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venerdì 4 gennaio 2013

EUROPA ANCORA IN DIFFICOLTA' E PEGGIO PER




Outlook 2013, Europa ancora in difficoltà e peggio ancora per l’Italia  


Provare a tracciare delle linee guida per il 2013 non è certo facile. l’Anno che verrà, o meglio, che già è venuto, nasconderà tante insidie, ma non escludiamo anche la possibilità di ritorvarci con delle sorprese. Con questi mercati così condizionati dall’operato delle banche centrali e dagli eventi geopolitici e non solo, tutto può succedere.
Vi riporto oggi un parere interessante. Un Guest post tratto da un articolo scritto dal professore universitario Luigi Zingalez che spesso abbiamo citato in questo blog. Docente alla Chicago School of Business, si è dimostrato un personaggio interessante in quanto liberale e liberista vero. Quindi in linea con il pensiero politico del sottoscritto che, ahimè, si sente da tempo perso all’interno del minestrone politico italiano.
Vi riporto questo interessante articolo apparsqualche giorno fa

“Passeggere . Credete che sarà felice quest’anno nuovo? Venditore . Oh illustrissimo sì, certo. Passeggere . Come quest’anno passato? Venditore . Più più assai. Passeggere . Come quello di là? Venditore . Più più, illustrissimo. Passeggere . Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi? Venditore . Signor no, non mi piacerebbe.”
Non occorre condividere il pessimismo leopardiano (nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere) per predire che l’anno che sta arrivando non sarà facile, almeno per quanto riguarda l’Italia. C’e’ un grande desiderio di vedere la luce alla fine del lungo tunnel della recessione. Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma mi tocca dire che il 2013 non sarà l’anno della ripresa. Nel migliore dei casi sarà l’anno meno uno. Meno uno come il tasso di crescita previsto per il Prodotto Interno Lordo italiano. E meno uno come l’anno prima dell’anno zero del nuovo ciclo. La ripresa arriverà, ma solo nel 2014.
Il motivo per cui questa crisi, cominciata in America nell’ormai lontano 2007, non accenna a finire è perché non è una crisi semplice, ma l’intersezione di tre crisi diverse: la crisi dei mutui subprime in America, la crisi dell’euro, e la crisi del modello di welfare occidentale. Paradossalmente la prima crisi, quella che ha innescato il cataclisma, si sta risolvendo. Le altre, invece, sono ancora agli inizi.
La storia è piena di sbornie di euforia, seguite da pesanti crisi finanziarie. La bolla immobiliare americana finanziata dai mutui subprime altro non è che uno di questi episodi. Quando i prezzi delle case in America (ma anche in Spagna) crescevano a due cifre anno dopo anno, era difficile resistere alla tentazione di comprare. Chi è saltato sul treno all’inizio della bolla, indebitandosi fino al collo per comprare una casa più grande o una seconda o terza casa, si è arricchito a dismisura. Gli altri, che hanno cercato di imitare questi fortunati, si sono trovati con il cerino in mano quando i prezzi delle case hanno prima smesso di crescere e poi sono crollati (in media del 30 per cento).
Il risveglio dopo un periodo di euforia finanziaria è simile a quello dopo una sbornia: cerchio alla testa e depressione. I consumatori, aggravati dal debito contratto durante il boom, sono timorosi. Le banche, piene di crediti inesigibili, non concedono prestiti. E le imprese, senza consumatori e senza credito, faticano ad espandersi. Non a caso, la storia economica ci insegna che dopo ogni crisi finanziaria la ripresa è molto lenta. La crisi attuale non fa eccezione. Invece di recuperare velocemente, gli Stati Uniti ci hanno messo quattro anni per raggiungere il livello di Pil pre crisi. La buona novella è che questo livello è stato raggiunto e sorpassato e gli Stati Uniti stanno consolidando la loro ripresa che sarebbe più robusta se non ci fossero le altre due crisi a complicare la vita. Purtroppo l’Italia, che non è stata investita direttamente dalla crisi del subprime, stenta più degli Stati Uniti. Il Pil è ancora più basso del livello prima della crisi (di ben sette punti percentuali) e il gap non sembra destinato a colmarsi il prossimo anno. Di questo dobbiamo ringraziare le altre due crisi.
La più acuta delle due è quella dell’euro, che fa tremare non solo gli europei, ma anche gli americani. Se il caso subprime va addebitato al mercato, la crisi dell’euro è interamente colpa dei politici. Non solo non sono riusciti ad evitarla, ma l’hanno espressamente voluta. Quando la moneta comune fu introdotta c’era piena consapevolezza tra i suoi creatori che in questi termini non sarebbe stata sostenibile. La speranza dei padri fondatori era che l’inevitabile crisi avrebbe generato una pressione politica verso una maggiore integrazione europea. Il cuore è stato gettato oltre l’ostacolo nella convinzione che al momento giusto il resto del corpo avrebbe seguito. Purtroppo l’ostacolo sembra più alto del previsto.
Perché una moneta comune funzioni, i paesi che l’adottano devono avere una forte mobilità del lavoro, meccanismi di trasferimento fiscale ed essere soggetti a shock simili. Nessuna di queste tre condizioni vale per l’Europa. Non è così semplice per i tedeschi spostarsi a lavorare in Spagna o per gli spagnoli in Germania. Ai problemi di lingua si sommano forti differenze culturali. Questa scarsa mobilità rende difficile assorbire gli shock locali. Lo scoppio della bolla Internet ha colpito la Germania molto più della Spagna, mentre l’espansione della Cina ha beneficiato l’export tedesco molto più di quello spagnolo. Difficile dunque disegnare una politica monetaria che funzioni per entrambi i paesi. La politica monetaria all’inizio del millennio andava bene per la Germania, ma era troppo inflazionistica per la Spagna. Oggi, viceversa, va bene per la Germania, ma è troppo restrittiva per la Spagna.
Queste crisi locali sono peggiorate dalla mancanza di trasferimenti anticiclici tra stati europei. Quando il Texas ha difficoltà mentre la California va bene, le entrate fiscali dei residenti californiani aiutano a pagare i sussidi di disoccupazione dei texani. In Europa no.
Non potendo svalutare il cambio e non ricevendo un sostegno dal resto dell’Unione un paese europeo colpito da uno shock (come l’esplosione della bolla immobiliare in Spagna) può aggiustarsi solo con due meccanismi: l’emigrazione di manodopera e la riduzione dei salari reali sotto la pressione della disoccupazione. Entrambi questi meccanismi alla lunga funzionano, ma sono estremamente lenti ed estremamente penosi. Anche perché la terza crisi, ovvero quella fiscale, rende difficile usare le politiche di welfare usate finora.
Negli ultimi cinquant’anni il consenso sociale nelle democrazie occidentali è stato raggiunto facilmente con il sistema dello “spendi subito e paghi dopo.” In un periodo di forte crescita economica e demografica, questo sistema ha funzionato a meraviglia. Il peso del debito scaricato sulle generazioni future si è rivelato minimo perché queste generazioni erano più ricche e numerose. Purtroppo questo trucco non funziona più: la riduzione dei tassi medi di crescita e il crollo demografico non solo rendono impossibile scaricare il conto sulle generazioni future (meno numerose e non necessariamente più ricche), ma forzano quelle attuali a cominciare a pagare il debito contratto da quelle passate. Questo rende difficile per i governi occidentali compensare gli effetti di uno shock negativo con politiche fiscali espansive.
Gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che partivano da una situazione debitoria migliore, hanno potuto farlo, ma ora anche loro devono cambiare rotta, come dimostrano i severi tagli di bilancio imposti dal premier inglese David Cameron e il braccio di ferro sul bilancio tra Congresso e Presidente in America.
Fin dall’inizio della crisi l’Italia, gravata dal peso del suo debito, non si è potuta permettere questa risposta. Ciò spiega la severità della nostra situazione. In particolare l’Italia ha sofferto pesantemente l’interazione tra la crisi dell’euro e quella fiscale. La difficoltà di aggiustamento all’interno di una area di cambi fissi ha ridotto il nostro tasso di crescita. Questa riduzione ha messo in dubbio la solvibilità del nostro Paese, minacciando la stessa sopravvivenza dell’euro. A sua volta, i dubbi sulla sopravvivenza della moneta comune hanno aumentato il costo del nostro debito, riducendo la crescita ed incrementando
il rischio di insolvenza del nostro Paese.
In questo contesto lo scenario più positivo è un lento e penoso processo di recupero, dove i motori della crescita rimangono la Cina e gli Stati Uniti che sembrano aver lasciato la loro crisi alle spalle. In particolar modo negli Usa c’è molto entusiasmo per le opportunità offerte da una nuova tecnologia di estrazione del petrolio e gas in profondità (fracking), che promette all’America indipendenza energetica e gas a basso costo.
Gli scenari negativi sono molti, ma tutti passano attraverso un problema politico. L’instabilità potrebbe minacciare il processo di crescita cinese e la ripresa americana. Ma i rischi principali vengono purtroppo dall’Europa e soprattutto dall’area euro. Gli elettori tedeschi potrebbero stufarsi di pagare per gli errori altrui e lasciare le nazioni del Sud Europa al loro destino. Ma il rischio maggiore è quello di una rivolta politica dei paesi più in difficoltà. A giugno 2012 i partiti estremisti e anti austerità hanno raccolto in Grecia il 46 per cento dei voti. Con il prolungarsi della recessione, la crisi politica può contagiare altri Paesi, con conseguenze imprevedibili sulla stabilità dell’Unione.
Come uscirne? La prima soluzione passa per l’aumento dei meccanismi di solidarietà a livello europeo. Dopo l’unione bancaria, che prevede anche un sistema di salvataggio delle banche, sarebbe utile introdurre un sussidio di disoccupazione comune europeo pagato con fondi comuni. Questo aiuterebbe ad ammortizzare i costi della crisi nel Sud Europa senza creare meccanismi preversi che premiano i governi che spendono di più.
A livello italiano gli spazi di manovra sono fortemente limitati dal vincolo di bilancio. Una manovra possibile sarebbe una riduzione della spesa pubblica accompagnata da un taglio del carico fiscale sul lavoro. Questo riduzione del cuneo fiscale, ovvero della differenza tra quello che un’impresa paga e quello che un lavoratore percepisce, favorirebbe un aumento dell’occupazione e della crescita.
L’altra area di intervento è quella del credito. Oggi le banche italiane prestano poco o nulla perché non hanno i soldi per farlo. Dall’altro lato la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), controllata al 70 per cento dal ministero dell’Economia, ha soldi da buttare via in operazioni finanziarie di scarsa utilità sociale come l’acquisto del 4,5 per cento Generali da Bankitalia. Perché non usare i soldi per finanziare le imprese e i privati? La Cdp non ha la struttura per erogare credito in modo capillare, ma potrebbe farlo indirettamente, sfruttando la struttura della banche: quindi offrirsi di riscontare a tassi di favore i nuovi prestiti fatti dalle banche, lasciando in carico alle banche il primo 5 per cento di perdite. In questo modo gli istituti mantengono gli incentivi a prestare in modo oculato, ma non devono impegnare capitali che non hanno. E consumatori ed imprese riacquistano accesso al credito.
“Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?” ? domanda il passeggere del Leopardi. A noi non resta che rispondere come il venditore di almanacchi: “Speriamo.                                                                         

DIALOGO TRA UN ITALIANO E LO PSREAD




Dialogo tra un italiano qualunque e lo spread 

Dialogo tra un italiano qualunque e lo spread.

Italiano qualunque: "Si presenti, non parlo inglese e non so nulla di economia"
Spread: "Sono un differenziale tra gli interessi di un'obbligazione e quelli di un titolo di riferimento. Ad esempio se un BTP ha un rendimento del 6% e il corrispettivo titolo di Stato tedesco con la stessa scadenza lo ha del del 2%, il mio valore è di 6 − 2 = 4 punti percentuali,ovvero di 400 punti base"
Italiano qualunque: "Quindi lei è un differenziale, più la differenza aumenta tra i nostri titoli e quelli degli altri Paesi, più dobbiamo pagare di interessi"
Spread: "To spread vuole dire "allargare", più mi allargo, più diventa largo il fosso. Io sono un fosso."
Italiano qualunque: "Si, ma io che c'entro con lei, io non ho comprato né titoli italiani e neppure tedeschi"
Spread: "Il suo Stato vive grazie alla vendita dei debiti, ne accumula circa 100 miliardi di euro all'anno. Lei è italiano, quindi corresponsabile, non può tirarsi fuori. Chi compra i vostri debiti sa che corre un rischio di insolvenza, quindi che, in sostanza, potrebbe perdere tutto o parte dell'investimento. Meno si fida, più chiede di interessi".
Italiano qualunque: "Quindi chi compra i titoli tedeschi li vede come un bene rifugio. Sa che non ha alcun rischio sul capitale e si accontenta di un interesse basso".
Spread: "Esatto. Più siete inefficienti come Stato, più dovete pagare di interessi. Per chi compra è come giocare alla roulette. Si ricorda l'Argentina e i tango bond?"
Italiano qualunque: "Ma il debito può solo salire o anche scendere? Siamo arrivati a 2.000 miliardi di debito pubblico, qual è il limite, cosa c'è oltre lo spread?"
Spread: "Vedo che lei comincia a seguirmi. Oltre lo spread, quando il fosso diventa una voragine, c'è il default. Se voi vivete di debito e continuate a crearlo, a causa della vostra irresponsabilità politica, gli interessi aumentano in modo progressivo perché dovrete vendere nuovi titoli di Stato per pagare gli interessi che via via si accumulano. Il debito è una spirale. Voi siete nella spirale".
Italiano qualunque: "Come si esce dalla spirale?"
Spread: "Si tagliano le spese non necessarie o si rinegoziano ("ristrutturano" è più dolce) gli interessi sul debito. In caso contrario gli interessi erodono nel tempo lo Stato sociale. Si chiudono scuole, ospedali, servizi pubblici, si spengono i lampioni delle strade, mentre il debito aumenta, implacabile."
Italiano qualunque: "Si, d'accordo. Ma come è possibile che Rigor Montis ci abbia ammazzato di tasse e il debito sia aumentato?"
Spread: "Il debito è aumentato perché si è intervenuti sui ricavi, sulla tassazione diretta e indiretta, facendo fallire migliaia di imprese, distruggendo il settore immobiliare e diminuendo i consumi, e non sulle spese e sull'efficienza. Il risultato è che la vostra economia è peggiorata, basta vedere il rapporto PIL/debito pubblico che si sta avvicinando a quello della Grecia di due anni fa"
Italiano qualunque: "Senta, non capisco, ma se l'economia italiana va a rotoli, perché lei è migliorato?"
Spread: "Lei non solo non capisce di economia e non parla inglese, ma crede ancora nelle favole. Il mio valore attuale non ha nulla a che fare con la vostra economia. Lo capisce anche un bambino. Tutti gli indici economici dell'Italia sono negativi, i peggiori dal dopoguerra e io sono sotto i 300 punti. Che c'entro io allora con la vostra economia. Mi permetta, lei è uno che legge solo i giornali, per questo mi fa queste domande".
Italiano qualunque: "Qual è allora il motivo della sua discesa?"
Spread: "Vuolsi colà dove si puote, nelle agenzie di rating, direbbe il vostro Dante. Però le do qualche indizio. Rigor Montis ha riportato a casa centinaia di miliardi di vostro debito dalle banche francesi e tedesche e quindi il problema del debito sta diventando solo vostro e io c'entro sempre di meno. Quando il vostro debito pubblico ve lo sarete ricomprati al l'80/90% a nessuno interesserà più lo spread. Questa è la missione di Rigor Montis, far ritornare il debito in patria, impoverendo il Paese."
Italiano qualunque: "Quindi, nel tempo, lei sparirà di scena e ci rimarrà un debito pubblico enorme, tutto sulle nostre spalle, che nessuno all'estero ci comprerà più e per metterlo sotto controllo ci vorranno decenni attingendo ai risparmi degli italiani".
Spread: "Chi vive di debito, muore di debito. Auf wiedersehen, mio caro amico"
   Dal Blog di  Grillo                             

                                                                                                                      

LA SANITA' DEL GOVERNO MONTI RICHIO LA SALUTE







ANAAO-ASSOMED: LA SANITA’ NEL GOVERNO MONTI: LA POLITICA DEI TAGLI HA MESSO A RISCHIO IL DIRITTO ALLA SALUTE  

"Come una stanca litania il documento “Analisi di un anno di governo” pubblicato sul sito dell'Esecutivo, nella parte dedicata alla Sanità ripete di avere operato senza conseguenze negative sull'erogazione dei servizi ai cittadini.


Una sorta di mantra ripetuto ossessivamente che tradisce la falsa coscienza di un equilibrismo verbale che ha distorto i vocaboli trasformando razionamento in razionalizzazione e tagli in miglioramento.
E' successo con la cosiddetta spending review, si è ripetuto con il regolamento sugli standard ospedalieri e per l'aggiornamento dei LEA che rischiano di rimanere bloccati dalla mancanza di fondi.
La realtà è che i provvedimenti finanziari adottati prima da Tremonti poi da Monti, dal 2010 ad oggi, hanno prodotto nel settore sanitario una riduzione del finanziamento considerata insostenibile dalla stessa Conferenza delle Regioni.
La politica dei tagli, delle tasse e dei ticket sta restringendo l'offerta sanitaria pubblica rendendo sempre più difficile l'esigibilità di un diritto tutelato costituzionalmente attraverso misure di razionamento sia esplicito (taglio dei servizi e blocco del turnover) sia implicito (aumento importante della partecipazione dei cittadini alla spesa, prolungamento delle liste d'attesa).
E' l'universalismo del SSN che è messo pesantemente in gioco. E lo stesso Presidente Napolitano durante uno degli ultimi interventi pubblici ha sollecitato “attenzione e cura per il Servizio Sanitario Nazionale per non venir meno a una funzione irrinunciabile sancita in Costituzione”.
La distruzione o privatizzazione del SSN avrebbe conseguenze nefaste non solo sui livelli di salute della popolazione ma sull'intera economia, obbligando i cittadini a sottrarre ai consumi una parte maggiore delle risorse a loro disposizione per potersi garantire in caso di necessità l'accesso alle cure.
La questione del finanziamento del SSN è profondamente politica, prima che tecnica, e la scelta del modello di Welfare sanitario interessa la nostra concezione di democrazia, la stessa idea di società, di comunità, di coesione sociale.
Tocca ai partiti nel momento in cui chiedono il voto esplicitare politiche, programmi e candidati sui quali misurare il consenso dei cittadini e l'Anaao Assomed non consentirà che questo nodo venga eluso."

                                                                              

LE PREVISIONI DI RISCHIO CALCOLATO

                           le previsioni di rischio calcolato video 

Cliccare Sopra lnk

http://youtu.be/JQ_GeZxk8xM

ELEZIONI INTERVENTO DI BAGASCO


  ELEZIONI L'INTERVENTO DI BAGNASCO 
                                            
Una campagna elettorale più rispettosa è questa una delle priorità tracciate dal presidente della Cei, Angelo Bagnasco, a margine di un incontro in Regione Liguria: ”Per portare ad un buon esito, la campagna elettorale deve essere più costruttiva e rispettosa delle diverse posizioni, pur dentro la dialettica, che è giusta”.
Il Cardinale a nome della Chiesa si augura che la ripresa passi per un alleggerimento della pressione fiscale: “Certamente le tasse non alleggeriscono le situazioni. Speriamo tutti che in prospettiva, avviando una fase di crescita che tutti dicono giustamente di voler perseguire, questo peso possa essere alleggerito”. Fondamentale in ogni caso il rispetto di servizi e lavoro.

                                                                        

IL SIMBOLO DI BERLSCA E MONTI

IL PREMIER PRESENTA IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA CIVICA CON MONTI 


Una conferenza stampa rilanciata tramite il neonato profilo Twitter del Senatore Monti: è questa la sede deputata al lancio del nuovo simbolo della lista del premier uscente, che da quando ha annunciato la sua discesa in campo politico (pardon, la sua salita) ha moltiplicato gli impegni istituzionali e mediatici.
Iniziata con circa 45 minuti di ritardo, la lista del premier uscente si chiamerà “Scelta civica con Monti per l’Italia”, il cui logo è stato ideato dallo stesso gruppo che si occupa della comunicazione del pugliese Nichi Vendola.
Al Senato ci sarà una lista unica, e l’indicazione sarà solo “con Monti per l’Italia”; alla Camera ci saranno tre liste coalizzate tra loro: in una prima ci saranno esponenti della società civile, e non ci saranno parlamentari (a questa andrà il logo con Monti), le altre due liste andranno rispettivamente a Fli (con il nome del presidente Fini) e all’Udc (con il nome di Casini).
                                                                     

GABINETTO MONTI E' UN GOVERNO O UN UFFICIO








20120104 Gabinetto Monti è un governo o un Ufficio Straordinario? I dubbi di carattere costituzionale sul modo in cui è avvenuto il passaggio dal Governo Berlusconi a quello di Mario Monti 


Gabinetto Monti è un governo o un Ufficio Straordinario?
I dubbi di carattere costituzionale sul modo in cui è avvenuto il passaggio dal Governo Berlusconi a quello di Mario Monti

 di Mario Esposito
Professore straordinario di Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento
Prima, durante e dopo l'ultima, singolare crisi di governo si è da più parti sostenuto, con diversità d'approccio e di accenti ma con comune esito diagnostico, che essa sarebbe stata determinata dalla cosiddetta “sfiducia dei mercati” nei confronti dell'indirizzo politico intorno al quale si era formata e poi mantenuta, sia pure con modifiche nella composizione, la maggioranza parlamentare che aveva sostenuto il Gabinetto Berlusconi.
Se così fosse, saremmo di fronte ad un evento costituzionale nuovo sia nella sostanza sia nella forma: i mercati - espressione lessicale (almeno dal punto di vista giuridico) generica e imprecisa - non rientrano tra i soggetti che, a vario titolo, danno impulso ovvero partecipano o, ancora, risolvono le crisi di governo. E, sotto altro profilo, lo svolgimento e la soluzione della successione tra l'Esecutivo Monti e quello Berlusconi espongono, come si vedrà, peculiarità tali da non poter essere pacificamente ricondotte alla fisiologica dinamica della vigente forma di governo.
È noto, d'altra parte, che i recentissimi fatti istituzionali sono effetto di trasformazioni che, coinvolgendo i radicali delle organizzazioni statali  (e in primo luogo la sovranità, ormai divisa, a dispetto di un insegnamento antico e sempre valido, tra versante attivo e versante passivo: il primo imbrigliato nella complessa costruzione europea, ancora in larga parte dominata dalle logiche pattizie internazionali; il secondo affidato, viceversa, alle sole forze dei singoli Stati) hanno già dato luogo a gravissimi problemi e, soprattutto, all'assoggettamento delle collettività nazionali ad influenze (apparentemente almeno) adespote e comunque eteronome.
Corrispondentemente, nella pubblicistica corrente la descrizione degli eventi politici è stata sovente  doppiata dal ricorso a termini propri di una condizione di guerra, ad esempio qualificando il Ministro dell'Economia come Ministro della Difesa o, ancora, sottolineando la funzione del Presidente della Repubblica quale reggitore dello Stato nelle condizioni eccettive determinate da deflagrazioni belliche.
Le fasi che hanno condotto al Gabinetto Monti
In tale scenario, merita allora di essere, sia pur rapidamente, "glossata" la successione delle fasi che hanno condotto alla formazione del Gabinetto Monti, seguendone lo sviluppo attraverso i comunicati ufficiali della Presidenza della Repubblica.
In breve tempo, infatti, il Presidente della Repubblica, che già aveva più volte intrapreso un'azione di stimolo delle misure da lui ritenute necessarie per corrispondere alle richieste dei mercati finanziari, ha indotto lo spostamento dell'obiettivo dalla natura dei provvedimenti da adottare alla composizione soggettiva del Gabinetto e della sua maggioranza parlamentare, con la conseguente apertura della crisi di governo prima e persino a prescindere dalle condizioni formali che, alla stregua della Costituzione e della prassi di questa integrativa, ne sono presupposti.
La nomina di Monti a senatore a vita
Il 9 novembre 2011, quando ancora il Presidente del Consiglio non aveva rassegnato le sue dimissioni, il Presidente della Repubblica ha nominato senatore a vita il prof. Mario Monti, futuro Premier. Tale atto potrebbe essere interpretato come tentativo di dare legittimazione parlamentare al designando (ma già probabilmente designato in pectore), tenuto conto della vigente disciplina elettorale, in forza della quale, avendo la coalizione vincente già un "capo", per tale predeterminato dalle forze politiche che vi aderiscono, è ristretto l'ambito di discrezionalità del Presidente della Repubblica nell'individuazione della persona cui conferire l'incarico per la formazione del Governo. Si tratterebbe allora di un preincarico in forma di nomina senatoriale, che non sarebbe valso, però, ad attingere il risultato sperato, dal momento che - come appare evidente - l'indicazione elettorale del capo della coalizione proviene dai cittadini e non può essere certo surrogata dal, sia pur autorevolissimo, munus di cui all'art. 59 Cost.
D'altra parte, la nostra Costituzione non richiede affatto che il Presidente del Consiglio ed i Ministri siano altresì parlamentari.
Le ragioni della investitura senatoriale di Mario Monti vanno allora cercate altrove. E probabilmente nel fatto che i senatori a vita, data la nomina presidenziale, sono assolti forse dal vincolo di mandato verso il corpo elettorale, che non li ha espressi, ma correlati da vincolo fiduciario col Capo dello Stato, personalmente, fin quando duri in carica chi ha proceduto alla nomina, e successivamente e comunque con la figura istituzionale, da chiunque incarnata. Sotto altro aspetto, questa induzione potrebbe trovare conferma nel fatto che senatori a vita diventano, di diritto, anche i Presidenti della Repubblica emeriti.
Da dove proviene l’indicazione i Monti?
Ciò contribuirebbe a spiegare quel che, altrimenti, risulterebbe difficilmente comprensibile: donde cioè provenga l'indicazione del prof. Monti quale soggetto più idoneo al quale conferire l'incarico di formazione del nuovo Governo. Dai comunicati ufficiali dei gruppi parlamentari relativi al contenuto delle consultazioni avviate dal Presidente Napolitano il 13 novembre non appare, infatti, alcuna sicura paternità dell'indicazione medesima.
Il Presidente della Repubblica, il quale aveva già avuto colloqui "non protocollari" con le "maggiori componenti delle forze politiche di maggioranza e di opposizione", ha aperto - vi si è fatto cenno - se non la crisi in senso proprio e tecnico, le consultazioni che la presuppongono sulla base di un semplice preannuncio di dimissioni formulato dal Presidente del Consiglio, peraltro condizionato all'approvazione della legge di stabilità. E proprio in questo lasso di tempo il Presidente della Repubblica ha provveduto alla nomina del prof. Monti a senatore a vita, quasi a voler su di lui proiettare, in prospettiva di emergenza (più volte evocata nei suddetti comunicati del Quirinale), una frazione delle prerogative che fanno  di lui il Capo dello Stato nei momenti di grave necessità, allorché ha avuto contezza che la maggioranza a sostegno di Monti sarebbe stata comparabile, sia alla Camera sia al Senato, a quella che esprime, nel Parlamento in seduta comune, il Presidente della Repubblica.
Ma l'attivazione di questi poteri emergenziali, collegati alle funzioni del Presidente della Repubblica quale Capo dello Stato, implica e richiede che lo stato di crisi risulti composto da una crisi di governo in senso proprio e dall'impossibilità di risolverla con le procedure ordinarie.
Nessun espresso voto di sfiducia
Non solo, però, non v'era stato alcun espresso voto di sfiducia - l'unica condizione in presenza della quale il Governo è giuridicamente obbligato alle dimissioni - ma, sotto altro aspetto, le mere dimissioni, quando non conseguenti a sfiducia, non danno luogo all'immediata apertura delle consultazioni, perché, per prassi ormai consolidata, il Capo dello Stato, anche al fine di verificare se ricorra o meno la suddetta fattispecie di crisi composta, invita il Presidente del Consiglio a presentarsi alle Camere per spiegare le ragioni dell'atto abdicativo.
Di fatto, tuttavia - ecco un altro aspetto di peculiarità della vicenda - ciò non sarebbe potuto avvenire, poiché, per inversione delle fasi, le dimissioni si sono risolte in un atto esecutivo di un procedimento iniziato ben prima, almeno a far data dal 12 ottobre, allorché il Presidente della Repubblica si era volto ad identificare gli elementi non più solo oggettivi, quanto piuttosto soggettivi di un nuovo Esecutivo corrispondente alle attese, a latere creditoris (non solo del debito, dunque, ma anche della fiducia), delle istituzioni europee, dell'opinione pubblica internazionale e degli operatori economici e finanziari.
Le consultazioni estese a soggetti esteri
Non è un mistero che le cancellerie europee - talvolta in modo esuberante - prediligessero l'«opzione Monti»: per parte sua, secondo quanto risulta ufficialmente, il Presidente della Repubblica, tra il 10 e l'11 novembre, ha esteso le consultazioni a soggetti esterni all'ordinamento costituzionale italiano e addirittura esteri (in particolare e nell'ordine al Presidente Obama - il quale, si legge nel comunicato quirinalizio, "ha voluto essere ragguagliato sugli sviluppi e le prospettive della situazione politica in Italia in relazione alle gravi tensioni tuttora in atto sui mercati finanziari" - al Presidente Wulff, il quale "ha quindi manifestato l'auspicio che gli sforzi in atto per dare soluzione alla crisi di Governo di fatto apertasi vadano a buon fine", e al Presidente Sarkozy, dalla conversazione con il quale il nostro Capo dello Stato ha appreso che la fiducia della Francia nei confronti dell'Italia era legata alla prospettiva che il nostro Paese si desse "al più presto un governo capace di contribuire al superamento di una situazione che è altamente preoccupante per tutta l'Europa e in particolare per la zona Euro"), laddove, a fronte delle menzionate insistenze manifestate da rappresentanti di Stati stranieri, il Presidente della Repubblica avrebbe forse potuto persino inviare un messaggio motivato alle Camere, richiamando l'attenzione di tutte le forze politiche sull'anomalia d'una simile evenienza.
Il mutamento soggettivo della compagine governativa non ha, poi, avuto alcuna influenza sulla soluzione della crisi economica che tuttora drammaticamente perdura, smentendo forse il presupposto da cui si erano prese le mosse e rivelando che tutto stava nelle misure da adottare, che potevano essere assunte anche dal precedente Governo.
Un prezzo alto in termini di assetto costituzionale
Non sembra azzardato segnalare, allora, che il prezzo pagato dall'Italia in questi ultimi tornanti di turbolenza non solo (e non tanto) nazionale potrebbe essere molto alto anche in termini di assetto costituzionale.
Il Capo dello Stato, non che limitarsi a svolgere una funzione di alta vigilanza, secondo parametri costituzionali, sulla gestione dell'indirizzo politico di maggioranza, vi si è ingerito sino a promuovere la rimozione del Governo Berlusconi e della corrispondente sua formula politica, facendosi portatore di una candidatura non solo estranea alla maggioranza (e all'opposizione), ma investita, come si è avuto modo di dire, di un tratto fiduciario presidenziale sul quale lo stesso Napolitano ha attivamente cercato il coagularsi di un ampio consenso, così oggettivamente istituendo una sorta di ufficio governativo straordinario, caratterizzato dal nesso, non solo genetico, con la Presidenza della Repubblica.
Non basta: l'estensione delle consultazioni, in forma quasi sostitutiva, a soggetti di Stati esteri si è subito riflessa sulla condotta del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale si è affrettato a compulsare le istituzioni comunitarie, mentre ha ricevuto la fiducia senza esplicitare il programma, come si è appreso anche nel corso del dibattito parlamentare, nonché, prima, all'esito dei colloqui che i gruppi parlamentari hanno avuto con il Capo dello Stato in fase di conferimento dell'incarico: di tal che il Parlamento sarà chiamato non già a controllare che l'Esecutivo si contenga nell'ambito dell'accordo fiduciario, quanto piuttosto a ratificare i contenuti che tale programma acquisirà di volta in volta per unilaterale determinazione del Ministero.
In un motto, potrebbe dirsi che abbiamo un Governo che ha avuto fiducia sulla fiducia e, in definitiva, al di fuori della fattispecie dell'art. 94 Cost. e della prassi che si era ormai formata