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venerdì 10 maggio 2013

AGNESE BORSELLINO E LO STATO

Agnese Borsellino e lo Stato   

E sì! Sino all'ultimo questo Stato ha dimostrato davvero d'essere prepotente; d'essere persino disumano verso la famiglia di Paolo Borsellino, verso una piccola ma Grande donna qual è stata Agnese Piraino Leto, moglie del Giudice Paolo Borsellino. La presenza di alcuni esponenti di Governo ha marcato ancor di più il mio disagio, la mia idiosincrasia verso i personaggi presenti al rito funebre. E credo di interpretare il sentimento collettivo, quando affermo che la presenza di costoro era immotivata, inopportuna, talchè rappresentava per intero il ventennio di depistaggi, di bugie e di verità negate. Lo stato non aveva colpito solo  Agnese Borsellino, i suoi figli e familiari tutti, ma all'intero Popolo italiano: Popolo ricco di morale e rettitudine che nulla ha a che spartire con codesti rappresentanti del nulla. Che senso ha avuto partecipare ai funerali di Agnese Borsellino, quando lei stessa ha dovuto subire l'ignominia dello Stato? Certo, sbandierare ai quattro venti che qualcuno meriterebbe un premio per la palese opera di contrasto alla mafia, appare risibile e anche criticabile. Ma poi partecipare al funerale se non si è stati capaci di dare ad una donna, ad una mamma, ad una sposa una risposta di Giustizia, che senso ha?
E non riesco nemmeno a comprendere affermazioni contro i Magistrati, profferite da un personaggio, peraltro già condannato in primo grado. Infatti, non posso dimenticare le accuse gravissime nei confronti della Magistratura, del tipo “per fare il magistrato occorre essere mentalmente disturbato” o “ i giudici sono più pericolosi della mafia”. E si badi bene che proprio un partecipante ai funerali aveva l'obbligo morale, per il ruolo Istituzionale, di difendere i Magistrati; invece non una sillaba, non una parola. Mai ha difeso la Magistratura, del resto non poteva contraddire il suo padre padrone. Allora si presenzia al funerale di una moglie di un Magistrato, senza mai difendere l'onore della categoria. E oggi, con le facce funeree di circostanza, erano lì a rappresentare uno Stato che in vent'anni ha distillato, piano piano e goccia dopo goccia, tantissimo dolore ad Agnese Borsellino. Eppoi vedere Salvatore Borsellino “soffrire” - ne sono certo - per la presenza dei suddetti rappresentanti dello Stato, ha particolarmente colpito il mio cuore.
No! In virtù del fatto che lo Stato non ha voluto fornire un briciolo di verità alla signora Agnese Borsellino, non doveva permettersi di partecipare al lutto della famiglia Borsellino. Il dolore per la scomparsa della signora Agnese, oltre alla famiglia, apparteneva a noi cittadini che l'abbiamo amata, perchè Agnese era parte di noi. Di lei apprezzavamo, giorno dopo giorno, la tenacia, il coraggio e la perseveranza. E quindi le esequie dovevano essere un momento di raccolta, un momento di preghiera e di alta gratitudine per una fragile ma forte Donna che ha speso vent'anni della sua vita, lottando contro quello Stato che oggi, era presente. Non so se qualche inquilino di Roma, abbia mandato parole di condoglianza o corone di fiori: mi auguro proprio di no, altrimenti credo che l'ipocrisia sia davvero l'espressione della classe politica. E come ho scritto ieri “non fiori, ma la verità su via d'Amelio”. Conoscere la verità era il sogno di Agnese Borsellino, ora spetta a noi tutti esaudirlo.

BERLUSCONI UNA SENTENZA POILITICA INTOLLERABILE

Silvio è stato condannato a ottobre. Non è dispiaciuto perchè non è arrivato al panettone, è dispiaciuto perchè non è arrivato a Carnevale.

Naturalmente Berlusconi, tessera P2 N° 1816, è intervenuto immediatamente a Studio Aperto dichiarando: Una sentenza politica intollerabile, qui non si va avanti.
Sono andati avanti comunque i suoi suonando la grancassa della propaganda che sanno suonare molto bene: Berlusconi condannato senza prove.
Era convinto dell’assoluzione, dice, ed è per questo che per 10 anni è andato avanti con legittimi impedimenti , decreti ad hoc per impedire il lavoro dei magistrati.
Dal Fatto Quotidiano:
Il Pdl, intanto, si compatta in difesa dell’ex premier. Nota congiunta per Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato: ”L’uso politico della giustizia scrive oggi un’altra brutta pagina nella storia del nostro Paese – scrivono nel messaggio – . Mentre Silvio Berlusconi orienta le sue scelte innanzi tutto tenendo conto del bene del Paese, la caccia all’uomo non salta un giro”. Ma, aggiungono i due parlamentari, “verrà un giorno in cui la storia darà atto di quanto male tutto questo ha fatto alla nostra democrazia”. Si tratta di una “singolare condanna” per la deputata Beatrice Lorenzin che osserva: “Dopo 18 anni di storia aspettiamo con impazienza i successivi gradi di giudizio, perché finora, di fronte alle carte, ogni verifica successiva ha sempre dato ragione a Berlusconi”. Per il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ”non si tratta di una sentenza ma di un tentativo di omicidio politico visti non solo la condanna penale ma anche l’interdizione di tre anni dai pubblici uffici. Purtroppo non da oggi diciamo che è in atto un uso politico della giustizia, in primo luogo contro Berlusconi”. Per Sandro Bondi si tratta di una “ferita inferta alla democrazia”, secondo Michaela Biancofiore si tratta di “una sentenza palesemente politica” e Francesco Storace (La Destra) è convinto che Berlusconi “non meriti l’accanimento”. “Vicinanza umana e solidarietà” anche da parte di Ignazio La Russa che non esita a parlare di “accanimento giudiziario”.
Quello di oggi è un ”evidente il tentativo da parte del Tribunale di Milano di colpire il ‘nemico’ con una sentenza spropositata che nulla ha a che vedere con la giustizia” per Maurizio Lupi, vice presidente della Camera. Arrivano parole durissime invece dal parlamentare – e capo ufficio stampa del Pdl - Luca D’Alessandro: “Il Tribunale politico di Milano ha colpito ancora – ha commentato-. Se oggi danno quattro anni a Silvio Berlusconi – ha proseguito – per un reato che non ha commesso, come documentalmente dimostrato, quando nei gradi successivi sarà assolto, dovranno dare l’ergastolo e interdire dai palazzi di giustizia quei magistrati che stanno portando avanti questa ignobile persecuzione giudiziaria”.
Per Alfano quella di oggi è “una condanna inaspettata e incomprensibile, con sanzioni principali e accessorie iperboliche”, opinione condivisa anche da Enrico La Loggia, presidente della Commissione parlamentare per l’Attuazione del federalismo fiscale. Il segretario del Pdl, però, è certo “che i prossimi gradi di giudizio gli daranno ragione e speriamo che questi giudizi giungano in fretta”. Interviene anche l’ex ministro Gianfranco Rotondi, secondo cui “la condanna di Berlusconi mostra al mondo l’anomalia della giustizia italiana. Come sempre nei gradi successivi – conclude – la serenità dei giudici restituirà a Berlusconi verità e giustizia”.
C’è pure l’attestato di stima di Formigoni ma, con l’aria che tira al Pirellone è meglio lasciar perdere.
Interessante il commento di Cicchitto, tessera P2 N° 2232, che ripropongo:
”non si tratta di una sentenza ma di un tentativo di omicidio politico visti non solo la condanna penale ma anche l’interdizione di tre anni dai pubblici uffici. Purtroppo non da oggi diciamo che è in atto un uso politico della giustizia, in primo luogo contro Berlusconi”.
Anche se non si ripresenterà come candidato alle elezioni non ho dubbi che la campagna per farlo passare come vittima della magistratura politicizzata non avrà un attimo di tregua come previsto dalla strategia della loggia massonica P2.
Qualche garantista, alla Carnevale, lo troveranno sia al centro che a sinistra.
Non entro nel merito, non ho letto le motivazioni e non ho le capacità intellettive per cogliere tutte le ragioni e le sfumature che hanno portato i giudici ad infliggere la condanna di primo grado ma ritengo che sia colpevole e la mia convinzione si basa su questi presupposti.
Se fosse vero che è innocente, anche gli assassini si ritengono innocenti se non sono rei confessi, non avrebbe ostacolato in tutti i modi il lavoro dei magistrati inventandosi legittimi impedimenti ridicoli e imponendo ai suoi parlamentari continue modifiche ad hoc delle leggi vigenti.
Non dimentichiamo che è stato Berlusconi  a depenalizzare il reato di falso in bilancio.
Non è mai stato assolto o è finito in prescrizione dopo aver fatto ridurre i tempi della stessa dalla sua maggioranza o è stato assolto perchè, durante le inchieste ed il processo, ha fatto depenalizzare i reati.
Li ha commessi ma ha deciso che non sono più reati.
Ma c’è un’altra frase che ha pronunciato ieri sera a Studio Aperto che mi infonde la certezza che è uno spergiuro, un falso, un mentitore seriale, come ci aveva già anticipato Montanelli che lo conosceva bene.
Ieri sera, dopo la filippica contro i giudici, ha aggiunto una frase che ripete spesso anche sua figlia Marina, del tutto degna di cotanto padre:
I 564 milioni che ho dovuto dare” a De Benedetti “non sono la rapina del secolo, ma del millennio”.
Se c’è una cosa della quale siamo tutti certi è che la rapina del secolo ci fu ma ai danni di De Benedetti e solo la spudoratezza di padre e figlia consente di dichiarare impunemente il falso sia all’uno che all’altra.
Dal Fatto Quotidiano:
Mondadori, storia di una sentenza comprata.
Ora finchè compra le orgettine ce ne possiamo anche fregare ma la sua storia è piena di episodi oscuri che gli italiani fingono di non conoscere, o non conoscono distratti dal Pomeriggio sul 5.
Qui c’è una sintesi che ricostruisce i vari passaggi della sua ascesa di imprenditore:
LA STORIA DI SILVIO BERLUSCONI
Molto interessante, per capire il personaggio, è la storia di come ha comprato la villa di Arcore. A questa storia ci sono molto affezionato. Seguendo la triste storia del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino e della sua bellissima e intrigante moglie, Anna Fallarino, ho scoperto sul finire degli anni settanta di che pasta fosse il bravo imprenditore che poi si comprò il Milan. Nel 1983 comprai il libro: Gelli: la carriera di un eroe di questa Italia di Gianfranco Piazzesi. Garzanti 1983.  Capii tutto e divenni antiberlusconiano molto prima della sua scesa in campo, Berlusconi è colui che ha portato a buon fine l’attacco allo Stato ordito dalla P2 di Licio Gelli.
I piduisti sono ancora lì, non tutti ma in numero sufficiente per condizionare lo Stato, la magistratura, la propaganda a loro favore e tutto il resto.
Qui troverete la storia di come ha “comprato” la villa di Arcore.
Ultimamente i miei post sono pieni di link che portano alle fonti, con l’aria che tira per i blogger è meglio cautelarsi e produrre documenti, non avendo avvocati di grido o conti in banca per risarcire qualche bandito mi devo pur cautelare. Le mie sono opinioni, documentate, non diffamo a destra e sinistra come fa Sallusti spacciando la diffamazione per opinione.
Scrivo solo di fatti realmente accaduti, documentati, reali.
Per me, il piduista, quello era e quello è rimasto. Si è solo dato una sistemata. La foto è ancora in bianco e nero, datata.
Carnevale, l’ammazza sentenze.
Non facciamoci illusioni, c’è sempre la prescrizione a portata di mano.


 

ALTRO CHE KYENGE ERA MEGLIO CON CARACALLA

Altro che Kyenge, era meglio con Caracalla 

Perché lo ius soli proposto dal neoministro spinge a fare i conti col concetto di nazionalità in un'Italia che oggi sembra più arretrata di 1.000 anni fa. 
Secondo gli storici, la caduta dell'Impero romano riportò indietro di circa 1.000 anni il livello di vita degli italiani, che solo nel 1300 poté riavvicinarsi vagamente a quello dei tempi di Diocleziano.
Tanto per dire, Diocleziano era quello che costruì a Roma il gigantesco impianto termale (dotato di 2.400 vasche, poteva ospitare contemporaneamente3 mila bagnanti) sulle cui rovine sorgono l'attuale piazza Esedra e la basilica di Santa Maria degli Angeli.
Sotto alcuni aspetti l'Impero colpisce ancora, anzi, vince alla grande. Non solo quanto a diffusione capillare sul territorio italiano di terme, teatri, musei e biblioteche, ma anche quanto al concetto di integrazione.
IL DECRETO DI CARACALLA DEL 212. Già nel 212 un altro celebre costruttore di terme, Caracalla, fra un tepidarium e l'altro aveva emanato la Constitutio Antoninana, un decreto che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'Impero, dal vecchio carovaniere della Tebaide egiziana all'ultimo nato nel lembo estremo della Britannia.
LA RIFORMA DI SETTIMIO SEVERO. La legge completava la riforma iniziata da Settimio Severo, che aveva concesso la cittadinanza ai soldati degli eserciti provinciali e alle loro mogli, e non era dettata tanto da "correttezza politica", quanto da urgenze fiscali: la costosissima macchina dell'Impero esigeva tributi ingenti, cui erano tenuti solo i cittadini romani.
MOLTIPLICATI IL NUMERO DI CONTRIBUENTI. Insomma, l'editto di Caracalla, moltiplicando i «cives Romani», moltiplicava anche il numero di contribuenti da spremere - più che ius soli, fame di soldi - per compensare il dissanguamento delle casse statali.
Ma prendeva atto che l'essere cittadino di Roma non era una questione di sangue, e cioè che il popolo romano non era un'estensione della famiglia, unita da legami di nascita e trasmessi di generazione in generazione. 

L'origine, la razza e la padronanza della lingua non contavano 

 Chi nasceva e viveva entro i confini segnati dalle insegne di Roma, obbedendo alle sue leggi e soprattutto pagando le tasse, era cittadino, senza badare all'origine, al colore della pelle e nemmeno alla perfetta padronanza della lingua latina. Tant'è vero che alcuni degli imperatori successivi si chiamano Claudio Gotico, Filippo l'Arabo e Massimino il Trace, e se qualche romano xenofobo avesse detto loro di tornarsene rispettivamente in Germania, in Arabia Felix o in Tracia l'avrebbero romanamente sbattuto a lavorare nelle miniere in Sardegna.
LO STRISCIONE DI FORZA NUOVA. I simpaticoni di Forza nuova che invitano il ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge (promotrice di una proposta di legge sul diritto di cittadinanza più elastica e inclusiva per nasce e studia in Italia) a «tornarsene in Congo» non rischiano nemmeno una tirata d'orecchie - in effetti l'invito a tornare in Congo non è di per sé un insulto razzista.
Ma se anche il l'ex Zaire occupasse le prime posizioni della classifica dello sviluppo stilata dall'Onu anziché la penultima, per Forza nuova sarebbe un paese inferiore in quanto situato in Africa e abitato da persone con la pelle scura.
LE PAURE DI BEPPE GRILLO. Né rischia alcunché Beppe Grillo, spaventato dall'idea di una cittadinanza legata solo al territorio di nascita e perseguitato dall'incubo di orde di donne povere e incinte che dai cinque continenti arrivano a nuoto sulle coste italiane per sbolognare allo Stato italiano i loro marmocchi, macinando bracciate con più lena del fondatore del M5s nella sua traversata nello Stretto di Messina prima delle elezioni regionali.
Questo perché non viviamo in un regime dispotico dove nell'attacco a un ministro si configura il reato di lesa maestà; e meno male, perché, se ci fosse, il primo incriminato sarebbe il premier: Enrico Letta, che da Fazio ha dichiarato che questo non è il governo che lui avrebbe voluto dare agli italiani.
L'IGNORANZA DIFFUSA SUI TERMINI. Ma soprattutto il 90% degli italiani ignora il significato delle parole latine «ius» e «soli». Perfino «sanguinis» è un termine equivoco.
A Milano infatti «sanguis» è il panino (così i meneghini percepivano l'inglese «sandwich»), e molti legisti si sono convinti che lo ius sanguinis consista nel concedere automaticamente la cittadinanza a chi mangia una michetta col prosciutto in Italia.
L'ITALIA È CAMBIATA. Il prosciutto non è nelle michette leghiste, ma sugli occhi di tanta gente incapace di rendersi conto che l'Italia è cambiata, e ora è molto simile a quella di Caracalla (la cui famiglia d'origine, i Severi, proveniva dall'Africa come il ministro Kwenge). È ora di mettere da parte il pensiero «magico» per cui la nazionalità è una qualità infusa nei globuli rossi, e che si tramanda col sangue, a meno che non risulti misurabile attraverso apposite analisi ematologiche.
Anche perché se essere italiani significa conoscere a fondo le istituzioni, la cultura e la lingua di un Paese, sarebbero ben pochi i connazionali di pura stirpe nostrana che conserverebbero la nazionalità italiana.
NON CONOSCERE IL PROPRIO PASSATO. Anzi, la quintessenza dell'italianità moderna è proprio l'ignoranza del nostro passato e la sciatteria nell'uso del nostro idioma. Nella scuola media di mia figlia, dove un terzo degli alunni ha un cognome straniero, una professoressa di lettere ha redarguito pubblicamente un 12enne bielorusso vivace e non particolarmente studioso, ma cresciuto in Italia, dicendogli che non è degno di essere italiano. Non ho capito se è perché il ragazzino ha fatto scoppiare un petardo in classe o perché nella verifica di Storia ha scritto «Caracalla» correttamente.

BOTTA E RISPOSTA GRILLO E LETTA

BOTTA E RISPOSTA, GRILLO: COLPO DI STATO. LETTA: INSULTA PERCHE’ NON HA ARGOMENTI 

E’ scontro tra il Presidente del Consiglio Enrico Letta e Beppe Grillo. “C’é stato un golpe, un colpo di Stato. Ci hanno messo in un angolo, si sono riuniti in quattro in una notte a fare verifiche: questa è la continuazione dell’agenda Monti” ha detto il comico genovese. Parole definite “inaccettabili” dal premier. “si ricordi che quando ha usato la parola colpo di stato, una giornalista cilena gli ha spiegato che cosa è veramente un colpo di stato, facendogli fare una figuraccia” ha ricordato Letta dopo l’incontro con Schulz. Il Presidente del Consiglio bacchetta Grillo dicendo che “ferisce le istituzioni del nostro Paese. Ma le nostre sono istituzioni legittime e sono la rappresentanza popolare”.
Il premier critica anche i modi che utilizza il fondatore del M5S. “Grillo la butta sull’insulto personale” perché “non ha molti argomenti: lui insulta, io voglio occuparmi di problemi del Paese”. Letta tocca poi le grane interne al movimento grllino, sottolineando che mentre il governo taglia lo stipendio dei ministri lui fa “fatica” a imporre ai Parlamentari la restituzione della diaria. 

GRILLO CONTRO LO IUS SOLI: PRIMA PARLARNE CON L’UE. POI REFERENDUM 

Il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo si schiera contro lo Ius Soli. “In Europa non è presente, se non con alcune eccezioni estremamente regolamentate” scrive il comico genovese in un intervento sul suo blog, il quale propone un referendun qualora si volesse varare una legge. Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari” spiega.
Per Grillo, da quanto affermano gli esponenti della sinistra, “non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano. Lo ius soli se si è nati in Italia da genitori stranieri e si risiede ininterrottamente fino a 18 anni è già un fatto acquisito. Chi vuole al compimento del 18simo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano”.
Il fondatore del M5S puntualizza inoltre che “lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della UE. Chi entra in Italia – conclude – entra in Europa”. 

Ha suonato l’adunata oggi Beppe Grillo e ha chiamato a raccolta tutti i suoi parlamentari, nella più istituzionale delle sedi Palazzo Montecitorio.
La riunione si è resa necessaria probabilmente perché i parlamentari 5stelle dovevano essere presi per il colletto e riportati in carreggiata. Questo almeno lasciano pensare i tempi, infatti era stato da poco votato ilreferendum” sulla diaria che per il 48% deicittadiniin Parlamento andava restituito secondo coscienza. 
Grillo inizia l’incontro nel suo tipico stile da comizio “Fanculo i soldi!”, aggiungendo anche che “Non si fa la cresta su ciò che non è rendicontato”, “metteremo nomi e cognomi di chi vuol tenersi i soldi”. Una sorta di black list, quindi, la lista dei cattivi che si vogliono tenere i soldi o almeno una parte di essi
Tutto questo in tipico stile grillino viene riportato nella diretta twitter dell’incontro. E quindi a twitter e a chi a twittato viene imputato il fraintendimento sulla black list, stando a quanto riporta al termine della riunione il deputato Alessandro Funari.
Non solo soldi però, Grillo ha parlato anche del governo: “Il governo non regge. L’opinione pubblica sta cambiando. Cercano di dimostrare che siamo come gli altri.” Per poi passare all’autocelebrazione del Movimento “Abbiamo fatto la più grande rivoluzione di questo Paese, d’Europa e forse del mondo.”

IL SUD EUROPA MIGRA IN GERMANIA

Il Sud d'Europa Migra in Germania  

La Germania torna a essere terra di immigrazione dall'Europa del sud in crisi. I dati diffusi ieri dall'istituto di statistica tedesco dicono che gli immigrati provenienti da Spagna, Portogallo, Grecia e Italia nel 2012 sono aumentati del 40%.

In Germania, l'immigrazione è aumentata l'anno scorso complessivamente del 13%, con un saldo positivo di 369mila persone, tra l'1,08 milioni che sono entrati e i 712mila che se ne sono tornati a casa. Si tratta della più forte immigrazione dal '95. In testa restano i paesi dell'est europeo, con la Polonia in prima fila (176mila nuovi immigrati), seguita dalla Romania (116mila). 
Ma la novità è l'impennata di arrivi dal sud: campione è la Spagna, con 29.910 immigrati, cioè una crescita in un anno del 45%, la cifra più alta dal '73, ancora lontana però dagli anni dell'esodo dell'ultima fase della dittatura franchista (81.800 nel '64, 82300 nel '65). L'Italia è coinvolta, con un'impennata di 12mila emigrati in più nel 2012 rispetto all'anno precedente. I greci che si sono trasferiti in Germania per cercare lavoro sono aumentati di 10mila nel 2012, per una cifra complessiva di 34.109 persone, i portoghesi sono stati 11.762 (+4mila), gli sloveni in più sono stati 2mila.
Le regioni che attraggono di più sono quelle dove c'è maggiore occupazione, a cominciare dalla Baviera, seguita dalla Renania e dal Baden Württemberg. I nuovi immigrati, giovani e più qualificati, sono attratti dal basso tasso di disoccupazione tedesco, al 6,9%, contro cifre da capogiro nel sud dell'Europa, dove la disoccupazione colpisce in alcuni stati ormai più di un quarto della popolazione attiva e tocca punte del 60%, per esempio, tra i giovani spagnoli. Per la Germania è un vantaggio: la demografia del paese è declinante e il paese ha bisogno di forze nuove. Mentre per i paesi del sud l'operazione è in perdita, visto che sono stati spesi i soldi per la formazione dei giovani, e i nuovi immigrati sono per lo più giovani laureati, che poi sono costretti a cercare lavoro altrove per mancanza di proposte. I dati statistici confermano l'attrattività della Germania, già manifesta con l'aumento degli iscritti ai corsi del Goethe Institut nei paesi del sud Europa.
La Germania è anche il solo dei grandi paesi europei dove il pessimismo rispetto al futuro è meno diffuso. Secondo un'inchiesta realizzata dall'istituto Ipsos, i cui risultati sono stati pubblicati da Le Monde, i tedeschi percepiscono molto meno dei partner europei la crisi in corso. Per il 55% la crisi non ha cambiato la vita, anche se le notizie che vengono da fuori cominciano a preoccupare (il 73% pensa che le cose potrebbero aggravarsi). Il 44% continuano a potersi permettere di risparmiare, contro il 29% degli italiani e il 26% degli spagnoli. 
Secondo un'inchiesta qualitativa realizzata da FreeThinking, meno del 50% esprimono timori sulla perdita di controllo del proprio futuro, una cifra che invece sale al 67% per gli spagnoli. I tedeschi distanziano di molto gli altri europei nella fiducia che hanno nelle loro imprese: il 58% ritiene che la piccola e media impresa e il 50% che la grande impresa propongano soluzioni costruttive di fronte alla crisi, contro rispettivamente il 24% e il 34% per gli italiani. Ma i più pessimisti di tutti sono i francesi che, non ancora colpiti in pieno dalla crisi come spagnoli o italiani, hanno paura per il futuro e al 74% pensano che il loro paese uscirà meno forte dalla crisi, mentre il 72% teme che i figli staranno peggio di loro.
La crisi sta minando un po' dappertutto la fiducia nell'Europa. A cominciare dalla Germania, dove il 58% risponde che l'appartenenza all'Unione europea sia un handicap. 
La Germania è superata solo dalla Gran Bretagna (64%) tradizionalmente euro-scettica, mentre - è una sorpresa - sono solo il 45% dei francesi a pensarlo. La crisi ha reso al contrario gli italiani euroscettici: sono il 53% a pensare che l'appartenenza all'Ue sia un handicap, mentre in Spagna, malgrado il crollo dagli anni d'oro, l'Europa resta un valore (soltanto il 41% pensa che sia un inconveniente). I più eurofili sono i polacchi (solo 30% di opinioni negative). I tedeschi danno l'impressione di avere la convinzione di potersela cavare da soli, anche senza Ue: credono nella qualità de prodotti made in Germany e ritengono di essere abbastanza forti per lottare da soli nell'ampio mare della mondializzazione.