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venerdì 14 settembre 2012

GRILLO O BERSANI


Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte? di Sergio Di Cori Modigliani  

  Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte?  di Sergio Di Cori Modigliani

Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte?




di Sergio Di Cori Modigliani

La rissa tra Pierluigi Bersani e Beppe Grillo è il sintomo, fin troppo ovvio, del degrado culturale dell’Italia di oggi.
Hanno perso entrambi.
O meglio: abbiamo perso tutti noi.
Loro due, invece, hanno vinto. Ma soltanto loro.
Vincono i tifosi da stadio,  i non pensanti, il gregge, la truppa al seguito, i daje all’untore, i viè qui che te meno, l’esibizione muscolare di chi ha scelto (in maniera consapevole) di non avere in mano argomentazioni politiche, soprattutto culturali.
Uno scontro tra un fallito e un narcisista.
Tra l’ignoranza e l’affabulazione demagogica.
Per noi cittadini affranti, spettatori passivi di un gioco “altro”, ci rimane la paletta da quiz mediatico che ci hanno messo in mano: abbasso l’uno o viva l’altro.
Bella alternativa!
Mi sembrano entrambi pesci che galleggiano nell’acquario di T.I.N.A.

Ecco perché:

Siamo dentro una Guerra Invisibile, ma i combattenti, o meglio, i generali, non dicono quale guerra sia. Non sarebbe Invisibile, altrimenti.

Bersani (e il PD) accusano Grillo (e Di Pietro) di essere un “fascista del web” perché usa il termine “zombie” e l’espressione “vi seppelliremo vivi”.
Penso che si tratti di piatta e banale ignoranza usata, con ingegno, a fini elettorali.
L’espressione zombie, per indicare l’attuale classe politica, non è di Di Pietro; neppure di Grillo.
Non potrebbe essere di Di Pietro, valente ex magistrato, che si è costruito una carriera come "quasi" ministro degli interni di Berlusconi prima, per proseguire come ministro di Prodi poi, e che mai si sarebbe sognato di usare questo termine, essendo (tragicamente per lui) auto-referenziale. Cavalca la protesta e non sa neppure che sta facendo una citazione colta, è semplice ignoranza. Doppia. Primo perché non sa chi ha “coniato” il termine per definire la classe politica al comando (penso davvero che non lo sappia); secondo –che è una conseguenza dell’iniziale ignoranza- non spiega che il successo del termine “zombie” è relativo al fallimento socio-economico della teoria neo-liberista già voluta da Monti-Draghi Berlusconi e poi rivoluta da Monti-Draghi-Bersani, come è stato “tenicamente” spiegato da due valenti premi nobel dell’economia, nel 2010 e nel 2011. Non spiega neppure (siamo i soliti squallidi provinciali di sempre) che il termine nasce dalla cultura pop americana, divenuta in Usa un termine “bellico” per identificare i rappresentanti, discepoli e seguaci di Milton Friedman, diabolico inventore della teoria del mercato libero e dell’egemonia necessaria della finanza sulla produzione di merci.
“Occupy wall street” è nato da lì. Il termine è stato usato, elaborato, argomentato e poi lanciato a livello di massa quando (a metà del 2010) è scoppiata in tutta la sua virulenza la guerra in USA tra Keynes e Friedman. L’autore di questo neologismo metaforico cinematografico è il premio nobel per l’economia Paul Krugman, il quale, nell’autunno del 2010, si assunse la responsabilità di essere il leader antagonista (sezione politica dell’economia) che scendeva in campo per combattere i conservatori oltranzisti della destra radicale Usa dei tea party. Ecco che cosa scriveva allora nel celebre editoriale pubblicato sul New York Times che ha introdotto il termine reso celebre dal filmaccio “La notte dei morti viventi”:

Per prendere in prestito il titolo di un libro recente dell'economista australiano John Quiggin sulle dottrine economiche che la crisi dovrebbe aver definitivamente sepolto ma che invece vivono, noi siamo ancora -e forse più che mai- governati dall'economia zombie. Perché? Parte della risposta, di certo, è che coloro che avrebbero dovuto sopprimere le idee zombie hanno invece cercato di scendere a compromessi.

E poi, da lì, una lunga, dotta e colta analisi sia macro-economica che geo-politica –con furibondo attacco ad Obama-  annunciando che ci si trovava nell’occhio del ciclone “non di una crisi finanziaria” (FALSO TOTALE) bensì dell’attacco politico-culturale dei conservatori liberisti contro i progressisti keynesiani. Quattro mesi dopo quest’articolo, gli ultra-conservatori vanno all’attacco della scuola economica della Columbia University, con violentissimi attacchi personali contro Nouriel Roubini, Jospeh Stieglitz e il prof. Noam Chomsky. Nel corso di una sua lezione rimasta celebre, il premio nobel per l’economia Joseph Stieglitz, un carro armato del progressismo sociale statunitense, e fiero sostenitore della immediata necessità di varare un New Deal rooseveltiano in Usa e in tutta l’Europa occidentale, si scatena contro “i fascisti liberisti del tea party che verranno sepolti vivi dall’inevitabile insorgenza dello spirito democratico e libertario che sancirà il totale e definitivo fallimento della teoria iper-liberista, anticamera del fascismo, della proletarizzazione del ceto medio e della schiavizzazione annunciata nel mondo del lavoro….” e poi una lunghissima dissertazione colta, tecnicamente molto argomentata nella sezione prettamente economica, che si concludeva con un richiamo alle virtù della democrazia rappresentativa e quindi il “sacrosanto diritto dei tecnocrati fascisti ad essere sepolti vivi nel dimenticatoio della Storia: laddove riposano coloro che sono falliti, coloro che vogliono portarci  al fallimento e chi vuole far fallire lo spirito della democrazia: hanno il diritto di vivere, di parlare e della libertà di stampa e di aggregazione. La democrazia la garantisce a tutti ed è giusto che sia così. Nessuno escluso. Per l’appunto: è ciò che difendiamo. Noi difendiamo anche il diritto dei sepolti vivi ad essere ascoltati”.

Quindi Bersani accusa i due premi Nobel Krugman e Stieglitz di essere due fascisti.
Personalmente penso che Bersani sia in buona fede: notizia tragica.
Si tratta di semplice ignoranza. Lui rappresenta gli interessi di una neo-tecnocrazia liberista che interpreta la salvaguardia dei privilegi di una oligarchia finanziaria planetaria, ma lo fa a sua totale insaputa. A lui interessa soltanto salvaguardare la sua baracca di burocrati.
Rivela, quindi, (sempre nella migliore delle ipotesi che si tratti di buona fede) di aver promosso come classe dirigente una pattuglia di analfabeti di economia, e di persone completamente inconsapevoli del fatto che siamo in guerra. Non sanno neppure che si devono schierare.

Non così per Beppe Grillo, il quale, invece, notoriamente è uno che studia e legge molto.
Penso che Grillo non sia stato in grado di rispondere per le rime con la solida argomentazione nel sostenere le interpretazioni socio-politico-economiche di Krugman e di Stieglitz per ovvie necessità narcisistiche. I suoi seguaci pensano che il linguaggio da lui usato sia originale. Non sanno che è preso da discorsi, letture, convegni, seminari, lezioni e articoli dell’opposizione americana, divenuto ormai mainstream dal 2010 in poi. Anche lui deve fare i conti con il consenso elettorale e finisce per far privilegiare la voglia matta dell’intera collettività nazionale di poter urlare “andate tutti a casa, ci avete imbrogliato”. Ma allo stesso tempo, Grillo rivela di essere compagno di merende e di merengue, di Bersani (a sua insaputa, mi auguro) perché non chiarisce con argomentazioni solide lo schieramento bellico attuale tra post-keynesiani (e quindi esistenzialmente solidali) da una parte e tecnocrati iper-liberisti dall’altra. Perché non lo fa?
Io non lo so, il perché: chiedetelo a lui.

La mia personale idea è che non lo può fare.

Perché lui è un tecnocrate.
Simpatico, avvolgente, affabulatore, carismatico, ma pur sempre tecnocrate.
Tant’è vero che la “summa teorica” della sua attività politica è ben descritta nel testo scritto da lui e Roberto Casaleggio e pubblicato da Chiarelettere che si chiama “Siamo in guerra” dove non parla della Guerra Invisibile(Keynes-Friedman, conservatori-progressisti, oligarchici-democratici) bensì di un’altra guerra (falsa), tutta marketing, tutta interna al movimento tecnocratico internazionale, visto che sostiene “c’è una guerra tra il web e il mondo morto dei giornali, delle televisioni, dell’editoria” ecc.
Questo è “culturalmente” un FALSO:
Il web non è un fine, bensì un mezzo.
E chi sostituisce un mezzo con un fine o è in malafede oppure ha le idee poco chiare.
Chi ha frequentato qualche volta le riunioni dei movimenti grillini sa che la loro caratteristica principale consiste nel loro essere robotici e nel far di tutto per impedire qualsivoglia aggregazione di umanità, di incontro tra esseri umani. Il tutto deve avvenire sempre e soltanto e comunque in rete, nella rete, dentro il software, non si può sgarrare. Perfino lo scambio di numeri di telefono tra partecipanti non è ben visto. E’ un rullare continuo di esaltazione del nuovo Moloch del terzo millennio , il che, culturalmente parlando, lo situa tutto dentro la visione del mondo iper-liberista dei tecnocrati.

Mentre Bersani rivela il tragico vuoto culturale di una classe dirigente analfabeta intorno a lui, Grillo rivela il tragico vuoto tout court intorno a lui, perché la classe dirigente neppure esiste. E’ stata sostituita da un eccezionale software: ciò che conta è adorare il nuovo Totem del gregge post-moderno.

La loro rissa quindi, mi lascia indifferente.
E’ tutta roba dentro il mondo dei tecnocrati.

E’ roba che esclude la svolta vera di cui ha bisogno l’Italia: l’affermazione di un nuovo principio di affermazione della narrativa esistenziale, nuove modalità di aggregazione , e mobilitazioni in carne e ossa che spezzino il cancro dell’isolamento, dell’individualismo coatto narcisista, dell’uscita allo scoperto dai lager illusori che la tecnologia propone e dispone purchè la gente non si incontri, non si veda, non si confronti, non dibatta, fondamentalmente NON si appassioni nello scambio dell’umanità vera, perché tuttora l’arma migliore di opposizione consiste nella diffusione capillare della Cultura attraverso lincontro umano consistente,  per costruire delle nuove modalità avanzate ed evolute di solidarietà, condivisione, evoluzione, per l’affermazione di una società diversa.

La rivoluzione esistenziale di cui noi abbiamo bisogno è ritrovare la passione civile umana.
Un software non basta.
E’ necessario schierarsi, perché la guerra è già iniziata.
E’ troppo tardi per poter dire a se stessi: non la voglio fare.
Intendiamoci, “non sembra che sia così”. Appunto. Non sembra perché non si vede, altrimenti non sarebbe una Guerra Invisibile, però c’è. Secondo nuove modalità.
E per capire dov’è esattamente dislocata la “linea del fronte” bisogna guardare la esistenzialità di singoli individui, i quali, collegati tra di loro finiscono per comporre il corpus sociale. Perché la guerra è tra le persone, individui, gruppi sociali di gente vera, che vuole una vita diversa più umana e solidale e autentica, in ultima istanza “veritiera”, e coloro che, invece, pensano che basti attuare dispositivi tecnici per determinare un cambiamento.
E’ la guerra vera tra tecnocrati e umanisti (anche ma non solo… n.d.r.).

Questo vuole il liberismo di Friedman, sostenuto in Italia da Monti-Bersani: l’abbattimento dell’individualità e la cancellazione del potere della narrativa esistenziale.
Non sarà mai il web a liberarvi: il web né vi libera né vi imprigiona, it is just a media.
Il web è neutro.
Gli Esseri Umani non lo sono mai.
Quando lo sono, allora vuol dire che sono dei robot.

Che ci faccio con centinaia di milioni di informazioni al giorno se non sono in grado di elaborarle?
Come faccio a sapere quali sono le notizie che non mi danno, dato che –proprio perché non me le danno- non posso sapere che esistono?
Lo sapevate che il Brasile ha applicato la MMT dimostrando che può funzionare in pratica?
Lo sapevate che l’Argentina ha applicato il bilancio sociale dimostrando che funziona?
Lo sapevate che il Giappone ha un debito pubblico di 4.100 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) con un pil di 3.200 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) e un differenziale negativo di -132%, una inflazione al 2%, disoccupazione all’1,5%, O povertà e il loro debito pubblico aumenta aumenta aumenta… ma la ricchezza collettiva pure?
Come mai in Giappone funziona? Perché non farlo funzionare anche in Italia, allora.
In rete, del Giappone, non se ne parla mai.


Osservando in televisione i reportage da Taranto, di fronte all’Ilva, da Cagliari dove gli operai dell’Alcoa si tuffano in mutande in mare, purchè si sappia che loro esistono; sempre in Sardegna dove i minatori si trincerano a 400 metri di profondità con decine di chili d’esplosivo perché vogliono lavorare;  con gente che si uccide davanti al parlamento bruciandosi viva; famiglie sfrattate, intellettuali indigenti, un’agghiacciante solitudine sociale priva di solidarietà umana, tutto ciò, nella mia mente, si trasforma ”in scene di ordinaria follia dal fronte bellico interno”.  Sono i nuovi deportati nei silenziosi e invisibili lager del “perenne vuoto culturale e della disinformazione bellica”.
Le guerre nascono per i motivi più disparati, ma le ragioni dietro sono sempre le stesse: economiche, di territorio, di interpretazioni del mondo incompatibili.

Nell’attuale Guerra Invisibile i due schieramenti (sezione economia) sono rappresentati dallo scontro definitivo tra John Maynard Keynes e Milton Friedman, entrambi deceduti. Non sono possibili mediazioni né compromessi –altrimenti non staremmo in guerra- perché (entrambi celebri economisti vissuti a distanza di 50 anni l’uno dall’altro) l’uno (Keynes) situa “il bene comune, la società e gli individui che la compongono” come il punto di riferimento di ogni progetto economico di investimento mentre l’altro (Friedman) non prende neppure in considerazione né le persone né il sociale definendo la società civile “come il luogo in ultima istanza al quale vanno gli usufrutti delle scelte operate sul mercato delle merci e nel mondo della finanza”. Per Keynes la crescita economica è sempre e comunque “allargamento dello spettro sociale come quantità di soggetti operanti e aumento nella produzione della ricchezza collettiva di una nazione”, per Friedman, invece, consiste “nell’aumento della capacità di controllo e di gestione del mercato delle merci da parte della finanza che investe risorse per lo sviluppo”. Per uno (Keynes) “l’economia deve avere come obiettivo primario quello di salvaguardare tutte le persone che compongono ogni singolo ceto presente nella società civile” per l’altro (Friedman) “l’economia deve occuparsi della gestione della stabilità della finanza che diventa tutela della massima libertà operativa del mercato, non più soggetto a legami infruttuosi imposti dallo stato centrale”. Sono due idee del mondo contrapposte. E’ lo scontro tra la finanza oligarchica e l’imprenditoria che produce merci e dà lavoro. O vince l’una o vince l’altra. Questo è lo scopo della guerra in atto. Se vince l’uno (Keynes) si ritorna alla Politica. A quel punto, tutti i rappresentanti delle singole parti sociali dovranno vedersela con lo Stato che funge da arbitro e controllore della finanza e si assume l’onere sociale del debito collettivo pompando sul mercato risorse d’investimento che creano lavoro, occupazione, crescita collettiva. Se vince l’altro (Friedman) viene abolita per sempre la Politica. Vengono cancellate le classi sociali e la società assume una nuova forma appiattita, con due uniche classi informi come nel medioevo: da una parte il predominio della finanza che decide chi produce come quando quanto e per quanto, usando i partiti che diventano funzionari d’esercizio delle loro attività mercantili (classe dei privilegiati). Lo Stato diventa il semplice garante militare del nuovo equilibrio senza intervenire mai sul mercato occupandosi (grazie all’appoggio dei burocrati dei partiti) di evitare rivolte sociali. I ceti medi vengono proletarizzati, il lavoro perde la dimensione di valore, e la società civile si trasforma in un gigantesco bacino d’utenza di forza lavoro a costo molto basso; la novità storica e paradossale consiste nel fatto che nell’abbattimento di tutte le classi si realizza la cosiddetta “rivoluzione sociale liberista” e imprenditori e salariati finiscono dalla stessa parte, entrambi impiegati della finanza che deciderà le rispettive mansioni d’impiego. In tal modo viene ricostruita la piramide verticale del medioevo: l’aristocrazia che comprende i signori, i vassalli, i valvassori, i valvassini; poi il clero; e infine il cosiddetto terzo stato che comprenderà tutti, operai.e intellettuali, imprenditori e commercianti, salariati e precari: i nuovi schiavi del terzo millennio.

Che sappiano di essere schiavi, o non lo sappiano, è irrilevante, sempre schiavi saranno.
La Guerra Invisibile, oggi, pertanto, è la guerra tra il “neo-colonialismo mediatico post-moderno della tecnologia schiavista” da una parte e “la salvaguardia dell’autonomia delle proprie risorse e il diritto all’autodeterminazione dei popoli, nell’esercizio dello Stato di Diritto, con una pianificazione economica da parte dello Stato che ponga al centro diritti e doveri, bisogni ed esigenze dell’intera collettività, applicando la norma del bilancio sociale equo-sostenibile”.
O si sta da una parte o si sta dall’altra.
Basta saperlo.
Sono due concezioni del mondo diverse.
Non è lo scontro tra due scuole economiche teoriche.
E’ la differenza tra Roosevelt e Hitler.
Tra Thomas Hobbes e John Locke.
Tra Gesù Cristo e il Grande Inquisitore.
E ancora…tra Sabrina Began ed Emma Bonino.
In ultima istanza, tra la Conservazione e l’Evoluzione.
E’ una Guerra Culturale, pertanto.
Perché è la Guerra tra tue idee del mondo completamente diverse.
La volgare e penosa zuffa tra Bersani e Grillo ci fa comprendere che siamo finiti dalla parte sbagliata del fronte.
Così facendo “tutti perderemo la guerra”.
Basta con la pubblicità mediatica e i trucchi da baraccone.
E’ necessaria una mutazione culturale individuale e collettiva per riappropriarsi del Senso.
Perché la differenza sostanziale è tra Simone Veil “la Cultura è un’arma: affilatela con cura” e Joseph Goebbels: “Quando sento parlare di Cultura, io metto mano alla fondina e impugno la pistola”.
Questa è la Guerra che stiamo vivendo.
Basta con la tecnologia coatta.
Rivoglio gli Esseri Umani in carne e ossa.
Non voglio partecipare a movimenti politici in rete o via e-mail; voglio guardare in faccia e leggere gli occhi di coloro che combatteranno insieme a me, voglio sapere delle loro vite e mettere la mia a disposizione della loro curiosità.
A meno che non si voglia una rivoluzione virtuale.
Io la voglio, invece, reale.
Quindi, deve avvenire e manifestarsi nella realtà.
Se bisogna crepare, preferisco essere fucilato all’alba piuttosto che essere infilato nel forno crematorio del vuoto culturale perenne.

Io, per il momento, sto dalla parte di Paul Krugman e di Joseph Stieglitz.

P.S. Ho corretto il titolo dove c'era un errore di grammatica, e la frase che attribuiva a Di Pietro un ministero, è stato un altro errore per l'enfasi. In verità, Di Pietro fu "quasi ministro".      

LA BORSA VOLA I SOLDI FIOCCANO


La borsa vola, i soldi fioccano. Siamo dentro la vera "tempesta perfetta". E così vendono la Snam e l'Eni. di Sergio Di Cori Modigliani  

La borsa vola, i soldi fioccano. Siamo dentro la vera "tempesta perfetta". E così vendono la Snam e l'Eni.


di Sergio Di Cori Modigliani

Un post noiosetto, lo premetto. Ma utile. Quantomeno me lo auguro.
Per dedicargli dei pensieri nell’arco del week end.
Qui si spiega che cosa stanno combinando Monti e Passera.

Mentre la cupola mediatica, ben orchestrata, gestiva la grancassa dello scilinguagnolo teledipendente in questo finale estivo -facendoci credere che il destino dei popoli europei e delle nazioni mediterranee dipendesse da ciò che fa il mattino Gianroberto Casaleggio-  Mario Monti & co. mettevano a segno l’operazione di schiavismo annunciato, gestendo a meraviglia “la tempesta perfetta”, peraltro da loro annunciata con enfasi su tutta la stampa cartacea. Bravi, non c’è che dire. Gli sta andando di lusso.

Talmente “perfetta” nella sua esecuzione  (questo era il vero e autentico Senso del suo essere “perfetta”) da passare completamente sotto silenzio, non commentata, non dibattuta, non analizzata. Per i detentori del potere, la “perfezione” consiste nell’omertà e nel silenzio acquiescente.  Loro devono essere liberi di poter operare a loro piacimento nell’ombra.

Per loro i parlamenti, la Politica, le persone, sono un impaccio.

A fine luglio, avendo preparato molto bene i vassalli dell’informazione, avevano annunciato che il mese di agosto sarebbe stato un mese terribile, che la speculazione si sarebbe scatenata e che bisognava prepararsi all’impatto. Tutti con l’elmetto in testa. C’era addirittura chi voleva esportare i capitali in attesa di clamorosi tonfi in borsa e uno spread a 650.

Avevano ragione quelli che annunciavano”la tempesta perfetta”.
E’ ciò che è puntualmente accaduto.
C’è stata.
Anzi, ci stiamo proprio dentro.
All’italiana, si intende, ovvero “a nostra insaputa”.

Approfittando della sonnolenza culturale e della complicità corrotta di chi deve informare, non hanno spiegato che la “cosiddetta speculazione” si muove da sempre –per definizione- su un binario, perché così funziona il mercato finanziario: rialzo e ribasso. Per il mercato finanziario che i titoli siano positivi o siano negativi è del tutto irrilevante, ciò che conta è lo spostamento del capitale in anticipo.

Esempio pratico e banale: se io so che il 15 agosto la Tizio & associati varrà -6%, siccome io sono furbo, allora vendo le azioni il 30 luglio così evito un salasso; ma se un altro è più furbo di me e sa che la Tizio & associati il 15 agosto varrà -6% ma il 30 agosto varrà +12% perché il 16 agosto per evitare la bancarotta venderà il proprio pacchetto azionario al miliardario Vattelapesca che li riempirà di soldi, allora io sarò il primo a spingere al ribasso così le compro a un prezzo molto basso (e tutti avranno pena di me pensando che io mi sto rovinando e non so come va il mercato) e addirittura scommetto sopra che il 30 agosto varranno +12% e tutti arriveranno convinti che io sia un demente e accettano la scommessa puntandomi contro. Così il 31 agosto io mi ritrovo con azioni che ho sottopagato e incasso anche il premio delle scommesse vinte perché io sono stato più furbo dei furbi. Il mercato funziona così.

In Italia, invece, hanno fatto credere –per ovvi motivi- che il concetto di “speculazione finanziaria” viaggia su una linea retta singola piuttosto che su un binario parallelo. Questo Falso induce la gente a credere ciò che i telegiornali e il Sole24 ore & co. annunciano quando lo spread sale, le borse perdono, e le aziende denunciano insolvenza, e cioè: “la speculazione si sta accanendo approfittando della situazione di crisi e quindi le borse soffrono” ecc.,ecc. Questa argomentazione è falsa e fuorviante.

La verità che ogni novizio sa molto bene -assunto il giorno prima alla borsa di Milano- consiste nel fatto che è del tutto irrilevante dove punti l’indice; non ha nessuna importanza se le aziende colano a picco o godono di ottima salute, perché in aperto regime iper-liberista finanziario non conta più il bilancio, la produzione, il consumo, la circolazione della moneta, bensì ciò che conta “è la capacità di saper operare con tempismo ed efficacia sul mercato, prevedendo lo spostamento delle curve finanziarie per riuscire ad intervenire preventivamente e quindi essere in grado di spostare ingenti quantità di capitale finanziario dal mercato al ribasso al mercato dove si sta per manifestare il rialzo” (base dei principia economici della teoria della moneta di Milton Friedman sulla auto-regolamentazione dei mercati, basata sul principio che è la finanza ad avere il controllo di chi produce merci e non l’imprenditoria attiva, perché ciò che conta non è la produzione di ricchezza, indivuale e collettiva, bensì la produzione di “danaro puro” che consente al mercato la “possibilità di garantirsi accumulazione del capitale all’infinito grazie alla capacità di massimo impiego della libertà di investimento che consente al capitale finanziario di produrre capitale finanziario”).

Tradotto in parole chiare e nette: l’irruzione sul mercato della carta straccia, ovvero il virtuale che prende il posto del reale. Piuttosto che produrre lavatrici e correre il rischio di non venderle tutte perché io sono Pinco e invece Pallino le fa più belle e più economiche e quindi la concorrenza mi batterà, mi conviene investire i miei soldi, non nella produzione di lavatrici più belle e più economiche, ma in un fondo di investimento finanziario che gestisce il capitale di Pallino, così lo frego sul mercato perché anche se ha ordini di acquisto per tutte le sue lavatrici e le sue lavatrici sono le più belle e le più richieste al mondo, alla fine vinco io che neppure le produco perché siccome gestisco i suoi soldi dentro un modesto ufficio anonimo, posso –in qualunque momento io lo desideri- interrompere la catena negandogli l’accesso al flusso di cassa necessario a Pallino per produrre merci, distribuirle, pagare i salariati. Pallino ha 200 Tir pieni di lavatrici al parcheggio ma io banca non gli do i soldi per acquistare la benzina e trasportarli, quindi o Pallino mi paga l’interesse che io gli propongo oppure butta via le lavatrici.

Per far sì che questo meccanismo funzioni ho bisogno di “produrre e inventare crisi economiche cicliche”. Il punto centrale della teoria iper-liberista di Milton Friedman consiste proprio nella spiegazione di come si costruisce, si programma e si gestisce una crisi economica. Come Mario Monti, ormai in chiaro delirio di onnipotenza, ha candidamente confessato di aver fatto, tre giorni fa.
Ma qual’era lo scopo della “tempesta perfetta”?

E adesso veniamo alle notizie.
Questa noiosa premessa era necessaria per comprendere che cosa sta accadendo nel nostro paese, e capire, quindi, anche, alcuni sommovimenti politici.

Grazie alla crisi economica, grazie al crollo del consumo, grazie all’aumento del debito pubblico, grazie all’eccessiva spesa pubblica volutamente non contenuta, il governo ha fatto credere (e qui c’è “l’invenzione della tempesta perfetta”) di essere talmente nei guai, talmente in crisi, e talmente rovinati, da chiedere, pretendere e ottenere (come straripante vittoria della volontà) dalla BCE e dall’Europa e dai cosiddetti mercati, una copertura finanziaria che consenta il superamento della crisi stessa. Ha fatto credere alla gente che la tempesta è stata evitata perché grazie alla BCE c’è qualcuno che impedirà la “speculazione al ribasso” e quindi ci sono i soldi.

E i soldi sono arrivati.
E Monti e Passera annunciano che la luce è in fondo al tunnel.
E la borsa va su e i conti “magicamente” migliorano.
La cupola mediatica tira un sospiro di sollievo e definisce Monti e Draghi una coppia di maghi meravigliosi che ha evitato la “tempesta perfetta”.
E invece c’è stata, eccome.

La raccontano perfino sui giornali. Tanto la gente non si rende neppure conto di ciò che sta leggendo. L’inflazione bulimica dell’uso indiscriminato del termine “informazione” ha fatto dimenticare il fatto che, senza adeguata formazione, le informazioni sono inutili.

L’Italia industriale, oggi 14 settembre 2012 non è più l’Italia industriale del 14 giugno 2012.
Questa è la notizia in prima pagina nel mio quotidiano surrealista economico.
Ci stanno portando via la spina dorsale della nazione nel silenzio generalizzato.

La prima banca italiana non è più italiana.

Monti e Passera hanno gestito la ricapitalizzazione di Unicredit la scorsa primavera in modo tale da assicurare il pacchetto di maggioranza al fondo del Qatar, il quale si è alleato al Dubai, all’Arabia Saudita, all’Oman e al gruppo di Emirati Arabi del Golfo Persico e subito dopo si sono presi per qualche centinaio di milioni di euro Valentino  e la Marzotto (è l’inizio dell’addio del made in Italy nel settore tessile/moda/stile) e si sono impossessate di circa 50.000 aziende medio/piccole nel settore.

Dopodichè sono andate all’attacco delle telecomunicazioni riempiendo di soldi il gruppo decotto di Mediaset che sta svendendo tutte le proprie consociate al pool di arabi e infine (notizia del giorno) sotto gli occhi di tutti, hanno iniziato lo smantellamento dell’ENI. I principali fondi di investimento arabi hanno dato inizio ad acquisizioni di pacchetti azionari di fondazioni bancarie italiane completamente decotte, le quali, essendo proprietarie delle banche, detteranno legge su che cosa bisogna produrre, ma soprattutto dove e a che prezzo: ovvero in Africa e in Asia Minore. Non più in Europa. Ieri è stata formalizzata la vendita di un pacchetto azionario nell’ordine di 1,7 miliardi di euro a soggetti in teoria anonimi senza alcun commento da parte di chicchessia. Il tutto gestito da J.P. Morgan di New York che risulta “ufficialmente” il mediatore e gestore dei nuovi pacchetti azionari.

Se tutto ciò fosse accaduto quando era vivo Enrico Mattei, a quest’ora ci sarebbero venti interrogazioni parlamentari con il coltello fra i denti.

Questi sono i risultati della “tempesta perfetta” pienamente riuscita.

Una gigantesca operazione di speculazione al rialzo che comporta una immissione di capitale finanziario all’interno del sistema Italia che NON VA AFFATTO ad inserirsi all’interno del mercato produttivo industriale che potrebbe quindi creare lavoro, occupazione e ripresa del paese, bensì lo de-industrializza, lo de-localizza, lo annienta. Con l’ottima scusa che, così facendo, si finisce per rispettare il pareggio di bilancio perché si eviterà un aumento dell’Iva. In termini economici secchi, ciò vuol dire che i conti “nudi e crudi” miglioreranno, ma aumenterà la disoccupazione; altre aziende chiuderanno senza che vi sia nessun impatto né sulla borsa nè sui mercati finanziari (e quindi zero notizie da dare) perché seguiteranno a salire in borsa i titoli di banche, finanziarie e aziende che valgono sempre di meno in termini reali, ma sempre di più in termini virtuali, spostando l’Italia dal suo baricentro geo-politico e spingendola, inevitabilmente, nella periferia delle nazioni che contano.

L’amministratore dell’Eni, Paolo Scarano, annuncia di aver già dato avvio alle dismissioni nell’azienda Snam progetti (cavallo di battaglia strategico dell’autonomia energetica nazionale, del proprio investimento in innovazione tecnologica, ricerca, sviluppo, per renderci sempre più autonomi): un’altra fetta dell’Azienda Italia che se ne va.

Tra un po’ toccherà a Telecom, il Milan verrà venduto agli arabi, il 40% dell’industria tessile e del mobile marchigiano sta passando sotto il controllo di capitali stranieri, la cui conduzione è sempre gestita da J.P.Morgan e sono già pronti i piani strategici creati da architetti e ingegneri per andare a costruire gigantesche aziende produttrici di cucine, lavatrici, mobili, nello sterminato deserto arabo-saudita. Al posto di operai salariati garantiti –come in Italia- ci saranno gli schiavi sicuri in Asia Minore. Hanno bisogno di avere, proprio là, grandi aziende che producano acciao e alluminio, in modo tale da abbattere i costi di trasporto. E’ ciò che stanno facendo.
Questa è la vera “tempesta perfetta”.

Anonima, silenziosa, clandestina (ancorchè legale) con la totale complicità della classe politica italiana e l’apporto della cupola mediatica.

Se andate su Il sole24 ore, oggi trovate quattro articoli a firma Celestina Dominelli, quasi incomprensibili, perché intrisi di termini inglesi, che raccontano la vendita dell’Eni, la dismissione dello Snam, ma quasi tra parentesi. Leggendo questi articoli non si capisce nulla. Il Senso è che l’Eni gode di ottima salute e svende tutto, il che –in teoria- sarebbe incomprensibile.

Qual è la famiglia che si va a impegnare al monte di pietà i gioielli ereditati se ha i conti correnti in banca a posto?

Qui di seguito uno degli articoli del quotidiano di Confindustria di cui non si capisce nulla.
Lo propongo perché facciate caso al linguaggio usato, tutto zeppo di terminologia finanziaria anglo-sassone, senza nessun commento alla notizia POLITICA che viene quindi ridotta a meno che zero: ovverossia “L’ENI si sta scorporando ed è già iniziata la svendita a saldo d’autunno senza che nessuno lo sapesse”. Il Sole24ore è stato costretto a scrivere (si fa per dire) questo articolo perché ne parlano sulla stampa economica internazionale e quindi qualcosa bisognava pur dire anche da noi.

Ecco il testo: “Eni chiude il primo semestre 2012 con un utile netto a 3,84 miliardi di euro, in crescita dell'1,1% rispetto allo stesso periodo del 2011 (0,23 miliardi nel trimestre), e l'utile netto adjusted in salita dell'8%, a 3,94 miliardi (1,46 miliardi nel trimestre, +2 per cento). La crescita dell'esplorazione e della produzione, corroborata dalla ripresa delle attività in Libia, spinge poi, nei primi sei mesi dell'anno, a +19% l'utile operativo adjusted delle continuing operations, a quota 10,37 miliardi di euro (4,24 miliardi nel trimestre, +14%), mentre l'utile netto adjusted si attesta a 3,79 miliardi, in aumento del 4% (1,38 miliardi nel trimestre, +0,3%).
Risultati che l'amministratore delegato Paolo Scaroni definisce «eccellenti». «Sono particolarmente soddisfatto dei nostri successi esplorativi e dell'ingresso in nuove aree ad elevato potenziale», prosegue. «In Gas & Power e Refining & Marketing abbiamo contenuto l'impatto della crisi dei mercati di riferimento. Le dismissioni già avviate delle nostre quote in Snam e Galp ci assicureranno una struttura finanziaria adeguata a sostenere, in qualunque circostanza di mercato, una robusta crescita di
lungo termine». E, intanto, nel breve periodo, Eni assicura ai suoi azionisti un acconto di 54 centesimi sulla cedola 2012 (0,52 euro nel 2011). Poi, davanti agli analisti, Scaroni esclude «dividendi straordinari» e fissa la linea. «Rivedremo la politica di remunerazione con la nostra futura presentazione strategica. Penseremo a un dividendo sostenibile e daremo un'ulteriore remunerazione agli azionisti attraverso il piano di buyback», deliberato a luglio.
Trainato dai profitti del l'E&P, il gruppo è riuscito così a compensare la flessione registrata nei settori Gas & Power e Refining & Marketing a causa della contrazione della domanda. Nel secondo trimestre 2012, le vendite di gas ammontano infatti a 20,15 miliardi di metri cubi con una riduzione del 4%, mentre la produzione di idrocarburi è pari a 1,647 milioni di boe/giorno (+10,6% rispetto allo stesso periodo 2011).
Tornando ai conti, il flusso di cassa netto da attività operativa delle continuing operations è stato poi di 4,2 miliardi di euro (8,3 miliardi nel semestre) e, insieme a 774 milioni di incassi da dismissioni, ha consentito di coprire i fabbisogni finanziari connessi agli investimenti tecnici - 3,02 miliardi nel secondo trimestre concentrati su giacimenti e upgrading della flotta Saipem - e al pagamento di 2,3 miliardi di dividendi (di cui 1,8 per il saldo della cedola 2011), con l'indebitamento netto sceso di 1,1 miliardi di euro rispetto a fine 2011, a 26,9 miliardi di euro «che tiene conto - chiarisce Eni - dell'operazione di rifinanziamento con istituzioni creditizie terze di una parte del debito intercompany di Snam (1,5 miliardi di euro).
Proprio dalla spa dei gasdotti, in procinto di passare a Cdp, Eni ha ottenuto, come chiarisce il cfo Alessandro Bernini davanti agli analisti, «già 2,5 miliardi di euro» rispetto agli 11,2 di esposizione complessiva verso il Cane a sei zampe. E, a stretto giro, «entro settembre-ottobre», prosegue Bernini, Snam dovrebbe essere in grado di rimborsare l'intero ammontare. Quanto alla cessione della quota residua in Snam (dopo il collocamento accelerato di un primo 5%), Scaroni è chiarissimo. «Stiamo parlando con diversi potenziali investitori e in base alle condizioni di mercato valuteremo come procedere», ma ogni operazione avverrà dopo il closing dello scorporo, previsto in autunno. Nessuna fretta, dunque…..ma, aggiunge Scaroni, «se anche andiamo al di sotto, magari a 10, ci sentiamo perfettamente a nostro agio».
Eni guarda poi con fiducia ai futuri progetti come il South Stream («la final investment decision è prevista tra fine anno e inizio 2013», confermano i vertici).


Anche in rete seguitano a non parlarne, ad esclusione di “Delusi dal bamboo” ottimo sito di “formazione del pensiero critico” non a caso gestito da un ingegnere intellettuale.

Possiamo ancora cercare di rompere qualche uova nel paniere.

Se non altro, facendo loro capire che siamo consapevoli dei veri giochi.

Se non altro, chiarendo, in tal modo (una volta per tutte) che chi fa dell’anti-politica oggi, sono i funzionari dei partiti che tutto ciò non lo dicono e non lo spiegano.

Se non altro, per spiegare ai cittadini che il vero populismo, la vera demagogia, il vero allarmismo, il vero terrorismo intellettuale è quello operato da coloro che hanno dato il via a una strategia complessiva anti-patriottica, che finirà per spazzare via la Azienda Italia dal nòvero delle nazioni industrializzate avanzate.

Se non altro per denunciare la complicità della cupola mediatica.

E la criminale connivenza dei partiti che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo dei Signori Ragionieri, pur di sopravvivere.

Sulle spalle degli italiani ignari.

“Devono andare tutti alle isole Barbados”.
Prima che siano loro, in un domani prossimo, a spedirci a noi nei Caraibi, in catene.
Come facevano i negrieri nel XVIII secolo perché avevano bisogno di forza lavoro gratis.
Non fatevi venire l'ansia ma soprattutto non fatevi mettere paura, è ciò che vogliono.
La paura sono loro a doverla avere.

Devono capire che noi i loro trucchetti da baraccone li abbiamo capiti perfettamente.
Così, li potremo disinnescare.