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martedì 4 marzo 2014

ITALICUM SOLO ALLA CAMERA RENZI IL SENATO SARA' ABOLITO

FI, Italicum solo alla Camera Renzi: bene, Senato sara' abolito 

Roma, 4 mar. - Accordo raggiunto sulla legge elettorale a poche ore dall'approdo in Aula dell'Italicum.
  Forza Italia e Pd hanno trovato l'intesa: al termine del lungo vertice a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi dirama una nota con cui da' il via libera alla riforma "ma solo per la Camera"
: "Confermiamo integralmente l'accordo pubblicamente realizzato, senza alcun 'patto segreto' come maliziosamente insinuato da alcuni organi di stampa", scrive il Cavaliere. "Prendiamo atto con grave disappunto della difficolta' del Presidente del Consiglio di garantire il sostegno della sua maggioranza agli accordi pubblicamente realizzati - scrive il leader di Fi - Come ulteriore atto di collaborazione, nell'interesse del Paese, a un percorso riformatore verso un limpido bipolarismo e un ammodernamento dell'assetto istituzionale, manifestiamo la nostra disponibilita' ad una soluzione ragionevole che, nel disegnare la nuova legge elettorale, ne limiti l'efficacia alla sola Camera dei Deputati, accettando lo spirito dell'emendamento 2.3".
  Berlusconi ribadisce "dunque piena collaborazione su questo piano, e una chiara opposizione sui temi economici e sociali, e su tutto quanto, a partire dalla necessaria riduzione della pressione fiscale e del peso dello Stato, ci rende naturalmente alternativi alla sinistra".
RENZI: BENE ACCORDO CON BERLUSCONI, SENATO SARA' ABOLITO
"Non capisco le polemiche....". Cosi' il Capo del Governo Matteo Renzi risponde ai giornalisti che gli facevano notare il tono deluso dei commenti di Silvio Berlusconi sull'accordo raggiunto da Pd e FI sull'Italicum. "Quello di oggi - ha detto il premier - e' un passo avanti perche' e' il si' a un modello elettorale che garantisce un vincitore certo. Il fatto che il Senato abbia o no una legge elettorale e' ininfluente perche' non si votera' piu' per eleggere i senatori. Spero - ha aggiunto - di chiudere presto, dopo 20 anni, la pagina delle riforme istituzionali. Voglio far notare a Berlusconi e a tutti che stiamo realizzando cio' che ci eravamo impegnati a fare. Le polemiche di oggi non le capisco".
  "I cittadini - ha aggiunto il premier - devono sapere che non si votera' piu' per il Senato, ma solo per la Camera". "Lo scopo della legge elettorale - ha spiegato Renzi - e' di avere un vincitore certo e l'Italicum garantisce di averlo.
  Il fatto che il Senato abbia o meno una norma elettorale, nel momento in cui abbiamo deciso di superarlo, e' un fatto secondario, una discussione ed un tema che appassiona i soli addetti ai lavori". Renzi ha poi ricordato che "gli obiettivi che ci siamo dati sono tre: arrivare ad una legge elettorale che garantisca la certezza su chi ha vinto; tagliare il numero dei parlamentari; riformare il titolo V cosi' da ridurre i costi e gli sprechi".
 
L.ELETTORALE: IMPASSE SU CANDIDATURE MULTIPLE, NCD NE CHIEDE 10
Chiuso l'accordo con Forza Italia sull'Italicum valido solo per la Camera, si apre un altro fronte nella trattativa sulla riforma elettorale e, spiegano fonti Ncd, certo non aiuta il fatto che il premier sia fuori dall'Italia, impegnato nella prima visita ufficiale all'estero, in Tunisia. A fare da ufficiale di collegamento tra le richieste Ncd e Renzi e' la ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi. L'impasse, sul quale si sta ora trattando, riguarda le candidature multiple, fortemente volute dagli alfaniani, soprattutto alla luce degli scenari prospettati dagli studi effettuati dalla camera sulla base degli algoritmi per la ripartizione dei seggi, che sfavoriscono i piccoli partiti per l'elevata casualita' della distribuzione a livello nazionale. Ncd, quindi, chiede di alzare il tetto massimo delle candidature multiple a 10, mentre l'accordo precedente ne prevedeva un massimo di 8. Si attende ora la risposta di Renzi. Sul punto, c'e' la contrarieta' di FI, ma anche di una parte del Pd.
TENSIONI FI-CARROCCIO, RISCHIA DI SALTARE IL SALVA-LEGA
Rischia di saltare l'emendamento cosiddetto 'salva-Lega', presentato da Forza Italia alla legge elettorale. Fonti parlamentari azzurre spiegano che nelle ultime settimane si e' registrata una certa tensione tra Forza Italia e Carroccio, proprio sull'atteggiamento nei confronti dell'Italicum ma, anche, sulle future alleanze. Da qui, stando ad alcuni parlamentari forzisti, deriverebbe l'intenzione degli azzurri di non portare all'esame dell'Aula di Montecitorio l'emendamento che, di fatto, garantiva alla Lega, fortemente radicata territorialmente, di accedere comunque in Parlamento anche se non dovesse superare la soglia del 4,5%. Purche' all'interno di una coalizione. Ma secondo altri esponenti di piazza San Lorenzo in Lucina, alla base dell'ipotesi di non presentare piu' il salva-Lega ci sarebbero altri motivi, attinenti alla nuova intesa siglata con il Pd. Il Carroccio, pubblicamente e anche attraverso il suo segretario Salvini, ha sempre rivendicato di non aver chiesto l'emendamento e di non averne bisogno.
  "Noi non abbiamo presentato nessun emendamento a favore della Lega", spiega Matteo Bragantini, esponente del Carroccio in commissione Affari costituzionali della Camera. Peraltro, aggiunge, "quell'emendamento non ci piaceva nemmeno, non e' stato condiviso con noi e non ci piace perche' prevede che ci sia una soglia differenziata se un partito sta in coalizione oppure no. Ma noi vogliamo che sia data a tutti la possibilita' di stare in parlamento, a prescindere dalla coalizione". In sostanza, spiegano altre fonti del Carroccio, con quell'emendamento Forza Italia si assicurava l'alleanza con la Lega.
'MAI VISTO', E CIVATI SI APPELLA A NAPOLITANO
"Ma si e' mai visto un sistema politico bicamerale con due leggi diverse per ognuna delle due Camere? Mi appello a Napolitano per sapere se va tutto bene". Pippo Civati, esponente dela minoranza Pd, commenta cosi' la discussione sulla riforma elettorale. La legge, ha aggiunto, "non interviene su rappresentanza e governabilita'. Non e' ne' un superamento ne' una riflessione su cio' che la Consulta ha detto"

UCRAINA IL SEGRETO CHE NESSUNO SPIEGA !!!!

Ucraina, il segreto che nessuno spiega (e che dovreste sapere…) 

Che cosa avete capito della crisi ucraina? Verosimilmente che il popolo ucraino si è ribellato contro un presidente arrogante e autoritario, Viktor Yanukovich, il quale ha cercato di reprimere la protesta, uccidendo decine di persone, ma che alla fine è stato destituito. La Russia si è arrabbiata e per ripicca ha invaso la Crimea. Confusamente tu, lettore, avrai capito che il popolo vuole entrare nell’Unione europea, mentre Yanukovich e, soprattutto, Mosca si oppongono. Fine.
La realtà, però, è un po’ diversa e assai più interessante. Per capire cosa stia succedendo davvero occorre partire da un po’ più lontano, da una ventina d’anni fa, quando una delle menti più raffinate dell’Amministrazione Usa, Zbigniew Brzezinski – ancora oggi molto influente – indicò nell’Ucraina un Paese fondamentale nei nuovi equilibri geostrategici; da sottrarre alla Russia e portare nell’orbita della Nato e dell’America. Allora iniziò una grande partita a scacchi tra Washington e Mosca. Anzi, una lunga guerra, combattuta con armi non convenzionali.
Ad esempio usando le “rivoluzioni pacifiste”. Il metodo si ispira alle teorie dell’americano Gene Sharp e fu applicato per la prima volta in Serbia nel 2000 in occasione della caduta dell’allora presidente Slobodan Milosevic. Funziona così: proteste di piazza in apparenza spontanee sono in realtà pianificate con cura e guidate per il tramite di Organizzazioni non governative, Associazioni umanitarie e partiti politici; in un crescendo di operazioni pubbliche amplificate dai media internazionali e con appoggi all’interno delle istituzioni, in particolare dell’esercito, che finiscono per provocare la caduta del “tiranno”. L’esperimento serbo piacque molto al Dipartimento di Stato che decise di sostenerlo altrove: nel 2003 in Georgia (Rivoluzione delle Rose) e l’anno dopo in Ucraina, quando, a Natale, il candidato progressista Viktor Juschenko (ricodate? Quello col viso butterato) sconfisse in piazza proprio Yanukovich, durante la Rivoluzione arancione.
Un capolavoro, che però, risvegliò Putin, il quale si accorse di tali metodi e, ossessionato dal timore che potessero essere usati nelle strade di Mosca contro di lui, avviò la “nuova guerra fredda” con gli Stati Uniti. I rapporti da cordiali divennero glaciali. E i suoi servizi pianificarono la riconquista dell’Ucraina, usando, a loro volta, strumenti non convenzionali quali ricatto del gas, sabotaggio dell’economia, disagi sociali, tecniche spin per demotivare e indebolire i partiti della coalizione arancione. Risultato: nel 2010 Yanukovich fu eletto presidente e l’Ucraina lasciò l’orbita americana per tornare in quella russa.
Arriviamo così ai giorni nostri, con l’emergere di un’ulteriore, sorprendente variante. La protesta da pacifica, diventa, almeno in parte, violenta. Per opera di chi? Non certo direttamente di soldati stranieri sul campo, bensì di estremisti. E che estremisti! Come ormai noto, ad assaltare i ministeri di Kiev non sono stati i pensionati ucraini, bensì milizie paramilitari neonaziste, ben istruite e ben armate. I pacifisti sono serviti da corollario, soprattutto mediatico, ma a rovesciare Yanukovich sono stati guerriglieri antisemiti, fanatici e ultraviolenti. Autentiche canaglie, il cui tempismo è stato perfetto: la sommossa ha raggiunto il suo apice durante i Giochi di Sochi ovvero nell’unico momento in cui la Russia non poteva permettersi rovinare il ritorno di immagine delle Olimpiadi. Kiev bruciava ma il Cremlino era costretto a tacere.
Operazione sofisticata e magistrale, ufficialmente senza paternità, che però – ammainate le bandiere olimpiche – ha innescato la risposta del Cremlino, meno raffinata ma altrettanto spregiudicata. Obama non immaginava che Putin potesse occupare la Crimea, così come il Cremlino non si aspettava la guerriglia filoamericana di Kiev. Si sono sorpresi a vicenda. E non finisce qui. La guerra, sporca e asimmetrica, durerà a lungo sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale che assisterà a tutto senza capire, ancora una volta, nulla.

DUE SOVRANITÀ ! ANZI TRE !!! ANZI DI PIÙ ?

DUE SOVRANITÀ ! ANZI TRE !!! ANZI DI PIÙ ?  

Poichè parliamo spesso di sovranità, è interessante analizzare il suo significato. Qui tento di individuare alcuni aspetti del concetto di sovranità.
Conviene partire da una definizione di sovranità, ripiglio quella che avevo fornito per anarcopedia:
La sovranità è una forma di potere che non riconosce alcuna autorità di livello superiore. Solitamente la sovranità è intesa a livello dello Stato (che solitamente si identifica con lo stato-nazione). In altre parole lo Stato è un potere sovrano che non dipende da altri poteri.
Qui emerge una delle contraddizioni del concetto: sovranità deriva etimologicamente da sovrano, cioè re, esso è intimamente legato a concetti monarchici.
In un modo che dà da pensare, nelle odierne democrazie si parla spesso di "sovranità popolare".
Insomma la sovranità, che è un concetto riferito ad una persona, ad un singolo, la massima autorità di uno Stato, viene oggi concepita come un concetto pluralistico, di un popolo. Nasce poi in ambiente monarchico e vorrebbe essere applicato in ambito democratico. Qui c’è qualche aspetto paradossale, su cui vorrei tornare dopo. 
Ma restiamo per ora alla sovranità come è citata nella Costituzione italiana:
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Emerge qui una visione della sovranità che deriva dal grande costituzionalista Kelsen: la sovranità viene fornita tramite la Grundnorm, la legge fondamentale (la Costituzione) sulla cui base viene costruito l’edificio giuridico. In questa visione la sovranità si costruisce sulla legge.
Il concetto può essere capovolto, facendo diventare la Costituzione come la legge di grado più elevato, da cui discendono tutte le altre.
Non cambia molto, ma rende l’idea di una legge che discende dall’alto, invece che costruita dal basso.
Nella prospettiva di Kelsen si evita però di introdurre la possibilità di una legge che discende da un ente esterno, l’idea della legge divina che per millenni è stata considerata valida.
Eppure un altro famoso giurista ammoniva che tutti i concetti politici originano dalla teologia.(1) Era Carl Schmitt, più famoso per un altro concetto di sovranità: “Sovrano è chi decide lo stato di eccezione”.
La prospettiva di Schmitt è basata sull’idea che la legge non può prevedere ogni situazione, ci saranno delle situazioni eccezionali in cui bisognerà prendere decisioni, anche se non c’è una norma esplicita. Per lui il sovrano è colui (o l’ente) che decide cosa fare in questi casi eccezionali.
Anche se non è molto esplicita, anche la sovranità di Schmitt è presente nella nostra Costituzione, perché essa deve prevedere cosa fare nelle situazioni impreviste. Essa compare negli artt. da 134 in poi.
Art. 134. La Corte costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.
Particolarmente interessante l’ultimo comma dell’art 137.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
Insomma se si volesse leggere la nostra Costituzione con la visione di Schmitt, la sovranità vera sarebbe qui, e risiederebbe nella Corte costituzionale, non nel popolo. Ci sarebbe certamente qualche aspetto di forzatura, perché la Costituzione fu scritta in un’ottica alla Kelsen, ma qui emerge l’idea che esista un’altra sovranità, oltre a quella citata esplicitamente, la sovranità di chi decide ed ha l’ultima parola.
Un’interessante conseguenza è che la Corte costituzionale non è solo un organismo giuridico, ma ha sostanziali contenuti politici.
Vale comunque la pena di ricordare che Kelsen e Schmitt furono spesso in polemica tra loro, ottenendo notorietà con le loro controversie oltre che con le loro idee.
Nel frattempo in Italia il nostro Costantino Mortati, senza troppo clamore, definiva l’idea di costituzione materiale, come qualcosa di vivente nella nazione, nel suo popolo e nelle sue istituzioni, qualcosa che si poteva discostare fortemente dalla norma scritta. Mi resta la sensazione che avesse visto più lungo degli altri due famosi giuristi.
In ogni caso, le due visioni di Kelsen e Schmitt mostrano due visioni alquanto interessanti di sovranità, decisamente diverse tra loro.
Ma il discorso è ben più complesso. La parola sovranità compare ancora all’ art. 11:
L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Qui compare un concetto diverso dai precedenti, ancora una volta poco esplicitato, l’Italia vuole essere uno Stato sovrano che decide in sua autonomia le politiche e le decisioni da adottare. Insomma uno Stato è sovrano quando non ci sono ingerenze di altri Stati.
Qui la questione non è chi decide all’interno dello Stato, ma che lo Stato è capace di decidere di suo, che non è una colonia amministrata da un viceré. Forse qui la prudenza dei padri costituenti ha evitato di inserire dichiarazioni che non si potevano mantenere, vista la sconfitta subita nella II Guerra mondiale (e le onerose condizioni di pace), eppure questo concetto di sovranità è ben visibile nel diritto all’autodeterminazione dei popoli presente nelle dichiarazioni ONU. (Ad esempio la Carta delle Nazioni Unite, 26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e art. 55)
Questo è un principio molto citato e poco applicato. Eppure se lo Stato non è sovrano, ha senso parlare di sovranità al suo interno?
Va detto che all’interno della sovranità statale si ritrova la sovranità monetaria della MMT (diffusa da Paolo Barnard con varie spiegazioni, inizialmente Modern Money Theory): uno stato ha la sovranità monetaria quando è padrone della propria moneta e della propria Banca centrale.
Qui conviene aggiungere il commento di un utente di Comedonchisciotte. (Jor-el)
Il discorso della sovranità è costellato di tabù, il più grande dei quali è quello che riguarda la sovranità militare, di cui non si può assolutamente parlare e che invece è direttamente collegata alla sovranità politica e monetaria. Con un paletto del genere, sfido che i discorsi diventano "complicati"! Viceversa, una bella mappa dell'Europa in cui siano ben evidenziate le centinaia di basi militari straniere (magari sovrapponendo ad essa quella dei flussi del contrabbando di droga o dei migranti) chiarirebbe molte cose.
E quindi quella che per Benigni era “la Costituzione più bella del mondo “ qualche dimenticanza la ha.
Vorrei ritornare in chiusura sul paradosso iniziale, di come conciliare l’idea di re con il popolo sovrano. Sembrano concetti alquanto incompatibili, eppure Antonio Gramsci fece un’operazione di questo tipo, partendo dal “Principe” di Machiavelli per arrivare alla moderna forma del principe, che per lui doveva essere un partito politico, vivo, attivo, egemone.
E allora si , in un'ottica gramsciana il popolo sovrano può esistere. Se è un popolo attivo, militante, impegnato. Non è un popolo di elettori.