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giovedì 30 maggio 2013

LETTA INCALZA I PARTITI RIFORME ENTRO 18 MESI

Letta incalza i partiti «Riforme entro 18 mesi» 

Ce la mette tutta, Enrico Letta, quando sprona i partiti spiegando che «questa è un’occasione unica per le riforme» e che «l’astensionismo alle comunali è un segnale che la politica non può più permettersi di ignorare». Ma la verità è che dopo quanto visto ieri in Parlamento, la strada per modificare la seconda parte della Costituzione sembra essersi fatta terribilmente in salita. Tra compromessi al ribasso e spaccature nei partiti di maggioranza, infatti, l’idea che nei 18 mesi fissati dal premier come «dead line» per le riforme si arrivi a un accordo univoco su riduzione dei parlamentari, addio al bicameralismo perfetto, potenziamento dei poteri del premier e nuova legge elettorale, appare quantomeno utopistica.
Ieri, nelle due Camere, era il giorno della presentazione delle mozioni per avviare il processo riformativo. Alla base del documento elaborato dagli «sherpa» di Pd, Pdl e centristi, la composizione della commissione di 40 «saggi» che dovrà elaborare il piano di modifiche costituzionali e sottoporlo al voto del Parlamento e al referendum popolare. Nessun accenno ai contenuti, insomma. Per adesso l’unico accordo faticosamente trovato è quello sul metodo.
In particolare, la mozione approvata a larga maggioranza sia dalla Camera che dal Senato impegna il governo a presentare al Parlamento, entro fine giugno, un disegno di legge costituzionale che preveda una procedura straordinaria per le modifiche costituzionali rispetto a quella stabilita dall’articolo 138 della Carta. In particolare, il ddl dovrà istituire un comitato, composto da 20 senatori e 20 deputati (scelti proporzionalmente basandosi sui voti conseguiti alle elezioni e non sui seggi, come richiesto dal Pdl). Il comitato sarà presieduto dai presidenti delle commissioni per le Riforme. Inoltre si sono stabiliti gli iter legislativi che dovranno seguire i provvedimenti delle Commissioni, che passeranno sì in Parlamento e saranno aperti agli emendamenti, ma dovranno al tempo stesso contenere meccanismi per garantire la conclusione del percorso in 18 mesi. Infine, si è deciso di non indicare ancora nessuna modifica alla legge elettorale, che andrà cambiata solo nel contesto più ampio della riforma costituzionale.
«Siamo chiamati a dare seguito all’impegno che abbiamo preso col Capo dello Stato», ha esordito Letta nel discorso al Senato. «C’è un drammatico distacco dei cittadini dalla politica - ha continuato - e il segnale che i cittadini italiani hanno dato è inequivocabile. Questa è un’occasione unica per fare le riforme e non va perduta». «Questo Paese - ha sottolineato il premier - non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere. Abbiamo la più bella Costituzione, ma dobbiamo cambiarla perché oggi rispetto alle esigenze della nostra società abbiamo bisogno di istituzioni che decidono più democraticamente e rapidamente».
Ma il presidente del Consiglio ci tiene innanzitutto a porre dei paletti temporali: «Qui non può cominicare un percorso dai tempi indefiniti, sarebbe la cosa peggiore che potremmo fare. Entro 18 mesi deve terminare tutto l’iter complesso». E se così non fosse «ne trarremo le conseguenze» ammonisce Letta, lasciando intendere che un fallimento significherebbe la fine del governo.
Ma sulla tempistica arriva già il distinguo del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, per il quale «i 18 mesi decorreranno da quando il ddl costituzionale del governo sarà approvato dal Parlamento, quindi presumibilmente a fine settembre». In realtà, trattandosi di un provvedimento che modifica la Carta, il disegno di legge del governo dovrà affrontare l’iter della doppia «navetta» Camera-Senato a distanza di tre mesi. E quindi i tempi si potrebbero allungare ulteriormente.
Quando basta, con una situazione politica così instabile, per far passare ancora invano il treno delle riforme. È il rischio denunciato da 43 parlamentari del Pd che, pur dando parere favorevole alla mozione di maggioranza, ne portano alla luce i punti critici. Il documento reca la firma, tra gli altri, di Rosy Bindi, Pippo Civati, Laura Puppato e di alcuni prodiani e renziani. Vi si sottolineano, in particolare, le perplessità sulla «deroga alla procedura di revisione costituzionale» che «rappresenta un oggettivo problema e un pericoloso precedente» e, soprattutto, sul pericolo che il superamento del Porcellum venga rinviato «sine die», «in aperta contraddizione col solenne impegno da tutti proclamato per la sua cancellazione».

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