ultimo offre la seguente ricostruzione dei provvedimenti cautelari che lo hanno riguardato: il 9 luglio 2013 è stata emessa l’ordinanza che ne disponeva gli arresti domiciliari; l’8 agosto 2013 il collegio per il riesame ha rigettato il ricorso del Sauta, confermando la misura degli arresti domiciliari, in quanto «unica cautela adeguata allo stato a garantire le prospettate necessità di tutela sociale è da ritenersi quella degli arresti domiciliari, la quale, ampiamente proporzionata alla natura, alla gravità ed al numero degli illeciti contestati, vale a prevenire (…) il pericolo di reiterazione di condotte analoghe a quelle oggetto di contestazione»; il 14 ottobre 2013, accogliendo invece l’appello della procura, il collegio per il riesame ha disposto la custodia in carcere in sostituzione degli arresti domiciliari, in quanto «solo la misura della custodia cautelare in carcere è idonea a scongiurare il pericolo di reiterazione di reati della medesima natura (…). Ricorre, inoltre, un serio pericolo di inquinamento probatorio»; risulta che l’esecuzione dell’ordinanza sia stata sospesa, essendo stato proposto ricorso in Cassazione; il 23 dicembre 2013, la II sezione penale del tribunale di Messina ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari in quanto «permangono inalterate le esigenze cautelari poste a fondamento della misura – fronteggiabili unicamente con una misura custodiale»; il 22 gennaio 2014, la II sezione penale del tribunale di Messina, ha invece revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari in atto, con la seguente motivazione: «l’apertura del dibattimento e l’avvio dell’istruttoria, con l’esame dei primi testimoni e il conferimento degli incarichi peritali costituiscono elementi che (…) assumono sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare, essendo senz’altro idonei a spiegare piena efficacia deterrente su dei soggetti sostanzialmente incensurati ed alla prima esperienza detentiva; (..) pertanto, possono ritenersi del tutto cessate le esigenze preventive sottese al trattamento cautelare».   Da ultimo, il 24 marzo 2014, il Collegio per il riesame accoglieva l’appello dei PM e riformava l’ordinanza del 22 gennaio 2014 nel senso del ripristino della misura degli arresti domiciliari in quanto «l’attuale stato di avanzamento dell’attività istruttoria (…) non vale ad escludere che l’imputato, se lasciato libero di ricompattare il sistema di legami e agganci di cui godeva, possa proseguire nell’attività criminosa, anche avvalendosi del paravento costituito dall’interposizione di soggetti terzi. (…). La misura degli arresti domiciliari vale a costituire un sicuro margine alla ripetizione delle condotte illecite»; decisione non esecutiva fino alla sua definitività.   Per completezza, essendo stata evocata in alcuni passaggi del dibattito in Giunta, offre anche una sintetica ricostruzione dei provvedimenti cautelari adottati nei riguardi della moglie dell’onorevole Genovese, Chiara Schirò: il 9 luglio 2013 è stata emessa l’ordinanza che ne disponeva gli arresti domiciliari; l’8 agosto 2013 il collegio per il riesame ha rigettato la richiesta di riesame della signora Chiara Schirò, confermando la misura degli arresti domiciliari, in quanto «proporzionata alla gravità dei fatti ed idonea ad infrenare il predetto pericolo di reiterazione del reato»; il 23 dicembre 2013, la II sezione penale del tribunale di Messina ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare in quanto «permangono inalterate le esigenze cautelari poste a fondamento della misura – fronteggiabili unicamente con una misura custodiale»; il 22 gennaio 2014, la II sezione penale del tribunale di Messina, ha invece revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari con la seguente motivazione: «l’apertura del dibattimento e l’avvio dell’istruttoria, con l’esame dei primi testimoni e il conferimento degli incarichi peritali costituiscono elementi che (…) assumono sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare, essendo senz’altro idonei a spiegare piena efficacia deterrente su dei soggetti sostanzialmente incensurati ed alla prima esperienza detentiva; (…) pertanto, possono ritenersi del tutto cessate le esigenze preventive sottese al trattamento cautelare»; il 3 marzo 2014 il Collegio per il riesame accoglieva parzialmente l’appello dei PM e riformava l’ordinanza del 22 gennaio 2014 disponendo il divieto di dimora a Messina in quanto «possono ritenersi solo affievolite le originarie esigenze cautelari, permanendo, nondimeno, la necessità che l’imputata non operi nel territorio messinese», decisione non esecutiva fino alla sua definitività.   Alla Giunta sono state altresì trasmesse numerose ordinanze concernenti le misure cautelari reali adottate nel corso del procedimento, sui cui contenuti non si sofferma.   Resta ancora pendente la richiesta, avanzata dalla Giunta al tribunale di Messina e, successivamente, alla locale procura della Repubblica, di visionare i documenti eventualmente acquisiti agli atti dall’autorità giudiziaria relativi all’attività dell’ente Training Service.   Si tratta di una richiesta istruttoria chiaramente funzionale a maturare un convincimento sulla fondatezza dell’affermazione recate nell’ordinanza che fonda la misura della custodia cautelare sul presupposto della ragionevole certezza della «reiterazione delle medesime condotte criminose».   Ricorda che l’ordinanza del GIP cita marginalmente le vicende legate a tale ente, essenzialmente allo scopo di sostenerne la riconducibilità a Genovese e ricordando che essa tra il dicembre del 2011 e il novembre del 2012 ha stipulato cinque contratti di locazione ed un contratto di comodato con la Caleservice e nel dicembre 2012 altri contratti con enti ricollegabili all’onorevole Genovese.
 Gianfranco Giovanni CHIARELLI (FI-PdL) ringrazia il relatore per aver fornito alla Giunta una guida alla lettura della nuova documentazione pervenuta, corposa ancorché incompleta. In ragione di ciò, ritiene di dover rinviare lo svolgimento del suo intervento nella discussione ad un momento successivo, non essendo stato nelle condizioni di approfondire i nuovi elementi istruttori a disposizione, pervenuti solo nella giornata di ieri, peraltro in modo parziale.
  Giulia GRILLO (M5S) rileva preliminarmente di intuire dalle parole del collega Chiarelli la volontà di rinviare ulteriormente la conclusione dell’esame già programmata per la seduta di domani.   Osserva che ciascun gruppo politico può avere una propria legittima posizione ideologica in ordine all’utilizzo delle misure restrittive della libertà personale e che questa posizione può influire sulla decisione che ciascun gruppo è chiamato ad assumere in relazione ai casi sottoposti all’esame della Giunta.    Tiene a chiarire, per la sua parte politica, che invece il Movimento 5 Stelle non muove da un presupposto di tipo ideologico. Sebbene, infatti, il gruppo al quale appartiene abbia un atteggiamento critico sulla prassi applicativa di alcune prerogative parlamentari che oggi appaiono solo come dei privilegi della classe politica, comprende tuttavia la ratio ad esse sottesa, che è quella di salvaguardare l’autonomia del parlamentare che potrebbe essere inficiata da azioni persecutorie della magistratura. Ciò giustifica le funzioni della Giunta, che è un organo politico, e non tecnico – come dimostra anche il fatto che non è previsto che i suoi componenti abbiano una specifica competenza nel settore giudiziario – in ordine alla valutazione della sussistenza del fumus persecutionis oggettivo o soggettivo.   Dopo aver esaminato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP e una parte rilevante della documentazione trasmessa alla Giunta, ritiene di poter concludere che la quantità di elementi probatori enunciati sia dal GIP che dalla procura sia tale da giustificare la richiesta di restrizione della libertà personale nei confronti del deputato Genovese.   Sottolinea inoltre che vi sono elementi attinenti al contesto storico-ambientale nel quale si inquadra la vicenda in esame che a suo avviso fanno cadere la tesi della sussistenza del fumus persecutionis.   Osserva infatti che le indagini sugli enti di formazione in Sicilia non si riferiscono solo al Genovese, perché vi sono altri filoni di indagine che riguardano altri esponenti politici di altre province della regione (Palermo e Catania) che evidenziano come il sistema di gestione degli enti di formazione sia particolarmente fallace e si presti ad una concreta e difficilmente controllabile possibilità di truffe da parte di soggetti esterni. Il sistema di acquisizione del controllo degli enti di formazione, che sono enti no profit, consiste sostanzialmente nell’introdurre all’interno del consigli di amministrazione persone di fiducia dei vari politici di turno; diversi esponenti politici hanno infatti operato in Sicilia in questa direzione, servendosi degli enti di formazione come bacino di voti, secondo un meccanismo collaudato. Ne è prova il fatto che in Sicilia, in relazione alla gestione degli enti di formazione, è stata istituita una Commissione d’inchiesta, cui si fa riferimento anche negli atti processuali trasmessi dall’autorità giudiziaria. Ciò fa comprendere anche come l’inchiesta che riguarda Genovese non costituisca un fatto isolato, ma si inserisca in un’indagine più complessa che si è sviluppata in varie direzioni. A suo giudizio questo è un elemento oggettivo che esclude la possibilità di ravvisare un’azione persecutoria della magistratura nei confronti di Genovese.   Evidenzia poi un ulteriore elemento che, a suo avviso, demolisce la tesi sostenuta dalla difesa di Genovese secondo la quale, venendo meno l’operatività di alcuni enti o di alcune società direttamente o indirettamente riconducibili a Genovese o a suoi sodali, verrebbe meno anche la sua capacità di delinquere, e quindi la sua possibilità di reiterare il reato.   Ritiene infatti che dagli atti emerga l’esistenza di sistemi abbastanza rodati che consentono la reiterazione del reato e che si basano non tanto sulle caratteristiche degli enti, che possono essere ancora attivi o cessati, ma sulla conoscenza dei meccanismi attraverso i quali operano gli enti stessi e dei metodi di aggiudicazione degli appalti. Si tratta di meccanismi che sono rimasti inalterati, posto che la Regione siciliana non ha introdotto criteri diversi rispetto a quelli che c’erano prima delle indagini; è sufficiente quindi avere questo know how per poter reiterare il reato, sia pure con i tempi più lunghi che si rendono necessari nel momento in cui occorre riattivare un ente o utilizzare un’altra società.   Pur riconoscendo che oggettivamente le condizioni per poter reiterare il reato si sono fortemente indebolite – visto che alcuni collaboratori del deputato Genovese non hanno più la possibilità di operare in modo occulto e che, anche se non sono incorsi in misure restrittive della libertà personale, certamente non hanno la libertà di attivare contatti telefonici o intrattenere rapporti – osserva però che rimane in piedi il know how che riguarda sia il deputato Genovese che i suoi collaboratori.   Con riferimento alla Società Caleservice, contesta le affermazioni del deputato Genovese in ordine al fatto che tale società non sarebbe una «cartiera». Dagli atti emerge che questa presunta società di servizi in realtà veniva utilizzata per esigenze personali e familiari di Genovese, come rivelano in modo palese alcune fatture acquisite agli atti. A suo giudizio, pertanto, risulta chiaro che la Caleservice era una società che serviva agli scopi più disparati e che comunque a confondere le tracce su una serie di operazioni, come risulta da una ricostruzione degli inquirenti.   Da ultimo, valuta gravissimo, nonché pretestuoso e strumentale quanto affermato da Genovese in merito al condizionamento del giudice che ha adottato la misura cautelare. Ne costituisce testimonianza la richiesta di astensione dal procedimento che lo stesso giudice ha formulato al momento in cui è venuto a conoscenza, mediante una intercettazione casuale, della situazione del cognato che svolgeva il suo lavoro all’interno dell’assessorato alla formazione. A suo avviso il comportamento del GIP va letto non come una volontà di persecuzione nei confronti dell’onorevole Genovese ma, al contrario, come la volontà di distaccarsi dalla situazione che si era creata. Pur ritenendo di non dover entrare nel merito delle valutazioni del presidente del tribunale, osserva che questi ha ritenuto che tale elemento non fosse così rilevante da distogliere il GIP dalla conduzione del procedimento. Confessa quindi di non capire come Genovese possa rinvenire in tale situazione un indice di una volontà persecutoria nei suoi confronti, tanto più che alla sua vicenda giudiziaria è stato dato poco risalto dagli organi di informazione e che le poche ricostruzioni apparse in articoli di stampa non appaiono orientate a colpevolizzarlo.
 Antonio LEONE (NCD), relatore, richiamando le affermazioni dell’onorevole Grillo desidera precisare che, nella sua funzione di relatore nonché di membro della Giunta, nessun suo comportamento è orientato da pregiudizi ideologici in ordine all’istituto processuale delle misure cautelari. In questa sede l’unica sua preoccupazione è quella di consentire alla Giunta di svolgere la funzione istituzionale di valutare la richiesta dell’autorità giudiziaria al fine di proporne all’Assemblea l’accoglimento ovvero il rigetto.
  Giulia GRILLO (M5S) accoglie con soddisfazione la precisazione del collega Leone, aggiungendo che, a suo avviso, ad escludere radicalmente il fumus persecutionis milita anche un ulteriore argomento. Non si rinviene, infatti, nell’attività parlamentare del deputato Genovese, che peraltro non riveste incarichi istituzionali o di partito, alcuna iniziativa di particolare rilievo tale da costituire plausibile motivo di accanimento giudiziario persecutorio nei suoi confronti.
  Daniele FARINA (SEL) si domanda quale sia la connessione tra l’attività politica del deputato Genovese e la sussistenza o meno del fumus persecutionis.
  Giulia GRILLO (M5S) precisa che il suo ragionamento muoveva dal presupposto fattuale secondo cui anche l’attività politica potrebbe essere motivo, in estrema ipotesi, di individuare un parlamentare come bersaglio da colpire.
  Anna ROSSOMANDO (PD) ritiene che l’odierno dibattito sia stato molto utile, non solo in quanto ha consentito di apprezzare ulteriori elementi istruttori, ma anche per aver messo l’accento sui parametri di valutazione della Giunta.   Certamente parametrare l’eventuale sussistenza di un intento persecutorio all’attività parlamentare svolta dal deputato nella presente legislatura costituisce un argomento scivoloso, sebbene non si possa escludere che l’assunzione di posizioni politiche particolarmente accentuate possa esporre il parlamentare anche a rischi di questo tipo.   Riprendendo inoltre le considerazioni svolte dal relatore e dalla collega Grillo sulla necessità di non assumere posizioni pregiudiziali ed ideologiche, osserva che ciascuna opzione politica è ammissibile nella sede propria. In questo senso è in corso un significativo dibattito nell’ambito della Commissione Giustizia sulla riconfigurazione delle misure cautelari, che tuttavia non deve inficiare in alcun modo le scelte che i membri della Giunta sono tenuti a compiere nell’esame della richiesta che riguarda l’onorevole Genovese.   Rileva che la Giunta non si è sottratta allo svolgimento di un approfondito lavoro istruttorio e che, allo stato, dispone di un’ampia documentazione, che sarà presumibilmente integrata nei prossimi giorni con gli atti provenienti dalla procura di Messina. Si può dire pertanto che la fase della acquisizione documentale è ormai esaurita, fermo restando che i membri della Giunta non possono sottrarsi allo sforzo di un esame approfondito degli atti, come richiesto dalla delicatezza della decisione che sono chiamati ad assumere.   Conclusivamente allo scopo di un ordinato svolgimento dei lavori e della definizione della data in cui approdare alla deliberazione finale, invita la Presidenza a convocare un apposito Ufficio di presidenza già nella parte antimeridiana della giornata di domani. Esprime fin d’ora, a nome del Gruppo democratico, l’impegno a svolgere limitati interventi in dichiarazione di voto, per consentire una tempestiva conclusione dei lavori della Giunta.
  Paola CARINELLI (M5S) ricorda che l’Ufficio di Presidenza si è già tenuto la scorsa settimana e che era stata assunta la decisione di addivenire alla deliberazione finale già nella seduta convocata per la giornata del 30 aprile.
  Daniele FARINA (SEL) dichiara di condividere la proposta sull’ordine dei lavori dell’onorevole Rossomando.
  Antonio LEONE (NCD), relatore, esprime a sua volta condivisione per la proposta della collega Rossomando.
  Giulia GRILLO (M5S) invita la collega Rossomando, affinché rimanga agli atti, ad esplicitare le motivazioni della sua proposta. Se, sul piano metodologico, essa si giustificherebbe in ragione di una volontà di approfondimento degli atti, compresi quelli non ancora a disposizione della Giunta, sul piano del merito non appare chiaro che rilievo possa avere questa integrazione documentale concernente la Training Service.
  Anna ROSSOMANDO (PD) si limita a rilevare che la richiesta di acquisire la suddetta documentazione è stata formalmente deliberata dalla Giunta nella scorsa seduta. Spetta quindi alla Giunta assumere una diversa decisione, qualora si ritenga di soprassedere dalla richiesta o di verificarne l’incompatibilità con l’esigenza di concludere celermente i lavori.
  Danilo LEVA (PD), presidente, preso atto degli orientamenti emersi nel dibattito, dichiara che sarà sua cura informare il presidente La Russa sulle proposte concernenti l’ordine dei lavori della Giunta. Rinvia quindi il seguito ad una successiva seduta, già convocata per domani

RIVELAZIONI DOPO LE EUROPEE IL DILUVIO

RIVELAZIONI: DOPO LE EUROPEE IL DILUVIO 



Mi riferisco esclusivamente all’Italia. Un caso ha voluto che il sottoscritto abbia potuto accedere a “notizie riservate” che riguardano la reale situazione italiana, il rapporto fra il governucolo Renzi e la scadenza elettorale europide, ciò che accadrà al paese dopo questo appuntamento. Non posso e non voglio rivelare la mia fonte d’informazione. Non lo farò mai, neppure se mi arresteranno e mi metteranno sotto tortura. Quel che posso anticipare è che si tratta di “notizie riservate” di larga massima, ma sufficienti per rivelare i contorni di un vero e proprio piano, ordito per l’Italia … anzi, contro il nostro paese. L’attore sub-politico principale, qui, in loco, è il pd. Il pd da considerarsi nel suo complesso, senza distinzioni di corrente, quale forza collaborazionista ed euroserva organizzata. Matteo Renzi non è “colui che cambia le cose”, come alcuni credono, ma è solo l’ultima espressione mediatico-propagandistica del pd. Di tutto il pd. Chi tira i fili sta ovviamente fuori dalla penisola, molto sopra la dimensione nazionale.
Dunque … le informazioni che ho ricevuto provengono dal “ventre della balena”, o meglio, di quella disgustosa balenottera chiamata pd. Nonostante la sostanziale compattezza del partito euroservo, neoliberale e americanista, è evidente che non tutto può filar liscio al suo interno, e che gli odi reciproci, le vendette, le imboscate, le fronde di burocrati scontenti non cessano dietro le quinte. E’ così che si producono le “fughe di notizie”, provenienti da fonti bene informate.
A. Prima informazione, che ci chiarisce con chi e con cosa abbiamo a che fare, a che razza di sub-potere siamo sottoposti. Non c’è alcun dubbio che Il pd opera costantemente, sotto vari mascheramenti di corrente e sotto vari nomi (renziani, bersaniani, lettiani, cuperliani, civatiani), contro il popolo e il paese. Fin dall’inizio ho avuto ben chiaro che l’”operazione Renzi” mal celava una natura squisitamente mediatico-elettoralistica, nonché lo scopo di trattenere consenso, a livello di massa, evitando di scoprire le carte e rinviando tutto a dopo le europee. Infatti, la mia fonte conferma in pieno questo sospetto, che per me era già diventato certezza. La legislatura deve – ripeto, deve – restare in piedi fino a scadenza naturale, cioè fino al 2018, o mal che vada ancora un paio d’anni (seconda metà del 2016, inizi 2017). Questo per consentire di “fare le riforme”, di avviare e di applicare fino alle estreme conseguenze l’arcinoto fiscal compact (per noi, legge del 24 dicembre 2012, n. 243), il mes (meccanismo di stabilità, a tutto favore delle banche dei paesi europei più forti) e il cosiddetto erp (european redemption fund, sulle garanzie per le “eccedenze del debito pubblico”) che è minacciosamente in arrivo. Inoltre, il risultato del pd alle europee non può essere troppo basso, perché si deve mostrare che il consenso popolare alle controriforme neoliberiste e all’eurounionismo c’è. Ecco il perché del successo di Matteo Renzi, almeno fin che dura.
Nella realtà, Renzi non è il frutto di una rivoluzione generazionale e/o riformista, ma il suo esatto contrario. Egli è l’immagine scelta dalla burocrazia politica piddina – che è molto più compatta di ciò che appare, su certe questioni di fondo – per raggiungere due importanti obiettivi, elencati di seguito in ordine temporale. 1) Affrontare la scadenza elettorale di maggio senza troppe perdite, o addirittura con successo. La tenuta del pd, o addirittura una sua vittoria alle europee, allungherebbe la vita alla legislatura. Almeno di quanto basta per … 2) “Fare le riforme” rapidamente, come ordinato dai padroni sopranazionali, ma ovviamente dopo le elezioni di maggio. La verità è che i vari D’Alema, Bindi, Finocchiaro e poi Bersani, Fassino, Veltroni e compagnia bella non sono stati “rottamati”, non sono scomparsi, ma sono sempre presenti, sia pur in posizione defilata. Sono loro, di nascosto, di comune accordo, talora fingendo aperta ostilità nei confronti del sindaco di Firenze, che hanno deciso di lasciare che il “ciclone Renzi” si sfoghi (ciclone, come l’ha chiamato il ciarpame giornalistico). E questo – udite, udite! – nonostante qualche perplessità di Napolitano, che sapeva del gioco fin dall’inizio, un po’ ha resistito, ma poi improvvisamente ha “mollato” Letta. A quel punto, una ventata di novità era di vitale importanza, e così la simulazione della rottura dei ponti con il passato (“l’Italia cambia verso”), in nome del rinnovamento. Tanto il popolino, per come è stato ridotto, ci sarebbe cascato di sicuro.
Da ciò che mi è stato detto appare chiaro che nel pd non vi è mai stata vera lotta fra il vecchio e il nuovo. Solo una trista rappresentazione scenica, a uso e consumo di un elettorato sempre più idiota e manipolabile. Inscenare le primarie con vincitore già deciso e la “comunicazione” renziana amplificata dai media, rientrano pienamente in questo ordine d’idee. La cosa divertente, che mi rivela la mia fonte d’informazione, è che Matteo Renzi, pur non essendo un’anima bella, un illuso o un grullo, ma un figlio di puttana sotto mentite spoglie, non è del tutto consapevole di questo. Cioè di essere un mero prodotto della propaganda, della burocrazia politica piddina, dei media “salva-pd” e affossa-verità. Nonostante si guardi le spalle e nutra in proposito qualche sospetto (si pensi alla spinosa questione del senato e al disegno di legge del “ribelle” Vannino Chiti), Renzi crede veramente di essere il gran capo del partito collaborazionista e di poterlo cambiare a suo piacimento. Sta di fatto, però, che Letta è stato esautorato non tanto dall’esuberante ciarlatano di Firenze, che ha eseguito la sentenza davanti ai media, ma dal suo stesso partito, i cui “dinosauri” restano prudentemente nell’ombra. Questo ci fa capire perché, nonostante Renzi invocasse elezioni politiche per la sua investitura, il suddetto è diventato presidente del consiglio senza elezioni, per volontà dei burocrati del pd. Ciò spiega, altresì, perché i cosiddetti renziani, che fino a ieri erano quattro gatti, oggi sono maggioranza (o quasi). Il bello è che nella realtà non ci sono renziani, bersaniani, lettiani, civatiani, eccetera eccetera, ma solo piddini. Non ci sono stati (e non ci sono) scontri fra “conservatori” e “riformisti”, fra “rivoluzionari” e “reazionari”, se non nella proiezione mediatica esterna, ma vi è sempre unità d’intenti nel servire, fino alle estreme conseguenze, il padrone euroatlantista. Come mi conferma la mia fonte, gli stessi renziani, proliferati in pochi mesi, non sono che mascheramenti per conseguire i due obiettivi prima elencati. I burocrati piddini sanno che possono (e anzi, in certi momenti devono) fingere che ci sia un po’ di maretta nel partito, su temi importanti (legge elettorale, decreto lavoro, riforma del senato) dando la sensazione che il “pluralismo” delle opinioni e la democrazia esistono … e sono nel dna del pd. Dato che il programma politico applicato è unico (deciso nel sopranazionale), lo fanno unicamente per catturare e trattenere il consenso di coloro che, altrimenti, gli volterebbero la schiena disgustati. Ma sanno altrettanto bene che non possono spingersi fino al limite di rottura, proprio perché il confronto interno è una finzione. Così Civati, così Fassina, così tutti i finti oppositori di Renzi.
Ciò che ho rivelato fin qui ad alcuni potrà sembrare ovvio, ma la cosa importante è che mi è stato detto con chiarezza – in via del tutto riservata – da chi conosce bene esponenti del direttivo piddino (e forse della presente o passata segreteria, ma su questo voglio lasciare il dubbio) che con lui parlano e talora privatamente si confidano. Pensate in quale merda un intero popolo, quello italiano, è costretto a sguazzare!  
B. Seconda informazione, riguardante il programma di governo e le “riforme”. Qui viene il bello … e il drammatico per il paese. Gli alti gradi piddini sanno bene che tutto è rimandato a dopo le europee. Una piccola sosta, nella strage sociale, può essere accettata dal padrone o addirittura da lui consigliata, e infatti lo è. Non a caso lo spread sta andando in discesa, con puntate sotto i 160 punti. E’ in discesa “politicamente”, in attesa di ripartire dopo il 25 di maggio, se non si rispetteranno i parametri e i trattati con l’unione. O anche se si rispetteranno a fatica, potrà schizzare ugualmente verso l’alto, perché la posta in gioco delle riforme è altissima. Questo lo pensano i piddini di vertice che si confidano con il mio “informatore” (o “informatrice”, voglio mantenere l’ambiguità). Anzitutto, gli ottanta euro propagandistici, netti e mensili, da erogare ai lavoratori poveri, è certo come la morte che saranno “una tantum”, fino alla fine dell’anno in corso, o poco oltre. Nessun piddino lo ammetterebbe mai in pubblico, ma tutti lo sanno, Renzi e le sue veline compresi. Le coperture in tal caso sono provvisorie e non reggeranno a lungo, soprattutto se dopo le europee si dovranno fare le “riforme”, quelle vere che restano in caldo, quelle richieste dagli euroglobalisti. Nonché rispettare il pareggio di bilancio, alimentare il mes e sottomettersi all’erp dando garanzie per le “eccedenze” del debito oltre il 60% del pil. Ai vertici del pd (direzione, segreteria) sanno che non è nemmeno lontanamente pensabile ricontrattare con successo le regole europoidi, semestre o non semestre italiano di presidenza. Quindi finora hanno mentito sapendo di mentire, come avverte il mio “informatore” (o la mia “informatrice”?). Ed ora i dolori in arrivo per il pubblico impiego. I dipendenti pubblici a rischio saranno – udite, udite! – almeno duecentomila (se non duecento e cinquanta mila), con buona pace per gli ottantacinque mila pensionamenti anticipati 2014 e prepensionamenti annunciati a suo tempo da Madia. Inoltre, l’espulsione dei “vecchi” dal pubblico impiego (non tutti pensionati o prepensionati!), contrariamente a quanto ha cercato di far credere Madia, non libererà posti di lavoro in egual misura per i giovani disoccupati. Neppure lontanamente (e con il blocco del turn over come la mettiamo?). Se questo ancora non bastasse, ci sia avvierà a un blocco praticamente perpetuo delle retribuzioni nel pubblico impiego, che dovranno essere rapidamente compresse (complice lo spread in risalita e la maggior spesa per interessi). Se i dipendenti pubblici sapessero tutto questo, voterebbero alle europee per il pd e per le veline-capolista di Renzi? Sul fronte del lavoro e della contrattualistica nel settore privato, c’è poco da aggiungere a quanto già si sa. Tranne che, mi avverte la mia fonte, il contratto d’ingresso renziano avrà tutele … ben poco crescenti, dando per certa un’ulteriore diffusione della precarietà. Per questo è stato rinviato. Pensionati e precari è certissimo (come la morte, ma purtroppo la loro) che non avranno un emerito cazzo, né il prossimo anno né quello successivo. Nonostante Renzi dica, a poco meno di un mese dalle europee, di voler intervenire a loro favore nel 2015.
Per ora, questo è quanto. E’ tutto ciò che sono riuscito a ricavare dalla mia fonte. Ho cercato di riportarlo al meglio, in modo sintetico ma esaustivo. Se in futuro avrò altre “soffiate”, non mi farò scrupolo alcuno e le pubblicherò su Pauperclass.