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lunedì 29 aprile 2013

GOVERNO LETTA UNO THE SEQUEL ?

Governo Letta Uno, the sequel? 

Nasce il primo governo di Enrico Letta. Nasce con “sorprese” e conferme. Tra le seconde, il fatto che all’Economia resterà un tecnico puro, quale Fabrizio Saccomanni, malgrado gli ululati sulla imprescindibile necessità di dare ad un politico il ministero più politico e potente del paese. Ora ci attende lo scontato risveglio da un lungo sonno popolato di sogni. La notte prosegue, però.
Ad esempio, sappiamo che Saccomanni ha una posizione molto precisa e “classica” circa la gestione della crisi: le risorse per il taglio delle imposte che stanno uccidendo il paese possono e debbono venire da tagli di spesa. Ora, volendo evitare le solite canzoncine sulla cornucopia della lotta a corruzione ed evasione fiscale, questo significa una cosa sola: riqualificare la spesa, ovvero tagliarla. Vedremo quindi quali sembianze assumerà la versione duepuntozero della spending review, ma il punto fermo è che occorre passare da lì.
Nel frattempo, colpisce quello che appare come un vistoso appeasement di Berlusconi, che avrebbe rimosso tutti i veti e le pregiudiziali programmatiche che parevano impedire la nascita del governo Letta. E così, Silvio ha lasciato soli i falchi dell’economia, tra i quali si odono gli strepiti di Renato Brunetta, che oggi rilascia al Messaggero una intervista in cui lascia trasparire la propria opposizione al governo Letta, se le cose andassero male. Segnatevi qualche passaggio, ad uso dei posteri, enfasi nostra:
«Letta ha accettato integralmente gli otto punti del nostro programma. E la cancellazione dell’Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli, nonché la restituzione di quanto pagato lo scorso anno sono fondamentali. O ci sarà questo preciso impegno da parte del presidente del Consiglio, o non voteremo la fiducia al governo»
E ancora:
Ma non le sembra difficile, presidente Brunetta, che Letta possa già impegnarsi a trovare nel bilancio dello Stato le risorse necessarie per abolire Imu e addirittura restituire quanto già pagato? «I fondi ci sono. Letta, durante le trattative per il governo, ha capito benissimo i termini del problema e ci ha dato la sua parola, della quale mi fido completamente. Perciò, domani lo ascolterò molto attentamente»
«(…) i tempi per mettere a punto uno strumento a vigenza immediata che assicuri già la cancellazione della prima rata dell’Imu, a giugno, e la restituzione dell’imposta 2012 sono strettissimi. Parlo di un decreto legge ad hoc da varare subito perchè il 6 maggio è già calendarizzata la discussione del Def, predisposto da Monti. Per questo, è urgente che Letta si esprima subito»
«Sto già scrivendo il mio discorso per la fiducia». E che dirà? «Per prima cosa, annuncerò agli italiani che a giugno non dovranno pagare l’Imu sulla prima casa»
Ora, a parte questa infantile impuntatura sull’Imu prima casa e sulla restituzione di quanto pagato nel 2012, ignorando completamente che la cancellazione dell’Imu prima casa è regressiva e che, grazie alle esenzioni, già oggi la platea degli esenti è vastissima e comunque servirebbe concentrarsi su altro, che accadrà realmente se e quando il governo non darà seguito al diktat-ultimatum di Brunetta? Che farà Berlusconi? E soprattutto, perché questo appeasament?
D’acchito, viene da pensare che, alla fine, Napolitano abbia indotto Berlusconi a più miti consigli, e che il Cav. si sia fatto bastare la messa in cantiere dello sbriciolamento del Pd e l’acquisto di tempo per proprie note finalità. Potremmo essere tutti fortunati ed incassare un qualche allentamento significativo delle regole europee sul patto di stabilità, ma si tratta di un evento al momento non previsto, men che mai a cinque mesi dalle elezioni tedesche. E’ vero che quest’anno avremo minore stretta fiscale complessiva, ma l’inerzia di un sistema economico fortemente deteriorato, quale è il nostro, continuerà ad esercitare influssi fortemente negativi, di cui si trova traccia anche nella revisione in peggio delle stime di crescita. Ha già cominciato Moody’s, portando la nostra contrazione per il 2013 all’1,8 per cento, contro stime ufficiali governative ferme a meno 1,3 per cento.
La dinamica ormai dovreste conoscerla: più contrazione, più buco di bilancio. Pensate davvero di trovare risorse per ridurre la pressione fiscale? A Brunetta l’ardua risposta. Se le cose andranno in questi termini, cioè se il deterioramento della nostra economia proseguirà, Berlusconi finirà con l’inalberarsi, darà la colpa della situazione al governo ed al tecnico che siede in via XX Settembre, e toglierà la fiducia all’esecutivo. Attese anche segnalazioni sul Giornale della affiliazione di Enrico Letta al Bilderberg, naturalmente. Prima di tali eventi assisteremo ad una nuova e copiosa produzione di slide powerpoint da parte di Brunetta, eccetera eccetera.
Forse saremo più fortunati: la crisi terminerà, l’Europa ci autorizzerà a sforare di un paio di punti percentuali il deficit-Pil, ed il sole sorgerà ad Ovest. In caso ciò non accadesse, avremo la replica in copia conforme del teatrino allestito nella fase finale del governo Monti. Per ora ci facciamo bastare il sorridente penultimatum di Brunetta, nel paese dell’eterno ritorno.

ISTAT STIPENDI ANCORA FERMI

Istat, stipendi ancora fermi 

Retribuzioni ferme a marzo. Le retribuzioni contrattuali restano infatti invariate rispetto a febbraio, aumentando dell'1,4% su base annua. A rilevarlo è l'Istat.
Il dato tendenziale, nonostante la frenata dei prezzi, rimane comunque sotto l'inflazione (all'1,6%), ma il divario si restringe ancora (pari a 0,2 punti percentuali). Con marzo diventano due i mesi consecutivi con crescita congiunturale pari a zero, con il rialzo annuo fermo all'1,4%.
Ecco dunque che il primo trimestre 2013 resta freddo, con un incremento pari solo all'1,4%. Tornando a marzo, a fronte di un aumento tendenziale medio dell'1,4%, i settori che presentano gli incrementi maggiori sono: alimentari bevande e tabacco (3,6%); tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (2,8%); acqua e servizi di smaltimento rifiuti (2,6%). Si registrano, invece, variazioni nulle per il comparto delle telecomunicazioni e in tutta la pubblica amministrazione.
Con riferimento ai principali macrosettori , a marzo le retribuzioni orarie contrattuali segnano un incremento tendenziale dell'1,8% per i dipendenti del settore privato, mentre restano ferme per quelli della pubblica amministrazione. In prospettiva, fa sapere l'Istat, l'indice per dipendente delle retribuzioni contrattuali per l'intera economia, proiettato per tutto l'anno sulla base delle disposizioni definite dai contratti in vigore alla fine di marzo, registrerebbe nel 2013 un incremento dell'1,2%.
Con riferimento al semestre aprile-settembre 2013, in assenza di rinnovi, il tasso di crescita tendenziale dell'indice generale sarebbe dell'1,2%, come media delle variazioni mensili che si ridurrebbero gradualmente dall'1,3% di aprile all'1,0% di settembre. In particolare, guardando ai diversi accodi, nei prossimo mesi scadono le intese che riguardano il settore della moda e dei pubblici esercizi e alberghi.
Sempre a marzo , infine, restano in attesa di rinnovo 44 accordi (15 appartenenti nella Pa) relativi a circa 5,3 milioni di dipendenti (2,9 mln nel pubblico). La quota di dipendenti che aspetta il rinnovo e' pari al 40,8%, in riduzione rispetto a febbraio a seguito dell'entrata in vigore di tre rinnovi contrattuali. Tra gli accordi monitorati dall'Istat, infatti, sono state recepite le intese energia e petrolio, energia elettrica e Rai, mentre nessun contratto è scaduto.  

IN CINQUE ANNI OLTRE 1 MILIONE DI DISUCCUPATI IN PIU

In cinque anni oltre 1 milione di disoccupati in più  

In cinque anni la disoccupazione media in Italia è quasi raddoppiata (+82,2%): una persona su due che cerca lavoro è al sud, ma in percentuale l’incremento maggiore si rileva al nord (+121,3%). E’ quanto emerge dalle elaborazioni dell’Adnkronos, sulla base degli ultimi dati pubblicati dall’Istat sulla media annuale del numero di persone in cerca di lavoro a partire dai 15 anni.
Secondo gli aggiornamenti dell’Istituto di statistica i disoccupati, nella media annuale del 2012, sono stati 2,74 milioni, un record storico da quando, nel 1993, è iniziato il monitoraggio. Esaminando gli anni della crisi emerge che lo scorso anno si è registrato un boom del numero di disoccupati, che sono aumentati del 30,2% (+636.000 unità). Osservando l’andamento degli anni precedenti si rileva che il forte incremento dello scorso anno segue a un anno di sostanziale stallo (nel 2011 l’incremento era stato solo dello 0,3%).
Una sosta, però, che arrivava dopo tre anni di incrementi sostenuti: +8,1% nel 2010, +14,9% nel 2009 e e +12,3% nel 2008. La disoccupazione a livello nazionale nel 2012 è aumentata di 4,6 punti percentuali, rispetto al dato del 2007, con picchi di 6,2 punti al sud, che portano il tasso delle persone in cerca di occupazione al 17,2 per cento. Va meglio al centro e al nord, dove si registrano rispettivamente incrementi del 3,8% e del 3,9%, che fanno salire il dato complessivo al 9,5% e 7,4 per cento.
Prima che iniziasse la crisi i disoccupati al nord erano 432.000 (28,7% del totale), mentre al centro si trovavano altri 267.000 (17,7%) e al sud 808.000 (53,6%). Cinque anni dopo i disoccupati sono aumentati del 121,3% al nord, arrivando a quota 956.000, mentre il sud da solo ospita 1,3 mln di persone in cerca di lavoro (+63,1%); al centro si trovano i restanti 507.000 disoccupati (+89,9%). Cresce più in fretta del dato nazionale il numero dei disoccupati di lungo periodo (in cerca di lavoro da oltre dodici mesi), che in cinque anni è aumentato del 104,4%. Nel 2007 erano 704.000 (il 46,7% del totale) e sono arrivati a superare 1,4 mln (52,4% del totale). Il confronto tra gli ultimi anni mostra che i giovani disoccupati sono cresciuti meno rispetto alla media nazionale: nel 2007 erano 380.000 e lo scorso anno sono diventati 611.000 (+60,1%). Rispetto al totale delle persone in cerca di occupazione sono passati dal 25,2% al 22,3%. In particolare le ragazze erano il 46,3% dei giovani alla ricerca di un lavoro e sono scese al 43,4%: tra il 2007 erano 176.000 e sono arrivate a 265.000 (+50,6%). Più marcato l’aumento dei maschi senza un lavoro: erano 204.000 prima della crisi e sono diventati 345.000, con un incremento del 69,1%.
Rispetto a un quadro generale preoccupante, la situazione dei giovani appare catastrofica. Nella fascia tra 15 e 24 anni il 46,9% al sud cerca lavoro, con un incremento di 14,6 punti percentuali. A livello nazionale le nuove generazioni senza occupazione sono aumentate del 15%, arrivando al 35,3%. L’incremento maggiore riguarda il centro (+16,8 punti), dove si raggiunge il 34,7% di disoccupazione.
La situazione migliore, per i giovani, è invece al nord dove “solo” uno su quattro è in cerca di lavoro (26,6%), con una crescita comunque sostenuta (14,5 punti). Per trovare dei dati generali che si avvicinino alle punte toccate lo scorso anno bisogna risalire al 1998, quando le persone in cerca di lavoro erano 2,68 milioni. Dal livello minimo raggiunto raggiunto alla fine degli anni novanta è iniziata una lenta ma progressiva riduzione dei disoccupati, che è proseguita fino al 2007. In quell’anno le persone in cerca di occupazione erano scese a quota 1,5 milioni, raggiungendo il minimo storico; ma l’arrivo della crisi ha inghiottito tutti i passi in avanti fatti lasciando per strada, in cinque anni, 1,24 milioni di persone in più.
Prima che iniziasse la crisi i disoccupati al nord erano 432.000 (28,7% del totale), mentre al centro si trovavano altri 267.000 (17,7%) e al sud 808.000 (53,6%). Cinque anni dopo i disoccupati sono aumentati del 121,3% al nord, arrivando a quota 956.000, mentre il sud da solo ospita 1,3 milioni di persone in cerca di lavoro (+63,1%); al centro si trovano i restanti 507.000 disoccupati (+89,9%). Cresce più in fretta del dato nazionale il numero dei disoccupati di lungo periodo (in cerca di lavoro da oltre dodici mesi), che in cinque anni è aumentato del 104,4%. Nel 2007 erano 704.000 (il 46,7% del totale) e sono arrivati a superare 1,4 milioni (52,4% del totale).
Il confronto tra gli ultimi anni mostra che i giovani disoccupati sono cresciuti meno rispetto alla media nazionale: nel 2007 erano 380.000 e lo scorso anno sono diventati 611.000 (+60,1%). Rispetto al totale delle persone in cerca di occupazione sono passati dal 25,2% al 22,3%. In particolare le ragazze erano il 46,3% dei giovani alla ricerca di un lavoro e sono scese al 43,4%: tra il 2007 erano 176.000 e sono arrivate a 265.000 (+50,6%). Più marcato l’aumento dei maschi senza un lavoro: erano 204.000 prima della crisi e sono diventati 345.000, con un incremento del 69,1 per cento.

LETTA FA IL SUO DISCORSETTO E CORRE SUBITO

Governo, Letta fa il suo discorsetto alla Camera e corre subito a Berlino e Parigi per il via libera

Europa, giovani, responsabilita', unita'. E non potevano mancare le riforme, nello schema del ricatto di “Re Giorgio”: tempo diciotto mesi o andiamo tutti a casa. E giù applausi: ben 33 in 50 minuti di intervento.
A sentire il discorso programmatico che oggi il presidente del Consiglio Enrico Letta ha tenuto alla Camera si tocca con mano l’arroganza del potere. Un potere senza maggioranza e nemmeno senza opposizione, e segnato dalla cooptazione pura da parte del "reggitore unico". Letta si permette il lusso della girandola delle parole senza una vera identità politica che non sia quella del refrain “lo vuole l’Europa”. Un discorso praticamente inutile che ha sbandierato cose prive di senso come un’”Italia nuova, piu' solidale e proiettata sui giovani e sull'integrazione dei nuovi italiani”. Filo conduttore l''unita'', che come la trama di un tessuto deve tenere insieme il paese ma anche le forze di governo.
Non sono mancati i numerosissimi passaggi sull'Europa “stella polare” per il nostro paese. Non appena ricevuta la fiducia, udite udite, ''gia' da domani sera, e poi mercoledi' e giovedi' - ha fatto sapere il premier - visitero' Bruxelles, Berlino e Parigi per dare il segno che il nostro governo è europeo e europeista. Se l'Europa fallisse - ha scandito - saremmo tutti perdenti sia nel Nord che nel Sud del Continente''. Forte anche il richiamo alla ''responsabilita''', soprattutto della politica di fronte al paese.
Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, “il governo Letta si presenta come il fedele esecutore delle direttive europee sull’austerità che stanno pesantemente aggravando la crisi. Non una parola contro il Fiscal Compact, non una parola sulla redistribuzione del reddito e non una indicazione su come trovare le risorse per le misure annunciate. La continuità con Monti è nei fatti totale. La vera notizia del discorso odierno è il patto di legislatura tra le forze politiche che compongono il governo, un patto costituente che cerca di espungere l’alternativa economica e sociale dall’ambito della politica italiana. Da parte nostra ci sarà una dura opposizione che partirà dal paese, a cominciare dalla manifestazione indetta dalla Fiom per il 18 maggio prossimo”. Parole poco tenere anche dall’M5S. "Manca solo la pace nel mondo, per il resto c'e' tutto...", dice Riccardo Nuti, vicecapogruppo alla Camera."Il problema - aggiunge - e' quel che si fa, non quel che si dice. I fatti parlano chiaro". "Sulla province ad esempio - incalza – loro dicono che vogliono abolirle, ma poi continuano a candidarsi; i rimborsi elettorali? Se sono d'accordo con noi, perche' continuano a prenderli? Basta non farlo e il problema e' risolto. La questione e' passare dalle parole ai fatti. La politica ha perso credibilita' proprio perche' si e' limitata alle parole, e noi perche' dovremmo iniziare a credergli da oggi? Non vedo cosa e' cambiato", conclude.
Rincara la dose Andrea Colletti, che nel suo intervento dallo scranno accusa il governo di essere ''una mano di vernice su un muro irrimediabilmente rovinato dalla muffa'' e poi attacca la scelta di Alfano al ministero dell'Interno richiamando la ''trattativa Stato mafia e il bavaglio alla magistratura'' e il rapporto di parentela tra Enrico Letta e lo zio Gianni, esempio di ''intreccio familistico''. Parole che generano il caos.

LEGGE PER PROVOCARE ARTIFICIALMENTE LA PIOGGIA

Legge per provocare artificialmente la pioggia 

 

In data odierna, 1 marzo 2013 Il presente documento ha valore ufficiale.
Capitolo P-43
1. Nella presente legge, le seguenti parole significano:
 a) «pioggia»: qualsiasi precipitazione di acqua proveniente dall’atmosfera nella forma di precipitazioni solide o liquide;
 b) «ministro»: il ministro per lo Sviluppo sostenibile, l’Ambiente e il Verde pubblico
1970, c. 28, a. 1; 1979, c. 49, a. 22; 1994, c. 17, a. 75; 1999, c. 36, a. 158; 2006, c. 3, a. 35.
2. Nessuno può provocare artificialmente la pioggia su un territorio dato se non sia stato preventivamente dichiarato abilitato a farlo dal governo che agisce su raccomandazione del ministro.
1970, c. 28, a. 2.
3. Ai sensi della presente legge si intende che qualcuno provoca artificialmente la pioggia se ne provoca, o tenta di provocarne, la precipitazione artificiale.
1970, c. 28, a. 3.
4. Chiunque desideri essere abilitato a provocare artificialmente la pioggia deve farne domanda al ministro nelle forme prescritte dalle norme e giustificare la detenzione delle qualità e delle condizioni richieste dai regolamenti.
1970, c. 28, a. 4.
5. Se il governo dichiara qualcuno abilitato a provocare artificialmente la pioggia, il ministro gli rilascia un certificato a tal fine.
1970, c. 28, a. 5.
6. Il ministro notifica direttamente sulla Gazzetta ufficiale del Quebec il rilascio del certificato.
1970, c. 28, a. 6.
7. Chiunque detenga un certificato di cui sopra all’articolo 5 non può intraprendere atti destinati a provocare artificialmente la pioggia senza esserne specificatamente autorizzato dal ministro.
1970, c. 28, a. 7.
8. Non può inoltrare domanda di autorizzazione al ministro il richiedente che non abbia pubblicato almeno due volte nella stessa settimana, in date diverse, su un quotidiano di lingua francese e uno di lingua inglese diffuso sul territorio in cui deve avvenire l’operazione, un avviso che dichiari:
 a) il fatto che sarà inoltrata domanda di autorizzazione al ministro alla fine della settimana in cui è stato pubblicato l’avviso;
 b) il periodo durante il quale avverrà l’operazione;
 c) il territorio in cui avverrà;
 d) il metodo che sarà impiegato per l’operazione
Se è fatto assodato per il ministro che non circola alcun quotidiano sul territorio in cui è prevista l’operazione, egli può prescrivere un’altra modalità di comunicazione.
1970, c. 28, a. 8.
9. L’operazione non può iniziare prima che la persona autorizzata non abbia pubblicato l’autorizzazione del ministro sulla Gazzetta ufficiale del Quebec
1970, c. 28, a. 9.
10. Il governo può, se lo ritiene urgente, esonerare di pubblicare quanto previsto agli articoli 8 e 9.
1970, c. 28, a. 10.
11. Il governo può, tramite regolamenti:
 a) determinare le qualità richieste di chiunque desideri essere dichiarato abilitato a provocare artificialmente la pioggia, le condizioni da rispettare, le relazioni da presentare e i bolli da pagare;
 b) determinare la forma della domanda del certificato di cui all’art. 5, la forma, il merito e la durata di detto certificato e le condizioni del suo rinnovo;
 c) su riserva dell’articolo 13, indicare i casi in cui un certificato possa essere abrogato.
1970, c. 28, a. 11.
12. I regolamenti entrano in vigore alla data della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del Quebec o a qualsiasi altra data indicata su detta pubblicazione.
1970, c. 28, a. 12.
13. Chiunque abbia infranto una delle disposizioni della presente legge o dei regolamenti compie una infrazione ed è passibile di multa compresa tra i 200 $ e i 1 000 $ se si tratta di una persona fisica e di multa di minimo 500 $ e di massimo 5 000 $ se si tratta di una persona giuridica.
La condanna comporta la revoca del certificato che non è più rinnovabile in questo caso.
1970, c. 28, a. 13; 1990, c. 4, a. 723; 1999, c. 40, a. 237.
14. Qualora una persona giuridica compia un’infrazione alla presente legge o a un regolamento, qualsiasi funzionario, amministratore, impiegato o agente di detta persona giuridica che abbia prescritto o autorizzato l’infrazione o che vi abbia dato l’assenso, il consenso o la sua partecipazione, è considerato come parte all’infrazione ed è passibile della stessa pena prevista per la persona giuridica, quand’anche quest’ultima non sia perseguita o dichiarata colpevole.
1970, c. 28, a. 14; 1999, c. 40, a. 237.
15. (Abrogato)
1970, c. 28, a. 15; 1992, c. 61, a. 490.
16. (Articolo nullo dal 17 aprile 1987).
1982, c. 21, a. 1; R.-U., 1982, c. 11, ann. B, parte I, a. 33.
ALLEGATO ABROGATIVO
Ai sensi dell’articolo 17 della Legge di rifusione delle leggi (capitolo R-3), il capitolo 28 delle leggi del 1970, entrate in vigore il 31 dicembre 1977, eccetto l’articolo 16, è abrogato a partire dall’entrata in vigore del capitolo P-43 delle Leggi riformulate.

 

MACCHE CRISI L'ITALIA SALE TRA I 10 GRANDI DELLA

Macchè Crisi, l’Italia sale tra i «10 Grandi» della Spesa Militare 

Macché crisi! Nel 2012 l’Italia è salita al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, rispetto all’undicesimo nel 2011. Lo documenta il Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, che ha pubblicato ieri gli ultimi dati sulla spesa militare mondiale. Quella italiana ammonta su base annua a circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero. Mentre mancano i fondi anche per pagare la cassa integrazione.
Usa/Nato sempre in testa
A fare da locomotiva della spesa militare mondiale, salita nel 2012 a 1753 miliardi di dollari, sono ancora gli Stati uniti, con 682 miliardi, equivalenti a circa il 40% del totale mondiale. Compresi gli alleati, la spesa militare Nato ammonta a oltre 1000 miliardi annui,  equivalenti al 57% del totale mondiale.
Tra i «G-10» – Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, Giappone, Francia, Arabia Saudita, India, Germania, Italia – la cui spesa militare equivale ai tre quarti di quella mondiale, gli Stati uniti spendono più degli altri nove messi insieme. Nella presentazione del budget del Pentagono si ribadisce che gli Usa posseggono «le forze armate meglio addestrate, meglio dirette e meglio equipaggiate che siano mai state costruite nella storia» e che sono decisi a mantenere tale primato.
Obiettivo del Pentagono è rendere le forze Usa più agili, più flessibili e pronte ad essere dispiegate ancora più rapidamente. La riduzione delle forze terrestri si inquadra nella nuova strategia, testata con la guerra di Libia: usare la schiacciante superiorità aerea e navale Usa e far assumere il peso maggiore agli alleati. Ma non per questo le guerre costano meno: i fondi necessari vengono autorizzati dal Congresso di volta in volta, aggiungendoli al bilancio del Pentagono.
L’annunciato taglio del budget militare Usa di 45 miliardi annui nel prossimo decennio è quindi tutto da vedere. Va inoltre considerato che, oltre al budget del Pentagono, vi sono nella spesa federale altre voci di carattere militare – tra cui 140 miliardi annui per i militari a riposo, 53 per il «programma nazionale di intelligence»,  60 per la  «sicurezza della patria» – che portano la spesa reale Usa a oltre 900 miliardi, ossia a più della metà  di quella mondiale.
La rincorsa degli altri
La strategia Usa punta ad accrescere la spesa militare degli alleati, sia interni che esterni alla Nato, anche perché è l’industria bellica statunitense a fornire loro la maggior parte degli armamenti. I risultati non mancano: la spesa militare dell’Europa orientale è aumentata nel 2012 di oltre il 15% rispetto all’anno precedente. La Polonia aggiungerà al budget militare, in dieci anni, 33,6 miliardi di euro per potenziare le forze armate realizzando (con tecnologie importate dagli Usa) un proprio «scudo missilistico» nel quadro di quello Usa/Nato.
In forte aumento anche la spesa militare degli alleati mediorientali, cresciuta in un anno di oltre l’8%: in testa l’Oman con il 51% di aumento e l’Arabia saudita con il 12%. In forte crescita anche quella del Nordafrica, aumentata del 7,8%. In America latina, è in testa il Paraguay con un aumento annuo del 51%, mentre la spesa militare del Messico è cresciuta di circa il 10%.
Nelle stime del Sipri, la Cina resta al secondo posto mondiale, con una spesa stimata nel 2012 in 166 miliardi di dollari, equivalenti al 9,5% di quella mondiale. Ma il suo ritmo di crescita (175% nel 2003-2012) è maggiore rispetto a quello degli altri paesi. Tale accelerazione è dovuta fondamentalmente al fatto che gli Usa stanno attuando una politica di «contenimento» della Cina, spostando sempre più il centro focale della loro strategia nella regione Asia/Pacifico. In rapido aumento anche la spesa della Russia, che con 90 miliardi di dollari si piazza al terzo posto mondiale.
Il coro di quanti hanno accolto i dati del Sipri inneggiando ai «tagli» della spesa militare statunitense e al «crollo» di quella italiana è un grottesco tentativo di nascondere la realtà: il fatto che si gettano nel pozzo senza fondo della spesa militare enormi risorse che invece che usate per risolvere i problemi vitali servono a preparare nuove guerre aggravando la condizione di povertà in cui è regalata meta della popolazione Mondiale