VOTA ANTONIO....... LA TRIPPA ....

domenica 23 febbraio 2014

RENZI !!! TAGLIEREMO LE TASSE ? "SERI DUBBI"

Renzi: "Taglieremo le tasse" 

Prima domenica di lavoro per il neo premier con Delrio: "Niente annunci spot ma concretezza". E promette: "Proverò a ridurre le tasse". Ma i diktat dell'Ue a Padoan non ci fanno stare per niente sereni. Per questo lo avvertiamo: #matteononstiamosereni 


"Nella mia esperienza di amministratore le tasse le ho sempre ridotte. Niente promesse, ma ci proveremo".
È la prima domenica di lavoro all'indomani del giuramento al Quirinale e già Matteo Renzi si lancia in promesse che si spera manterrà. Ai suoi due predecessori, Mario Monti e Enrico Letta, non è andata bene: non solo non hanno ridotto la pressione fiscale, ma si sono addirittura inventati nuovi balzelli. Il neo premier vuole infondere speranza. E così inizia la giornata con un tweet #buonadomenica: "Oggi con Graziano del Rio sui dossier. Metodo, metodo, metodo. Non annunci spot, ma visione alta e concretezza dei sindaci". Ma non vorremmo fare la fine di Letta che lo stesso Renzi ha illuso e tradito con un tweet che passerà alla storia #enricostaisereno. Per questo al nuovo presidente del Consiglio, che da subito ha dato i primi segnali inquietanti, rispondiamo con un altro tweet #matteononstiamosereni.
Renzi si lascia già a andare a promesse che non sa se riuscirà o potrà mantenere. Sul taglio delle tasse si sono incartati sia Monti e Letta. A dispetto delle promesse fatte al momento di insediarsi a Palazzo Chigi, si sono fatti entrambi prendere la mano. Tanto da inventarsi nuove sigle (vedi Imu e Tasi, per fare un esempio) per stangare gli italiani. Bisogna andare indietro al governo Berlusconi per trovare un effettivo taglio della pressione fiscale. Come annunciato in campagna elettorale, il Cavaliere aveva infatti cancellato l'Ici, l'odiosa imposta sulla casa. Balzello poi reintrodotto da Monti. Adesso anche Renzi si è messo al lavoro per ridurre le tasse. Dice di averlo sempre fatto, quando si trovava in Provincia e poi in Comune. Partirà, probabilmente, da Irpef e Irap. "Non annunci spot - promette - ma visione alta e concretezza da sindaci". Non sappiamo se ce la farà, ma ce lo auguriamo. Non resta che attendere.
Tuttavia, come spiega anche il direttore Alessandro Sallusti nell'editoriale di oggi, ci sono già i primi segnali inquietanti che non fanno sperare a niente di buono. L'oscuro messaggio lanciato ieri dal commissario agli Affari economici Olli Rehn al neo ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan fa venire la pelle d'oca. "Il nuovo ministro dell’Economia italiano sa cosa deve essere fatto", ha detto dal G20 di Sydney. Non gliel'ha detto in faccia: ha aspettato che Padoan salisse sull'aereo per Roma per concedere una battuta tranchant all'agenzia Bloomberg. La perentorietà del monito, il tempismo spiazzante e le precedenti intromissioni di Bruxelles non fanno sperare niente di buono. E, proprio perché non vogliamo fare la fine di Letta, illuso e tradito, teniamo gli occhi aperti. D'altra parte, per dirla con una parola di Maurizio Crozza, "se Renzi ha fattp questo a Letta, che era suo amico, figuriamoci cosa può fare agli italiani, che manco li conosce". #matteononstiamosereni 

A Renzi chiediamo solo una cosa: fare in modo che pregiudicati, corruttori e delinquenti della stessa risma vadano in GALERA, come in tutti i paesi del mondo .............  




venerdì 14 febbraio 2014

LETTA S'ARRENDE MA MATTEO DURERÀ POCO ?

Letta s'arrende: ma Matteo durerà poco 

Enrico Letta si arrende e sale al Quirinale per le dimissioni dopo la sfiducia della direzione Pd. E si sfogo: "Renzi ossessionato dal potere" 

Le dimissioni di Enrico Letta non sono una sorpresa per nessuno a Palazzo Chigi. I collaboratori più stretti avevano iniziato a fare gli scatoloni un attimo dopo la fine della conferenza stampa del premier dell'altro ieri. Erano inevitabili: e lo sapevano tutti. E anche la speranza che «potesse succedere qualcosa» che invertisse la tendenza era scivolata sempre più in basso con il passare delle ore.
La «sfida» di presentare «Impegno Italia» alla vigilia della direzione era null'altro che un tentativo (non riuscito) di spaccare il Pd; e l'atto un po' romantico di un uomo che ha sperato fino all'ultimo un ravvedimento del suo partito. Ravvedimento che non c'è stato: solo 16 i voti contrari a Renzi.
Che fosse questa l'atmosfera lo si capiva dalla circostanza che, proprio al termine della conferenza stampa, la presidenza del Consiglio diffondeva una nota che annunciava per oggi un Consiglio dei ministri, ma senza ordine del giorno. Formula per dire che la riunione sarebbe stata monopolizzata dalle «comunicazioni del presidente» (sensazione corroborata dalla decisione della presidenza di annullare la visita a Londra il 24 febbraio).
E le comunicazioni che Enrico Letta oggi offrirà al Consiglio dei ministri saranno quelle che ha poi formalizzato in una nota. «A seguito delle decisioni assunte dalla direzione nazionale del Partito democratico - scrive il premier - ho informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio dei ministri».
Dopo le «comunicazioni» del presidente, il Consiglio dei ministri dovrebbe affrontare una discussione sul caso dei fucilieri di Marina trattenuti in India. Lunedì saranno due anni dall'evento. Da quando lo Stato maggiore della Marina diffuse un comunicato per dare conto di un incidente nell'Oceano indiano. Comunicato che si chiudeva con la formula: «L'imbarcazione sospetta si è allontanata senza danni evidenti a bordo». E affrontare il loro caso durante un Consiglio dei ministri di un governo dimissionario la dice lunga sull'attenzione che i membri dell'esecutivo potranno dedicare all'argomento. Nemmeno la minaccia, rimasta a mezz'aria fino all'ora di pranzo di ieri, di farsi sfiduciare dalle Camere è servita a far cambiare idea al suo partito. I capigruppo, Zanda e Speranza, hanno spiegato a Letta che erano preferibili le dimissioni piuttosto di uno scontro nelle aule parlamentari. E anche Napolitano era della stessa idea.
Alle 8 Letta ha salutato i suoi collaboratori, anche con un brindisi per sottolineare il buon lavoro fatto, ed è tornato a casa. Ai suoi, dicono fonti vicine a Palazzo Chigi, avrebbe ribadito l'amarezza per come si è chiusa la sua esperienza («Non si tratta di un giorno in più o in meno, anche oggi si è capito che Matteo Renzi ha sempre voluto prendere il mio posto», avrebbe detto). Al leader Pd rimprovera insomma - sempre secondo fonti parlamentari - «l'ossessione del potere» e «il cinismo di aver da sempre mirato alla poltrona di premier». Ma ciò che avrebbe irritato maggiormente Letta sarebbe il riferimento alla «palude»: «Io sono stato nella palude - è la “risposta” indiretta a Renzi - per colpa del Pd. Ma secondo il premier uscente un esecutivo Renzi, qualora riuscisse a nascere, potrà durare poco, («Sei mesi») per colpa dei desiderata di Berlusconi che «potrebbe in ogni momento staccare la spina» accordandosi con Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini e tornare al voto.
A quel punto, il premier ha riflettuto su cos'è la sindrome della «solitudine del capo». Ed è stato lui a rincuorare le collaboratrici di Palazzo Chigi con gli occhi gonfi dall'emozione. Immaginando - a ragione - che scene del genere erano in corso in tutti i ministeri.
Qualche uomo dello staff ha provato a sdrammatizzare e a ricordare che le dimissioni di Letta coincidono con il giorno di San Valentino. Ma nessuno ha pensato alla festa degli innamorati, piuttosto alla strage di San Valentino nell'America del proibizionismo, e all'accordo di San Valentino sulla scala mobile. E ora la data coinciderà anche con le dimissioni del governo Letta.
Gli stessi collaboratori descrivono Enrico Letta «sereno. A posto con la coscienza». E a riprova citano il comunicato di Palazzo Chigi che smentisce attriti fra il premier e Dario Franceschini. «Fantasie», dicono. Così come sono fantasie le ipotesi che Renzi abbia offerto il ministero dell'Economia proprio a Enrico: l'ipotesi, però, era stata messa in giro proprio dai lettiani. Sgambetti fra ex ? Non saranno gli ultimi.

lunedì 10 febbraio 2014

l'ANARCHIA

l'ANARCHIA    

Anarchia significa assenza di autorità. Se s’intende per governo la forma più esplicita dell’autorità, ne consegue che l’anarchia è la negazione di questa idea, cioè di ogni dominio dell’uomo sull’uomo. Essa designa un regime sociale dove non esistono, in via di principio, forme coercitive a carattere istituzionale: la vita individuale e collettiva è concepita senza un potere costituito. 
Si intende ordine sociale e non politico perché una società concepita senza un potere non può esprimere alcun ordine politico: la società anarchica è una società non politica, naturalmente se per politica s’intende l’esplicazione dell’autorità. In altri termini, la società anarchica è una società etica per eccellenza. Essa sostituisce il complesso giuridico della costrizione potestativa, per cui il rapporto decisivo fra i membri di questa società non è fra legge e libertà, ma fra libertà e morale. Dunque l’anarchia è la negazione del governo perché è la negazione dell’autorità ed è la negazione dell’autorità perché è la negazione della politica.
Da questa definizione balza subito agli occhi un fatto irrisolvibile: in qualunque maniera si definisca l’anarchia, si dovrà sempre incominciare col definirla in modo negativo, poiché il principio su cui si fonda parte in tutti i casi da una negazione, precisamente dalla negazione del principio di autorità. Fondandosi per principio su una negazione, il concetto di anarchia non può mai uscire dall’indeterminato. Di conseguenza, è solo su questa negazione che la società anarchica riscuote un consenso unanime: chiunque si riconosce nell’anarchia si riconosce innanzitutto nella negazione del principio di autorità, si riconosce cioè nel rifiuto di questa premessa quale principio informatore della società umana.
Del resto non potrebbe essere altrimenti, qualora si consideri che l’anarchia è retta ontologicamente da una negazione. È sulla comune negazione della autorità e delle leggi, sull’assenza di questi presupposti coercitivi, che nasce il patto fra gli uomini della società libera. Essi si riconoscono universalmente nella negazione del principio di autorità, mai nella positività della libertà, essendo questa, proprio per definizione anarchica, infinita.
Si può dunque dire che l’anarchia si evidenzi concettualmente in una radicale coerenza. In quanto negazione indeterminata del principio di autorità, essa non può mai essere monopolio di nessuno. Non descrivendo concretamente un ordine sociale specifico, impedisce a chiunque di affermare ciò che questa anarchia deve essere, ciò che si deve intendere di questo ordine stesso.

NAPOLITANO CHIARISCA TUTTO SU MONTI PREMIER ....

Forza Italia: "Napolitano chiarisca tutto su Monti premier al posto di Berlusconi"

Gli azzurri sul piede di guerra per le rivelazioni sul golpe orchestrato da Napolitano: "Repubblica o sultanato?". "Era tutto premeditato". "Faccia chiarezza"   
Le ultime rilevazioni di Alan Friedman pubblicate sul golpe orchestrato da Re Giorgio per spodestare Silvio Berlusconi da palazzo Chigi e lanciare Monti, ha scatenato un vero e proprio terremoto politico. Il racconto di Friedman è minuzioso e non lascia spazio ad interpretazioni. Già nell'estate del 2011 Napolitano era in contatto col Loden per spedirlo a palazzo Chigi al posto del Cavaliere. Così scoperti gli altarini, Forza Italia passa all'attacco e lo fa con una nota del Mattinale, l'house organ dei deputati azzurri, che di fatto riepiloga la vicenda di quell'estate calda di tre anni fa e mette Re Giorgio davanti alle sue responsabilità: "Quel piano non è stato un capriccio, non si tratta di uno scatto di umore bizzoso, ma qualcosa di lento, maturato piano, coltivato prima delle tempeste. Come si può chiamare qualcosa che viene progettato in contraddizione con il responso delle urne?".
"Scacco matto al Re" - Poi Il Mattinale analizza il racconto di Friedman e punge Monti e il Colle: "Andiamo al documento filmato di Alan Friedman. Le ultime parole sono di Mario Monti, quando ammette, faticosamente, dolorosamente, a proposito della sua investitura a premier, che in effetti già a giugno del 2011, Napolitano  'sì, mi ha dato segnali in questo sensò. Poi basta parole. Primo piano del senatore a vita. In trenta secondi di un volto silenzioso viene raccontata una brutta verità sull'Italia. Monti è smarrito, stringe le labbra. Le corruccia, le abbassa. E' consapevole, non mente. A cosa ha detto di sì? E chiude gli occhi per otto secondi eterni". Poi arriva la chiosa del Mattinale che è di fatto una dichiarazione di guerra: " Pensavano di aver dato scacco matto a Berlusconi e al popolo italiano. Ora grazie alle rivelazioni fornite da Alan Friedman, convergenti, limpide, senza possibilità di letture minimaliste o benevole, lo scacco matto è al Re, ed è inutile che schiere cavalli ed alfieri, torri e pedine. Di certo siamo garantisti. Persino quando un volto impassibile come quello di Mario Monti canta più di un verbale. Ma chiediamo un’operazione verità dalla cattedra più alta", conclude "Il Mattinale".
Il Colle chiarisca subito - Insomma secondo Forza Italia è giunta l'ora che Napolitano chiarisca una volta per tutte cosa sia successo tra l'agosto e il dicembre del 2011. Intanto sempre dal quartier generale azzurro arrivano altre voci che chiedono un chiarimento immediato dal Colle. I capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani affermano: "Ci domandiamo se sia rispettoso della Costituzione e del voto degli italiani preordinare un governo che stravolgeva il responso delle urne, quando la bufera dello spread doveva ancora abbattersi sul nostro Paese. Chiediamo al Capo dello Stato di condurre innanzitutto verso i propri comportamenti un’operazione verità. Non nascondiamo amarezza e sconcerto, mentre attendiamo urgenti chiarimenti e convincenti spiegazioni". Anche Mara Carfagna su twitter si chiede se "l’Italia è una democrazia o un sultanato di Napolitano". E con lei ce lo chiediamo pure noi.

LA GERMANIA STA SPOLPANDO LE NOSTRE MIGLIORI AZIENDE

LA GERMANIA STA SPOLPANDO LE NOSTRE MIGLIORI AZIENDE  



«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane».
«Aziende della base industriale del Mittelstand tedesco ottengono accesso al sapere tecnologico di aziende italiane in difficoltà, mentre in alcuni casi spostano i loro quartieri generali oltr’alpe», scrive il quotidiano finanziario il 27 gennaio, sottolineando l’importanza del “sapere tecnologico italiano”. «Le aziende tedesche stanno afferrando opportunità d’espansione mentre la recessione sospinge verso il basso il prezzo degli affari nel sud Europa in difficoltà». Per Barnard, è esattamente «la Spirale della Deflazione Economica Imposta, per comprarci con due soldi» grazie alle restrizioni promosse dal sistema Ue-Bce. Marcel Fratzscher, direttore dell’istituto economico tedesco Diw, ammette che il terreno di caccia del business tedesco è soprattutto l’area in crisi, dove i tedeschi possono “aiutare” le piccole e medie aziende italiane, che «spesso faticano a ottenere credito». Ovvio: «A noi la Germania ha proibito di avere una “banca pubblica” come la tedesca Kfw», protesta Barnard. Una banca che, «barando sui deficit di Stato tedeschi, ha versato miliardi in crediti alle aziende tedesche».
«Le acquisizioni – continua il “Financial Times – sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il linguaggio nasconde una serie di acquisizioni aggressive». Di fatto, è la “conquista” di aziende italiane, contro la volontà dei proprietari italiani costretti a vendere. «In alcuni casi gli accordi sono strutturati in modo che il marketing e il management sono esportati dall’Italia, spogliando l’azienda acquistata fino alle sue strutture produttive». Carlos Mack, di Lehel Invest Bayern, dice al “Financial Times” che la logica dietro al trasferimento delle sedi delle aziende italiane «è di avere sia i beni di valore che il marketing e il management in Germania, perché così si ha accesso più facile al credito bancario da banche non italiane». Sempre Mack dice che le aziende tedesche «non sono interessate al mercato italiano, ma solo al prodotto italiano». Ovvero, «sono interessate a vendere il prodotto italiano altrove». Per Barnard, è «la conferma che noi abbiamo le più straordinarie piccole medie imprese del mondo, e ora ci portano via i gioielli della nostra produzione».
«A differenza delle aziende italiane – continua il “Financial Times” – le tedesche hanno poche difficoltà a trovare crediti». Una ricerca ha evidenziato che «le banche italiane lavorano bene con le succursali tedesche in Italia, facendogli credito, per proteggersi dai loro investimenti nelle aziende italiane in difficoltà». Ma come, non erano in difficoltà le nostre banche? «Perché prestano ai tedeschi e non a noi?». E’ un “trucco”, innescato dalla Deflazione Economica Imposta dall’euro: «Le nostre aziende affogano, quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a 2 soldi, e le banche italiane ci fanno affari». Norbert Pudzich, direttore della Camera di Commercio Italo-Tedesca a Milano, dice che anche prima della recessione le aziende italiane avevano difficoltà a trovare crediti, perché ad esse manca lo stretto rapporto con le banche “di casa”, che invece le aziende tedesche del Mittelstand hanno. Infatti, osserva Barnard, la stessa Kfw «ha versato miliardi di euro di spesa pubblica sottobanco alle aziende tedesche, barando, mentre costringevano noi a rantolare senza un centesimo dal governo».
«Tutto questo – conclude Barnard – io lo denunciai 4 anni fa, e mi davano del pazzo. Questa è la distruzione pianificata di una civiltà, quella italiana, delle nostre famiglie, dei nostri ragazzi. Questo è un crimine contro l’umanità, perché lo stesso accade in altri paesi europei. Questo è nazismo economico». I tedeschi? «Non cambieranno mai», sono «sterminatori nell’anima», andrebbero «commissariati dall’Onu per sempre». Barnard l’ha ripetuto in decine di conferenze, mostrando una slide dell’“Economist”: ora, con la nostra economia retrocessa a condizioni da terzo mondo «proprio a causa dell’Eurozona voluta da Germania e Francia», la Germania e altre potenze vengono a rastrellare aziende italiane pagandole quattro soldi. Tutto previsto: era un piano preciso. Se cessi di immettere denaro nel sistema, proibendo allo Stato di spendere, vince chi bara – in questo caso la Germania, in cu lo Stato finanzia (di nascosto) le aziende, creando un enorme vantaggio competitivo, completamente sleale. La politica italiana? Non pervenuta. E’ per questo che i “predatori” hanno campo libero. E il paese precipita.

domenica 9 febbraio 2014

IL VERO POTERE

IL VERO POTERE  


L’Italia è una Repubblica democratica o almeno così è scritto e così dovrebbe in pratica essere, ma ahimè, considerato quello che succede, spesso non è così.
Non sembra o alcuni non lo sanno,  ma l’Italia è manovrata e gestita da poche migliaia di persone. Persone che appartengono a delle caste (lobby) che da sempre hanno potere decisionale e che agiscono nell’ombra.
Sebbene all’apparenza sembra che il potere pubblico venga esercitato dal governo con i suoi ministri, dai partiti politici ed i loro esponenti,  il potere viene in realtà  guidato, in maniera subdola e indiretta, dalle caste o super caste.  Caste composte da direttori generali dei Ministeri, presidenti e consiglieri di amministrazioni statali e parastatali, membri di authority,  e da grandi società economiche. Da sempre, queste caste, insieme ad altre lobby, come quelle dei magistrati, dei medici, dei notai, così come la Confindustria, riescono ad influenzare le decisioni politiche senza esporsi in prima persona. Quindi in Italia, il vero potere sta nelle mani di queste persone che, ovviamente, tirano acqua al proprio mulino, infischiandosene dell’Italia e del popolo italiano. Sono loro i veri  factotum della concreta attività di governo, a loro la decisione ultima se una legge deve passare o in che maniera deve essere variata, da cui dipendono gli orientamenti  strategici, che decidono sui grandi appalti,  in grado di bloccare le iniziative di qualunque potere o di scegliere chi  deve occupare un posto rilevante. Questa super casta è coesa e interattiva così come non lo sono i politici italiani i quali, evidentemente, la  temono e diventano dei  burattini.  Sono loro e i veri padroni della politica Italiana (dell’Italia?) che la gestiscono in tutta riservatezza. Tutti gli altri, dai lavoratori ai  pensionati, dai piccoli commercianti ai sindacati, non hanno voce in capitolo e le loro proteste o rivendicazioni lasciano il tempo che trovano.
L’assurdo è che molte persone credono che andare al voto, per cambiare governo, possa ancora servire a qualcosa. ???
 


giovedì 6 febbraio 2014

ENZO TORTORA UNA FERITA ITALIANA

Proiezione del docufilm "Enzo Tortora, una ferita italiana" di Ambrogio Crespi 

Introducono la proiezione del film: Basilio Rizzo (Presidente del Consiglio comunale di Milano), Marco Cappato (Consigliere comunale di Milano), Ambrogio Crespi (regista), Giuseppe Rossodivita (avvocato radicale). Presiede: Matteo Forte (Consigliere comunale di Milano) 

http://www.radioradicale.it/scheda/402391/proiezione-del-docufilm-enzo-tortora-una-ferita-italiana-di-ambrogio-crespi