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martedì 8 gennaio 2013

ACCORDO LEGA-PDL BERLUSCA HA PERSO LE PASSWORD






       

Accordo Lega-Pdl, Berlusconi ha perso le password del pc 

Saranno stati i troppi pensieri per la testa, o i troppi computer in giro per la modesta dimora di Arcore, ma Silvio Berlusconi ha perso le password dei pc.
E, come spesso capita, se n'è accorto proprio quando ne aveva più bisogno: durante l'incontro con la Lega che ha partorito l'accordo elettorale in Lombardia e le politiche DOCUMENTO LABORIOSO. Un fatto che ha costretto Roberto Calderoli a fare avanti e indietro dalle stanze di Villa San Martino alla guardiola della residenza, dove era rimasto l'unico computer utilizzabile, per mettere giù i punti dell'intesa man mano che venivano concordati.
Il bizzarro e curioso retroscena è stato raccontato dal Corriere della sera, che ha indagato sugli strani movimenti di Calderoli nel corso della serata ed è riuscito a trovare la risposta.
Non dal diretto interessato, che ha preferito mantenere il più assoluto riserbo sulla vicenda, ma da un altro elemento del Pdl presente all'incontro.
«C'ERANO SOLO LE GUARDIE». «Ad Arcore non c’erano più computer disponibili di cui Berlusconi conoscesse la password: i dipendenti, nel cuore della notte, erano tutti a casa loro. Gli unici ancora al lavoro erano quelli della guardiola. E così è al loro computer che Calderoli andava per mettere punto il testo a mano a mano che veniva rielaborato».
Tutta quella fatica quando bastava un post-it.


                                                                    

700 MILA SCHIAVI NELL'AGRICOLTURA ITALIANA








Caporalato e mafie: “700mila schiavi nell’agricoltura italiana” 

Il Flai-Cgil presenta il primo rapporto su un fenomeno che non tocca solo le regioni del Sud. Dietro il cibo che arriva sulle nostre tavole ci sono stagionali stranieri pagati 4 euro l'ora in condizioni fuori da ogni regola. E spesso sotto il controllo mafioso 

In Italia vive una popolazione di “invisibili”. Stranieri che lavorano nelle campagne, lontano dagli occhi dei centri abitati, spesso alloggiati in tuguri fatiscenti, sfruttati e mal pagati da caporali e imprenditori nostrani. Da nord a sud, il loro impiego nelle campagne è capillare. È anche grazie alle loro braccia se certi prodotti arrivano sulle nostre tavole, eppure la loro vita resta confinata nel silenzio.
Secondo il primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil, si tratta di circa 700mila lavoratori tra regolari e irregolari, di cui circa 400mila coinvolti in forme di caporalato. Braccianti che si riversano ogni anno nella campagne in arrivo da altre nazioni o spostandosi internamente, tra le regioni italiane, per soddisfare i picchi della produzione e della lavorazione di prodotti agro-alimentari su tutta la penisola. Spesso protagonisti, loro malgrado, di storie di vulnerabilità e sfruttamento, al limite della schiavitù.
NON SOLO SUD: SFRUTTATI DA BOLZANO ALLA TOSCANA. Diversamente da quel che si può credere però lo sfruttamento non riguarda solo il mezzogiorno, ma anche In tutti questi territori, come in Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, i ricercatori della Flai Cgil hanno scovato datori di lavoro e imprenditori che truffano o ingannano i lavoratori stranieri, non corrispondendo loro i salari maturati, o facendoli lavorare in nero, accompagnando il trattamento con minacce più o meno velate e forme di violenza psico-fisica (manifeste o paventate).
In Italia il mondo del caporalato si è evoluto, lo racconta nel rapporto Yvan Sagnet, portavoce dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò (Lecce) nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil in Puglia: “Ci sono i caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i suoi assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti, degli assistenti, ha i cuochi. A Nardò c’era il ‘capo de capi’, era un tunisino. Poi c’erano altri caporali che lavoravano per lui. Nell’agro di Nardò erano tra 15 e 20 e controllavano tra i 500 e i 600 lavoratori”.
PAGHE DA FAME: 4 EURO L’ORA. Le paghe per i lavoratori sono però sempre da fame. “Un bracciante agricolo che lavora nelle campagne di Foggia in Puglia, a Palazzo San Gervasio in Basilicata o a Cassibile in Sicilia verrà pagato a cottimo, ovvero 3,5 euro il cassone (per la raccolta dei pomodori), mentre verrà pagato 4 euro l’ora nelle campagne di Saluzzo nel Piemonte, di Padova, nel Veneto o a Sibari in Calabria per la raccolta degli agrumi. Il tutto in nero, su intere giornate comprese tra 12 e 16 ore di lavoro consecutive a cui vanno sottratti: i 5 euro di tasse di trasporto, 3,5 euro di panino e 1,5 euro di acqua da pagare, sempre al caporale”.
MAFIA E RICICLAGGIO. A questa situazione di sfruttamento si somma la voracità dei gruppi mafiosi. Il caporalato, che è entrato nel codice penale solo nel 2011, è infatti un “reato spia” di infiltrazioni criminali nel settore. Una presenza significativa, ma ancora quasi del tutto inesplorata a livello giudiziario. Si stima che il giro d’affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10% di tutta l’economia mafiosa. Quasi tutto giocato tra la contraffazione dei prodotti alimentari  e il caporalato. Solo la contraffazione è cresciuta negli ultimi dieci anni del 128%, per un valore di 60 miliardi di prodotti che ogni anno vengono commercializzati nel mondo come falso Made in Italy.
“L’agricoltura è anche uno dei settori prediletti per il riciclaggio dei soldi dalle organizzazioni criminali tradizionali – scrive Yvan Sagnet – Ad esempio l’agricoltura foggiana subisce forti condizionamenti da parte della camorra. Durante la stagione agricola centinaia di camionisti partono quotidianamente dalla Campania verso le campagne foggiane, affittano le terre ai contadini con il cosiddetto fenomeno del “prestanome”, e trasportano la merce verso le imprese del salernitano”.
DAL CAMPO ALLA NOSTRA TAVOLA, LA FILIERA “INQUINATA”. Le mafie si occupano anche dei mercati dell’ortofrutta, infiltrando la grande distribuzione. “Le inchieste analizzate in quest’ultimo anno, svolte in particolare dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno visto implicate imprese di tutto il sud Italia con ramificazioni anche nel nord del Paese e hanno disvelato l’esistenza di un sistema di gestione dei grandi mercati agricoli nazionali pesantemente influenzati dalle organizzazioni mafiose”, scrive nel rapporto Maurizio De Lucia, magistrato della Direzione nazionale antimafia.
Purtroppo neppure le nuove, e importanti, misure varate nel settembre del 2011 (introduzione del reato di caporalato) e nel luglio del 2012 (concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori), sono riuscite ancora ad incidere significativamente sulla grave situazione delle campagne. Eppure i dati rilevati sono già significativi. Da gennaio a novembre del 2012 sono 435 le persone arrestate per riduzione in schiavitù , tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi. Dall’entrata in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le persone denunciate o arrestate sono solo 42. La metà degli arresti al centro-nord.
COSTO DEL LAVORO E CRISI. “Parliamoci chiaramente, per gli imprenditori il costo del lavoro italiano è altissimo. Ciò non giustifica l’assunzione di personale in nero, ma è indubbio che questo fenomeno esiste proprio per sfuggire alle maglie di questo meccanismo, soprattutto in questa grave crisi”. Il Procuratore di Foggia, Vincenzo Russo, non usa mezzi termini. “È come l’evasione fiscale. Quanto più alta è la tassazione, tanto più i soggetti sono invogliati ad evadere. Questo è indubbio. Quindi, se il costo del lavoro diminuisse, probabilmente diminuirebbero anche questi fenomeni”.

          

Schiavi nei campi non solo al Sud: Tortona e Franciacorta tra i casi peggiori

La mappa dello sfruttamento nel primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai-Cgil. Al di là dei casi eclatanti come Rosarno e Foggia, gli stagionali stranieri lavorano in condizioni "indecenti" in Piemonte, Lombardia, Alto Adige, Emilia-Romagna e Toscana

Lavoro nero e caporalato sono fenomeni molto diffusi sul territorio nazionale, con particolari concentrazioni nel Mezzogiorno e in regioni del nord come Veneto, Alto Adige, Piemonte, Toscana e Lombardia. Secondo in queste zone ospitano una rete di sfruttamento della manodopera fortemente radicata e legata alla criminalità organizzata.
Nel Rapporto le situazioni territoriali sono classificate sulla base di tre valori. Sono ritenute buone le condizioni di alloggio decente, con orario e salario che rispettano il contratto nazionale e rapporti accettabili con il datore di lavoro. Sono classificate come indecenti/non dignitose le condizioni lavorative di chi vive in un alloggio precario, con orario e salario inferiore al contratto nazionale, rapporti inesistenti con il datore di lavoro, clima strumentale e di totale distacco. È infine classificato come gravemente sfruttato chi possiede solo un alloggio di fortuna, orario lungo, salario a cottimo, rapporti di lavoro mediati dal “caporale” a pagamento e clima di assoggettamento. Vive rapporti ingannevoli con il datore di lavoro, subisce false promesse e frode.
La ricerca condotta dall’Osservatorio ha coinvolto 14 Regioni e 65 province, e ha censito oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 sono risultati ad alto tasso di sfruttamento lavorativo.
PIEMONTE. In Piemonte sono state individuate condizioni di lavoro negative e molto negative nella provincia di Cuneo, Alessandria e Asti. La situazione peggiore è stata individuata nella provincia di Alessandria e in particolare nel distretto di Tortona, dove sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato e attività di sofisticazioni alimentari.(truffe/inganni per salari non pagati), nelle Langhe/Roero (caporali e contratti inevasi) e a Bra, nonché a Canelli e Nizza Monferrato.
Nella provincia di Asti sono state scoperte truffe e inganni per salari non pagati e contratti inevasi, come la presenza di caporali e intermediazione illecita diffusa  una vertenza contro le Ditte Lazzaro, che producono orticole per Grande Distribuzione.
Il 22 giugno 2012, 39 braccianti marocchini hanno scioperato contro le loro pesantissime condizioni lavorative. Grazie alla protesta e all’intervento dei carabinieri sono state scoperte le condizioni abitative di estremo disagio  cui erano costretti e la presenza di numerosi lavoratori in nero, di cui una parte senza permesso di soggiorno. L’attività dell’azienda è stata momentaneamente sospesa, ma alla sua ripresa per i lavoratori marocchini non c’è stato più posto.
LOMBARDIA. In Lombardia i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare ammontano a circa 21.600 unità (su un totale di occupati di poco superiore alla 100.000 unità), e si tratta prevalentemente di romeni e indiani (circa 6000 per nazionalità), seguiti dai lavoratori marocchini e albanesi. La provincia che occupa il maggior numero di lavoratori stranieri nel settore agro-alimentare è Brescia, con circa 6.200 unità.
Le condizioni di lavoro peggiori si registrano nella zona della Franciacorta e nei dintorni di Milano, Mantova, Pavia, Sondrio e Lecco. Ci sono caporali e dunque pratiche di sfruttamento derivanti da truffe/inganni sull’ammontare dei salari o delle ore lavorative, nonché da minacce e violenze psico-fisiche. Nella zona di Franciacorta si rilevano addirittura forme di lavoro gravemente sfruttato, assimilabile al lavoro para-schiavistico.
EMILIA-ROMAGNA. In Emilia Romagna, le zone in cui sono stati riscontrati casi di lavoro non dignitoso o para-schiavistico coincidono alla provincia di Ravenna, Cesena e Ferrara. A queste zone si somma la provincia di Rimini, dove sono state rilevate forme di lavoro considerate indecenti. Nel territorio di Cesena i lavoratori extracomunitari vengono spesso  costretti a pagare la richiesta del nulla osta con cifre che possono arrivare a 7.000 euro, per avere un contratto di lavoro con una garanzia di 51 giorni, (anche se in realtà ne lavorano oltre 200), e vengono retribuiti con paghe da 3-5 euro l’ora.
La Flai Cgil ha denunciato alle autorità alcuni titolari di imprese agricole senza terra, prevalentemente romeni, che reclutavano personale nel loro Paese d’origine e lo portavano in Italia noleggiando auto, pullman e persino aerei, per sfruttarlo all’interno dei magazzini ortofrutticoli e di grosse imprese agricole.
TOSCANA. In Toscana le aree dove si rilevano forme di lavoro indecenti e gravemente sfruttate sono i distretti di Val di Cornia e di Grosseto, dove non mancano segnalazioni di lavoro para-schiavistico. Gli occupati stranieri nel settore agro-alimentare sono 19.482 unità, di cui circa 6.000 romeni e 3.500 albanesi. Lo sfruttamento è caratterizzato dalla presenza di caporali (in Maremma e nell’Amiata). In alcune aree risultano esserci indagini in corso della magistratura per il contrasto dello sfruttamento lavorativo.
CAMPANIA. In Campania i lavoratori occupati nel settore agro-alimentare di origine straniera ammontano a circa 15.500 unità, su un totale di 134.598 unità, con una marcata prevalenza dei lavoratori romeni (circa 6.550). Sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato nell’area agro-alimentare di Napoli, con truffe e inganni per salari non pagati e impiego di caporali. La stessa situazione è stata rilevata a Caserta, con l’aggiunta di gravi sofisticazioni alimentari.
A Salerno le forme principali di sfruttamento che sono state individuate riguardano l’intermediazione illecita e il caporalato, entrambi molto diffusi. A questo si aggiungono anche gravi sofisticazioni nella filiera bufalina.
PUGLIA. In Puglia, le province dove i lavoratori immigrati sono più numerosi sono quella di Foggia (con 20.143 addetti, seconda solo a Bolzano) e Bari (con 6.500 unità circa). Le condizioni occupazionali delle province ad alta produzione agro-alimentare (Foggia, Lecce e Taranto) sono state classificate come decisamente negative, caratterizzate da lavoro para-schiavistico e pertanto da lavoro gravemente sfruttato.
Nella regione viene impiegata manodopera irregolare e caporali in qualità di intermediatori di manodopera. Sono state riscontrate anche truffe e inganni per salari non pagati e per contratti di lavoro inevasi. In Puglia sono state realizzate diverse azioni di contrasto al grave sfruttamento lavorativo e alle pratiche illecite di aggiudicazione degli appalti (con più sottoforniture), che costituiscono molto probabilmente il contesto in cui maturano diverse forme di sfruttamento.
La manodopera stagionale impiegata nella regione arriva da Napoli/Caserta, da Cosenza/Catanzaro e Reggio Calabria, nonché da Catania, Ragusa e Siracusa, ma anche dall’estero, Romania e Polonia.
CALABRIA. In Calabria i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare sono circa 21.500. I romeni e i bulgari sono i più numerosi, con 11.000 e 5.000 unità. Le province che li impiegano maggiormente sono Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente con 10.145 e 6.200 addetti. Entrambe le aree si posizionano in modo significativo anche a livello nazionale, in quanto rappresentano, l’ottava e la quindicesima provincia per numero di addetti immigrati.
Secondo il Rapporto, in Calabria le condizioni di lavoro agricolo sono complessivamente negative. Nel caso di Gioia Tauro/Rosarno poi, oltre ad essere indecenti, riproducono forme di lavoro paraschiavistico e servile. Fanno eccezione, in provincia di Reggio, i distretti di Militello e di Monasterace, in cui le condizioni di lavoro sono invece valutate sostanzialmente buone.

ALLORA DATEVI UNA MOSSA PER AMBROGIO CRESPI


BOLLETTINO N 83 DEL 91 ESIMO GIORNO DI PRIGIONIA DI AMBROGIO CRESPI 

DAL 10 SCIOPERO DELLA SETE-VD


QUANTE FIRME VI SERVONO ANCORA PER SMETTERE STO SCEMPIO ?


Di Luigi Crespi – Ho già annunciato che comincerò lo sciopero della sete che si andrà ad aggiungere allo sciopero della fame. Ho anche già fatto un appello Al PM D'Amico  a cui mi rivolgo nuovamente, lui, che amministra la giustizia non può non sapere, non può non vedere quello che tutti vedono e cioè che Ambrogio è innocente, non può non sapere che la sua detenzione è ai limiti della legalità.
Mi aspetto che sia lui a scarcerare mio fratello, questo sarebbe per me giustizia, ma gli avvocati mi dicono che non c’è alcuna speranza.

Mio fratello è la mia vita e io non posso che mettere a disposizione sul piatto della bilancia di questa giustizia la mia stessa vita. Non possono prendere mio fratello e non prendere me, siamo un’unica cosa, quindi da giovedì 10, giorno nel quale saranno tre mesi esatti in cui mio fratello è detenuto nel carcere di Opera, aggiungerò ai miei oltre 60 giorni di sciopero della fame quello della sete, ad oltranza.

Perché all’interno di questo gesto, che non è esclusivamente per Ambrogio e che segue l’insegnamento e l’esempio di Marco Pannella, c’è tutta la mia passione civile, il mio amore per Ambrogio, il mio sostegno alle persone che si trovano nella stessa situazione di mio fratello e l’amore per il mio Paese.

                                                           
                                     

BERNARDINI :AMNISTIA GIUSTIZIA E LIBERTÀ PER RIFORMARE IL SISTEMA


 

Di LUIGI ERBETTA – IRadicali hanno presentato il simbolo della lista Amnistia Giustizia e LIBERTÀ con cui andranno alle prossime elezioni politiche. Già Marco Pannella aveva parlato di una lista di scopo con cui si intende continuare a portare avanti le battaglie che i radicali hanno intrapreso negli scorsi anni. Clandestinoweb ha intervistato l’onorevole Rita Bernardi per chiederle un commento sulla lista e sul programma politico con cui il partito intende presentarsi alla tornata elettorale.

Ci parli del simbolo della lista Amnistia, Giustizia e Libertà.

Il simbolo e il nome della lista sono stati già spiegati con le parole e con il corpo di Marco Pannella, protagonista di una lotta nonviolenta contro l’illegalità in cui versa il sistema giudiziario italiano. Ribadiamo ancora una volta che è necessaria una riforma strutturale e profonda di questo sistema. Il nome della lista racchiude la storia delle nostre battaglie, fatte negli ultimi trenta anni.

Quindi il nuovo simbolo è un segno di continuità con i temi su cui i radicali continuano a battersi?

Certo, continuità. Ma il nome non è nuovo. E’ una novità solo il suo utilizzo per le elezioni. Già nel 2005 Amnistia, Giustizia e Libertà era il titolo di una marcia di Natale a cui parteciparono tra gli altri anche Napolitano, Cossiga, Andreotti, D’Alema.

Cosa ci dice invece della lista?

E’ una lista di scopo, che si propone un obiettivo. Non è una lista radicale, ma appunto di obiettivo. La giustizia italiana non funziona. Basti pensare allo spropositato numero di processi penali pendenti. Siamo di fronte a un problema di legalità. Il rispetto delle regole è dimenticato. Ciò che è scritto nelle leggi non viene applicato. L’illegalità si manifesta nei confronti della Costituzione, in relazione alla durata dei processi, alle continue mortificazioni a cui sono sottoposti i detenuti nelle carceri. Anche l’ordinamento penitenziario viene costantemente violato. Io mi occupo di carceri e vengo sempre più spesso a contatto con persone a cui vengono violati i diritti. In Italia viene infranto anche ciò che è stabilito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare dagli articoli 3 e 6, in cui si parla di mortificazioni della persona e della durata dei processi.

L’Italia è stata più volte richiamata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio su questi aspetti.

L’Italia è tra i paesi più condannati dall’Europa a causa dell’eccessiva durata dei processi. Il Ministro della Giustizia Paola Severino è stata anche convocata per dare una giustificazione alle continue sanzioni per la non ragionevole durata dei processi. C’è la necessità per la giustizia italiana di affrontare i processi con più serietà ed evitare il ripetersi di casi come quello di Enzo Tortora, e come il calvario che sta vivendo in questi giorni Ambrogio Crespi 
In questa fase si parla spesso di necessità di una rivoluzione politica. Voi come vi ponete davanti a questa che sembra diventata un po’ una moda.

Noi non siamo un partito rivoluzionista, siamo riformatori. La storia dice che le riforme più importanti sono state fatte con i referendum: ad esempio quelli sul divorzio, sull’aborto. Questo sistema illegale ci sta per regalare l’ennesima tornata elettorale che contrasta con tutti i principi della democrazia.

Cerchiamo di darci una mossa corte UE Rossodivita amnistia unico provvedimento possibile


           

Di GIUSEPPINA CAVALLO – La Corte Europea Dei DIRITTI Dell'Uomo ha Condannato ,Ancora Una Volta, L'ITALIA Per La SITUAZIONE IN CUI VERSANO I DETENUTI E LE CARCERI  Era già successo nel 2009, ma questa volta, a differenza della prima sentenza, Strasburgo intima allo Stato italiano di prendere provvedimenti entro un anno per risolvere alla radice il problema del sovraffollamento. Questa battaglia è da sempre quella dei Radicali  e in particolare a seguire questo caso in prima persona è stato l’avvocato Giuseppe Rossodivita che abbiamo intervistato.

 Avvocato lei ha parlato di Soddisfazioni e SOFFERENZA  per questa sentenza, perché?

C’è soddisfazione da un punto di vista politico e professionale per la sentenza che è arrivata dopo l’iniziativa assunta dal Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, perché quei sette detenuti erano assistiti da me e dalla collega Urciuoli. Una sentenza per la quale la corte ha adottato il procedimento della sentenza pilota ed ha certificato ufficialmente che la violazione dei diritti umani dipende da una mancata soluzione al problema strutturale del sovraffollamento delle carceri. Con questa sentenza, a differenza di quella del 2009 su Sulejmanovic, non solo si chiede il risarcimento del danno ai detenuti ma si invita entro un anno lo Stato italiano ad individuare la strada interna per porre rimedio a questo problema strutturale. Quindi il prossimo governo italiano non potrà esimersi dall’adottare provvedimenti che fanno parte della nostra lista di scopo AMNISTIA GIUSTIZIA E LIBERTÀ  Peraltro in un preciso passaggio della sentenza viene stigmatizzato l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, un caso tutto italiano, dove abbiamo il 40% dei detenuti che sono in attesa di giudizio. Quindi la corte condanna il modo di procedere dei pm italiani e invita, ancora una volta, lo Stato a sollecitare la magistratura ad applicare soluzioni di tipo diverso, ampliando il ricorso a misure alternative e riducendo l’applicazione delle misure cautelari e della custodia in carcere.

Però c’è anche sofferenza…

La sofferenza è come cittadino italiano, non mi piace vivere in uno Stato che strutturalmente viola i diritti umani.

La corte ha dato all’Italia un anno di tempo, ce la farà il prossimo governo ad adeguarsi in tempo?

Il tempo, per i tempi della politica italiana, è poco anche perché si tratta di un problema che viene da lontano e per cui tutte le soluzioni che sono state messe sul piatto da parte di chi si è occupato della vicenda si sono rivelate insufficienti. E’ importante sottolineare che la Corte Europea ha anche accertato essere inadeguato quello che finora è stato posto in essere, ovvero il Piano Carceri, la cosiddetta Legge svuotacarceri, termine falso perché non ha svuotato nulla e non ha salvato nulla. Il governo si è anche difeso davanti alla Corte enfatizzando in modo grottesco i risultati ottenuti con questi due provvedimenti, ma Strasburgo, pur avendo apprezzato gli sforzi, ha certificato che questi provvedimenti sono inadeguati. Tra le altre cose dalla prima sentenza del 2009 all’epoca della presentazione di questo ricorso, 2010, il sovraffollamento è passato dal 151% al 148% quindi una riduzione assolutamente insufficiente.

Quindi ci vorranno degli interventi urgenti, voi sostenete da sempre l’amnistia.

L’amnistia è l’unico provvedimento strutturale capace di far rientrare nell’immediato lo Stato italiano nell’albo della legalità. Il nostro Paese è stato ancora una volta condannato dalla Corte europea e, così come la società pretende dai condannati che si adeguino alle prescrizioni imposte dalla sentenza, in questo caso noi pretendiamo che lo Stato condannato di adegui alla decisione della Corte europea. Per noi l’amnistia è l’unica strada immediata che può, in seguito, aprire il varco ad una profonda riforma del sistema giustizia partendo proprio dai suggerimenti della Corte e cioè misure alternative al carcere anche a livello legislativo e meno ricorso alla custodia cautelare da parte dei giudici.