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domenica 2 giugno 2013

SOLDI AI PARTITI DAI CITTADINI SUL 730 E LA PRAIVACY ??

soldi ai partiti dai cittadini sul 730 e la privacy? 

2xmille ai partiti. Elezione diretta del Capo dello Stato e lavoro tra una cinquantina di anni, se tutto fila liscio e la banda bassotti sta dietro le sbarre.
Certo, a più di qualcuno queste ultime furbate non stanno bene e gli roderà sapere che lo Stato fa il duro con i deboli e il buonista con chi governa.
Letta è come il prete all'altare che predica il bene, l'amore e poi si fotte i soldi della questua.
Senza contare che la geniale idea del 2x1000 lede la segretezza dell'urna, perché apporre una croce sul 730 a favore di un partito significa manifestare apertamente l'intenzione del voto che è segreto!, anche Letta continua a mungere i cittadini senza porsi alcun problema.
Però, come sono furbi questi gestori della Patria!
Per tagliare pensioni e congelare i diritti acquisiti dai lavoratori non c'è voluto granché ma per tagliare la mazzetta ai partiti le stanno provando tutte.
Ma li capisco. Eccome se li capisco! Come fa un partito che si definisce dei lavoratori e di sinistra a licenziare 180 dipendenti? E i diritti dei lavoratori, dove li mettiamo?
Il Presidente Giorgio Napolitano ha ragione: l'Italia è determinata a superare la crisi. L'Italia, appunto! Ma certo non i suoi rappresentanti che continuano a giocare sulla pelle dei cittadini.

GRILLO GIORNALISTI OMERTOSI GLI FAREMO UN CU...COSI'

Grillo: "giornalisti omertosi, gli faremo un c... cosi'" 

Non solo la Rai. Grillo lancia i suoi strali anche contro La7 colpevole di "stare preconfenzionando un servizio ad hoc contro di me, anche contro di noi. Tornino tra la gente, parlino di cose concrete, dicano la verita'. Non siamo noi a dovere andare in televisione. Comunque, abbiamo persone preparate che andranno in televisione". Del resto, prosegue, "gli altri non hanno nulla da dire. Guardate Berlusconi: e' un uomo malato, e' giallo, e' polvere... basta parlare con lui". I mezzi di informazione, piuttosto, "dicano che mentre gli altri discutono di come gestire i soldi, noi abbiamo deciso di non gestirli, li abbiamo dati indietro. Siamo nati il 4 ottobre di tre anni fa e siamo i primi francescani d'Italia, prima del Papa. Siamo giovani e stiamo crescendo, non si possono paragonare le politiche con le elezioni amministrative".
GRILLO: "GIORNALISTI RAI PAGHERANNO PER LA LORO OMERTA'"
"Molti giornalisti della Rai dovranno in futuro rendere conto della loro omerta', dei loro attacchi telecomandati, dei loro silenzi". Lo scrive Beppe Grillo sul suo blog tornando ad attaccare il servizio pubblico: "Rai1, Rai2 e Rai3 sono occupate dai partiti. Non e' una notizia. Non e' una novita'.
  Il vero scandalo e' che questo non da' piu' scandalo. Si da' ormai per scontato che plotoni di addetti stampa raccontino le balle dei partiti senza vergogna pagati dal canone, dalla pubblicita' e dalle tasse". Ma se i giornalisti, per Grillo, sono complici di una lottizzazione "peggiore di quella socialista", i vertici rai hanno la responsabilita' aver fatto perdere al servizio pubblico "200 milioni di euro nel 2012. Il direttore generale Gubitosi e la presidente Tarantola - osserva il comico genovese - rimangono imperterriti ai loro posti e dai consiglieri di amministrazione non un fiato. Cosa fanno dalla mattina alla sera questi signori ben pagati dagli italiani?".
  Per Grillo si e' di fronte a "una Rai lottizzata. Un non luogo dell'informazione che fa rimpiangere persino l'era socialista, quando di tre assunti uno era democristiano, l'altro socialista e il terzo bravo. Ora il terzo viene spartito tra Sel e Lega.
  Quando c'e' un colpo di Stato, la prima cosa messa in atto e' il controllo dei mezzi di informazione. Il cittadino pero', mentre avviene, ne e' consapevole. Sa che, da quel momento, la dittatura usera' la televisione per legittimare se' stessa e si comporta di conseguenza. I sovietici leggevano la Pravda, ma non le credevano. Gli italiani guardano la televisione e le credono. Non hanno anticorpi, pensano di vivere in una democrazia", conclude il leader del Movimento Cinque Stelle. 
GRILLO, PRESIDENZA VIGILANZA A M5S AL PIU' PRESTO
"O ci verra' affidata la presidenza della Rai al piu' presto, sono gia' passati tre mesi dalle elezioni, o ne trarremo le conseguenze". Lo scrive Beppe Grillo sul suo blog spiegando che "tre commissioni sono ancora senza presidente: Giunta per le elezioni (bloccata in attesa di una persona gradita a Berlusconi), Copasir e Vigilanza Rai. Le presidenze di norma vengono assegnate all'opposizione. L'unica presente in Parlamento e' il M5S. Fratelli d'Italia, Sel e Lega si sono coalizzate con pdl e pdmenoelle e in seguito si sono scisse come un'ameba per mettersi la maschera da finta opposizione.
  L'ennesima beffa di questa legislatura. Ora, il M5S e' stufo di prendere schiaffi e di essere, allo stesso tempo, preso per il culo dalla Rai"
GRILLO, RODOTA'? DI LUI NON MI FIDO PIU'
"Rodota'? Non ce l'ho con lui, ma vuole fare una sinistra insieme agli arancioni, ai rossi e ai Sel. Ecco perche' sono contro di lui. Noi siamo sopra tutto questo. E, poi, non mi ha mai dato un consiglio. Perche' non mi telefonava e non mi diceva 'Beppe stai facendo una cazzata'. Non mi fido piu'. Non mi fido di quelli che parlano attraverso i giornali". Lo ha detto Beppe Grillo, parlando a Mascalucia, in provincia di Catania, dove ha aperto il suo tour siciliano in vista delle elezioni del 9 e 10 giugno.

ALITALIA 2 MILA CONTRATTI SOLIDARIETÀ TAGLI DIRIGENTI

Alitalia: 2mila contratti solidarietà, tagli dirigenti. Schisano resta al sicuro 

ROMA - Nuovi tagli in casa Alitalia: il nuovo piano industriale prevede infatti contratti di solidarietà di due anni per duemila dipendenti, una sforbiciata alle spese, e il licenziamento di alcuni di dirigenti di prima fascia. L’amministratore delegato Gabriele Del Torchio, chiede ancora sacrifici. Secondo il quotidiano la Repubblica,i sindacati starebbero valutando la proposta e già lunedì potrebbero siglare un’intesa.
“Per ora – scrive Repubblica – il gruppo rinuncia alla cassa integrazione per 600 persone, soluzione che aleggiava da oltre un anno su Fiumicino, in cambio di questa proposta più morbida”.

I duemila dipendenti a cui il piano chiede sacrifici sono per lo più personale di terra: si parla di una riduzione pari a cinque giorni al mese, principalmente degli uffici di Roma, che corrisponde ad una diminuzione di circa 65 euro in media.
Se l’accordo dovesse andare in porto, l’azienda risparmierà 21 milioni di euro l’anno. Nel nuovo piano industriale lacrime e sangue sono previste anche chiusure delle basi sparse per l’Italia che Rocco Sabelli aveva aperto negli anni scorsi, mini hub che non hanno portato alcun guadagno. Tagli infine agli stipendi dei dirigenti, circa il 10%, e dello stesso amministratore delegato, meno 20%.
Saltano anche le poltrone di alcuni manager, l’unico che sembra restare al sicuro è Giancarlo Schisano, quello che sbianchettò l’ala dell’aereo romeno incidentato, rimuovendo il logo Alitalia. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo già 20 su 70 dirigenti hanno lasciato la compagnia di volo.
Scrive Repubblica che Del Torchio vuole puntare sui giovani:
tariffe stracciate per l’Italia (45 euro a tratta) e l’Europa (50 euro), e ad una messa a punto e rafforzamento degli orari nello scalo principale di Fiumicino che saranno spostati per favorire le coincidenze con altri voli. Previste inoltre nuove aperture di rotte internazionali e intercontinentali.

LA PROPAGANDA BERLUSCONI OPS INTENDEVO DIRE LETTA

La propaganda del governo Berlusconi. Oops… intendevo dire Letta 

Il governo Letta ha annunciato un programma ambizioso... ma al momento sembra impigliato nella rete propagandistica di Berlusconi. 

Io sono uno di quelli dolorosamente convinti della necessità del governo Letta. So che molti lettori di basta casta Italia hanno idee diverse; le mie le ho spiegate qui, se vi interessano, ma non è più molto importante perché i continui ricatti del PDL stanno rapidamente mutando il parere mio e di molti altri. Dal giorno del giuramento (28 Aprile) è in effetti passato solo un mese o poco più, ma mi pare che l’inizio non sia entusiasmante.All’inizio siamo stati coinvolti dal dibattito sull’IMU, rispetto al quale tutti gli esponenti della destra tuonavano, quotidianamente, “o si abolisce o cade il governo!”. Lasciamo perdere che le tasse non ci piacciono, che già viviamo un’insopportabile carico fiscale e che ci sono indubbiamente dei casi (una minoranza) in cui l’IMU diventa un carico ingiusto (anziani con piccoli redditi, proprietari di vecchie case…); l’IMU è una tassa come ce n’è di analoghe in tutto l’occidente, è una piccolissima patrimoniale (che può – e dovrebbe – essere rivisitata anche con l’aggiornamento dei catasti, sì, certo…) ma che rappresenta una ridicolaggine sotto l’aspetto complessivo, se orientato da una visione globale, del nostro sistema fiscale. Chi avesse dei dubbi su queste mie affermazioni può leggere qui una più approfondita argomentazione un’infografica piuttosto esplicativa. Abolire l’IMU (per ora è stata solo rinviata) risolve pochi problemi della gente, non reimmetterà sul mercato liquidità, creerà problemi al governo per il reperimento necessario di analoghe risorse e serve solo a una cosa: rispettare una promessa elettorale di Berlusconi alla quale, vergognosamente, si erano poi accodati tutti (compreso il rigorosissimo Monti).
Adesso ci vogliono buttare nel tritacarne del presidenzialismo. Sono di oggi le entusiastiche forzature di Alfano su alcune timide (e inopportune) aperture di Letta, e giù il prossimo mese – ci scommettete? – tutti a parlare di presidenzialismo. Che è un’altra fissazione di Berlusconi, sempre avuta, forse spera di farsi eleggere dal “suo popolo” alla massima carica… Ma stiamo scherzando? La Costituzione è un meccanismo delicato, pensato come sistema coerente in cui non si può malamente ficcare dentro in presidenzialismo come se non avesse conseguenze gravi sull’intero sistema repubblicano. Pare che gli unici a capirlo siano gli intellettuali di Libertà e Giustizia (Rodotà, Zagrebelsky…) che stanno disperatamente lanciando appelli e proponendo manifestazioni all’insegna dello slogan “Non è cosa vostra” (ovvero di voi scalzacani parlamentari).Intanto il mondo intorno cade a pezzi. Nessuno sembra occuparsi di esodati, di giovani disperati, di aziende che chiudono, di ricerca che non si fa… Cioè: tutti ne parlano nei talk show e nei comunicati, ma senza che apparentemente nulla accada. Ho scritto ‘apparentemente’ perché spero sempre che ci sia un bellissimo trucco che io ignoro: che cioè stiano lavorando proprio a questi problemi e che fra settimane – che dico? giorni – arrivi a sorpresa l’annuncio della soluzione dei nostri veri problemi. E che si smetta di inseguire l’agenda propagandistica e demagogica di Berlusconi.

PAKISTAN I DRONI DI OBAMA

Pakistan: i droni di Obama 


Nella primissima mattinata di mercoledì, gli Stati Uniti hanno lanciato un bombardamento in una località del Waziristan del Nord che ha assassinato il numero due dei talebani attivi nel paese centro-asiatico e almeno altre quattro persone. L’operazione condotta dalla CIA, che ha interrotto un periodo relativamente lungo senza incursioni di droni in territorio pakistano, rappresenta con ogni probabilità un messaggio lanciato da Washington al Primo Ministro entrante, Nawaz Sharif, e contraddice la promessa fatta la settimana scorsa dal presidente Obama di porre un freno alla valanga di eccessi e illegalità messe in atto in oltre un decennio di “guerra al terrore”.
La vittima più illustre del blitz americano di questa settimana è Wali ur-Rehman, il secondo in comando della coalizione di gruppi militanti integralisti Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), più comunemente conosciuti come Talebani Pakistani, operanti nelle Aree Tribali al confine con l’Afghanistan.
Secondo le testimonianze riportate dai media occidentali, attorno alle tre del mattino di mercoledì alcuni missili sono caduti su un’abitazione alla periferia di Miranshah, la principale città del Waziristan del Nord, uccidendo, oltre a Rehman, due jihadisti uzbeki e ferendo almeno tre bambini.
La morte di Rehman è stata inizialmente confermata dalle autorità pakistane e solo giovedì dal portavoce ufficiale di TTP, Ehsanullah Ehsan. Sulla testa di Rehman era stata messa una taglia di 5 milioni di dollari dagli Stati Uniti, i quali lo accusavano di avere organizzato svariati attacchi contro le forze di occupazione americane in Afghanistan e di essere coinvolto nell’attentato suicida commesso da un doppio agente giordano nel dicembre 2009 che uccise sette dipendenti della CIA in una base della provincia di Khost, al confine con il Pakistan.
Soprattutto, però, Rehman era considerato relativamente moderato rispetto al leader dei Talebani Pakistani e suo diretto superiore, Hakimullah Mehsud. La sua morte, perciò, potrebbe rendere ancora più improbabile l’avvio di un già complicatissimo processo di riconciliazione con il governo civile di Islamabad.
Nei commenti pubblicati in questi giorni dai giornali americani, Rehman viene definito come un militante in grado di risolvere pacificamente le dispute tra le varie fazioni jihadiste, nonché contrario agli attacchi indiscriminati contro i civili spesso portati a termine dai Talebani. Inoltre, lo stesso comandante sembrava avere legami con svariati partiti religiosi pakistani che si erano offerti di mediare tra il governo e i Talebani.
Una qualche speranza di trovare un’intesa per far diminuire il livello di violenza in Pakistan era emersa in seguito al successo nelle elezioni dell’11 maggio scorso della Lega Musulmana del Pakistan-N (PML-N) di Nawaz Sharif, il quale in campagna elettorale aveva più volte criticato l’uso dei droni nel proprio paese da parte degli Stati Uniti e lasciato intravedere la volontà di aprire un dialogo proprio con Tehrik-i-Taliban.
All’inizio della scorsa settimana, ad esempio, il premier in pectore aveva ribadito pubblicamente la necessità di perseguire un processo di pace “per il progresso e lo sviluppo del paese”, aggiungendo che il suo governo si adopererà per “il dialogo, rispondendo all’offerta di pace dei Talebani”.
In una dichiarazione rilasciata giovedì al quotidiano pakistano The Express Tribune, il portavoce di TTP ha però inevitabilmente annunciato che la sua organizzazione intende ritirare l’offerta di dialogo fatta al nuovo governo. Ehsan, inoltre, ha attribuito l’intera responsabilità degli attacchi con i droni nelle Aree Tribali all’esecutivo di Islamabad, colpevole di passare agli americani informazioni cruciali per localizzare i militanti.
L’assassinio di Rehman da parte degli americani, perciò, sembra assestare un colpo mortale alle già esili prospettive di pace che avrebbero potuto teoricamente determinare una limitazione delle attività “anti-terroristiche” americane in territorio pakistano.
Dal momento che Nawaz sta per ultimare le trattative attorno alla formazione del suo prossimo governo, l’incursione con i droni della CIA di mercoledì può dunque essere considerata come un messaggio preliminare lanciato da Washington a Islamabad a non abbassare la guardia nella lotta all’integralismo islamico in Pakistan, ovvero a non deviare dalla strada percorsa dal precedente gabinetto, fedele esecutore delle politiche statunitensi nonostante la diffusa ostilità della popolazione.
Il ritorno dei droni nei cieli del Pakistan questa settimana, come anticipato in precedenza, giunge poi a pochi giorni di distanza da un importante quanto contraddittorio discorso tenuto da Obama presso la National Defense University di Washington. Nel suo intervento di giovedì scorso, l’inquilino della Casa Bianca aveva in sostanza ammesso la totale illegalità dei metodi più discussi utilizzati dagli Stati Uniti, compresa la sua amministrazione, nell’ambito della “guerra al terrore”.
Esprimendo le inquietudini di alcune sezioni della classe dirigente d’oltreoceano, preoccupate per il venir meno della legittimità di un sistema di potere che ha ormai istituzionalizzato il ricorso a metodi di governo profondamente antidemocratici, Obama si era perciò impegnato a modificare, tra l’altro, la gestione del programma “anti-terrorismo” basato sull’impiego dei droni.
In particolare, il presidente democratico aveva annunciato una revisione di questo stesso programma, così da renderlo più trasparente, sottraendolo in alcuni casi alla CIA - incaricata delle incursioni in Pakistan - per assegnarne la completa responsabilità al Dipartimento della Difesa.
Sia pure limitata e del tutto inadeguata a mettere fine ad un programma palesemente illegale, questa presunta svolta prospettata da Obama è apparsa da subito poco più che una farsa. Infatti, come ha spiegato giovedì il New York Times, “fin dai giorni successivi al discorso del presidente, membri della sua amministrazione hanno chiarito dietro le quinte che i nuovi standard [per la gestione della campagna con i droni] non sarebbero stati applicati al programma condotto dalla CIA in Pakistan”, almeno “fino a quando le truppe americane rimarranno in Afghanistan”.
Questa eccezione per “il teatro di guerra afgano” - all’interno del quale, per gli USA, rientra anche il Pakistan - è stata alla fine confermata dall’incursione di mercoledì che ha eliminato il numero due dei Talebani Pakistani.
Nonostante le promesse di maggiore trasparenza e l’affermazione inequivocabile fatta da Obama circa l’incompatibilità con la democrazia degli assassini con i droni, gli Stati Uniti hanno così già chiarito che questa campagna di morte illegale nel territorio di un paese sovrano continuerà ancora a lungo.
Secondo alcune stime, la CIA ha condotto più di 360 attacchi con i droni in Pakistan a partire dal 2004, uccidendo migliaia di civili innocenti, considerati nient’altro che “danni collaterali” di assassini mirati di semplici militanti o, in misura decisamente minore, di esponenti di spicco delle formazioni jihadiste attive al confine con l’Afghanistan.
Come ha messo in luce un rapporto di qualche mese fa delle università di New York e Stanford, la campagna con i droni in Pakistan non causa soltanto un numero altissimo di morti tra i civili ma ha ormai trasformato la vita dei residenti delle zone colpite in un vero e proprio incubo. Qui, infatti, adulti e bambini vivono in uno stato di perenne terrore, con “la consapevolezza di essere totalmente indifesi” di fronte ad un attacco dal cielo che potrebbe giungere in qualsiasi momento.

FINANZIAMENTI COLLATERALI

Finanziamenti collaterali  

Da venerdì scorso la legge per tagliare il finanziamento pubblico ai partiti esiste, ora si tratta di approvarla in Parlamento. Il percorso probabilmente non sarà dei più semplici e qualche modifica al testo varato dal Consiglio dei ministri è addirittura probabile. Al momento, comunque, si punta ad abolire i finanziamenti gradualmente fra l'anno prossimo e il 2017, sostituendoli a poco a poco con i contributi dei privati, che godranno di sgravi fiscali variabili a seconda della donazione (del 52% fra i 50 e i 5 mila euro e del 26% fino a un massimo di 20 mila euro), ma a partire dal 2016.
Dalla stessa data, inoltre, sarà possibile destinare il due per mille nella dichiarazione dei redditi ai partiti (per chi non vuole, allo Stato), che potranno anche usufruire di spazi e servizi gratuiti o scontati.
Ma prima ancora di entrare nel merito delle misure proposte e delle possibili correzioni, sorgono un paio di dubbi. Primo: era davvero questo uno dei primi interventi da mettere in cantiere con il "governo di servizio" guidato da Enrico Letta? Secondo: non c'è il rischio che la riforma consenta ai partiti maggiori di incassare lo stesso, danneggiando invece le formazioni minori o alternative?
In molti fanno notare che l'anomalia italiana non riguarda i finanziamenti in sé. Anzi, a livello puramente teorico, che lo Stato garantisca sostegno finanziario a chi si impegna in attività politiche è perfino un principio democratico, altrimenti questo diritto sarebbe esercitabile soltanto da chi può permetterselo. Uomini come Silvio Berlusconi, che vent'anni fa fondò in pochi mesi un partito personale, o semplicemente le forze politiche più ramificate e influenti, quelle in grado di ottenere un cospicuo appoggio non solo dai portafogli dei militanti, ma anche dalla pletora di lobby interessate a distribuire favori per poi riceverne. E' evidente che se un gruppo di cittadini qualsiasi decidesse di formare un nuovo partito contando solo sulle donazioni private avrebbe ben poche possibilità di successo.
Certo, la situazione attuale non è sostenibile. Ma il vero problema è altrove: ossia nella quantità dei fondi che sono stati distribuiti finora e soprattutto nelle modalità di assegnazione. Il punto è che nessun Lusi deve più comprarsi casa con i soldi pubblici, nessun Belsito deve più sgraffignare diamanti con i fondi che avrebbe dovuto dare alle sezioni.
Fin qui sono mancati i controlli e le rendicontazioni, anche perché la prassi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è sempre stata viziata a monte: le risorse destinate ai partiti avrebbero dovuto essere dei rimborsi sulla base di spese certificate, invece erano di fatto dei finanziamenti (una pratica contro cui, peraltro, gli italiani avevano espresso il proprio dissenso via referendum ormai un paio di decenni fa). Ora la certificazione dei bilanci diventa obbligatoria, ed è questo il passo avanti più importante.
Il secondo tema riguarda l'uguaglianza di trattamento garantita alle forze in campo. Il ddl approvato dal Consiglio dei Ministri prevede che per accedere a tutti i benefici previsti i partiti debbano avere uno statuto che preveda "requisiti minimi idonei a garantire la democrazia interna". Al di là della vaghezza di una simile formulazione (chi giudicherà questi "requisiti minimi"?) è inevitabile leggere nella postilla una chiara (e goffa) volontà di marginalizzare il Movimento 5 Stelle, che infatti ha già gridato allo scandalo.
Senza statuto non si potrà usufruire nemmeno della manna dal cielo prevista nel comma 2 dell'articolo 4 a proposito di quel famoso due per mille: "In caso di scelte non espresse - si legge nel testo - la quota di risorse disponibili, nei limiti di cui al comma 4, è destinata ai partiti ovvero all’erario in proporzione alle scelte espresse". Il limite è di 61 milioni di euro e dovrebbe essere facilmente raggiungibile anche se la maggior parte dei contribuenti decidesse di devolvere i soldi allo Stato. Sembrerebbe poca cosa, se paragonata ai 160 milioni che i partiti si sono spartiti dopo le ultime elezioni. Peccato che, a quanto pare, i "limiti di cui al comma 4" facciano riferimento a una quota da incassare ogni anno.

RITORNO AL PASSATO LA CHICCHA DELLA GIORNATA

Ritorno al passato 

La chicca della giornata, definita storica da quella gran parte di quotidiani nazionali che ancora godono di finanziamenti pubblici, ce l’ha regalata un insigne sindacalista della Cisl, tal G. Terracciano : “E’ meglio avere un lavoro, anche senza diritti, anche senza le giuste condizioni, ma l’importante è avere un lavoro”.
Nessuna sorpresa, quindi, che nella giornata “storica” di ieri si sia sancita, nell’incontro/accordo tra i tre confederali (Cgil, Cisl e Uil) e la loro cosiddetta controparte, Confindustria, la fine della democrazia sindacale, del diritto di sciopero e la cancellazione “normativa” di quelle sigle contrarie a quei contratti nazionali, causa principale della perdita di potere d’acquisto e di ogni strumento di difesa da parte dei lavoratori.
Non un passo indietro…bensì decenni di lotte e di rivendicazioni cancellate in una farsa durata poche ore e confermata proprio dalle “parole in libertà” dei solerti funzionari di queste organizzazioni.
Basta con quei lacci e lacciuoli che costringevano i “padroni” a rispettare quei diritti che la classe operaia si è conquistata con il sangue ed il sudore…ora siamo in una fase nuova…ci vuole l’unità delle forze produttive…ergo tu lavori per quattro soldi, per una pensione misera, per un lavoro che non ti da garanzie né sul presente né sul futuro…e l’occupazione crescerà…crescerà la domanda interna, cresceranno i consumatori…l’economia ripartirà e saremo tutti più felici e contenti…almeno quelli che resteranno vivi….la stessa litania già sentita quando introdussero la precarietà.
Peccato che, all’indomani della “storica” firma, la stessa Cgil pubblichi un’indagine sulla ripresa economica e parla di 60 anni di recessione e di un ritorno alla situazione pre-crisi solo nel 2070 ed oltre…chissà come saranno contenti gli schiavi dei prossimi 60 anni a sapere che il loro sacrificio forse non servirà neanche ai loro figli !
Già…lo dice anche il nostro presidente Napolitano, presentando i “festeggiamenti” del 2 giugno, festa della Repubblica…c’è bisogno di unità e sacrifici…quei sacrifici che faranno quei fessi che pagheranno i prodotti aumentati dall’iva per finanziare le ristrutturazioni delle case dei ricchi…o quegli idioti che preferiranno dare il loro contributo ad associazioni umanitarie e che avranno uno sgravio fiscale 6 volte inferiore a chi preferirà, di contro, darli ai partiti…al limite per riaverne in cambio qualche “vivo e vibrante” favore.
Le caste si blindano in un ritorno al peggior passato della nostra triste repubblica…blindano i loro privilegi, il loro potere e, con la scusa della crisi, tappano la bocca a quei milioni di italiani che li hanno bocciati nelle ultime elezioni, a quei milioni di lavoratori che non sono iscritti a nessun sindacato o hanno optato per quelli di base.
Di “storico” nella giornata di ieri c’è che la storia, quella con la “s” maiuscola, quella che è stata testimone di un paese in grado di rinascere dalle ceneri di una guerra devastante, è stata ancora una volta calpestata dagli interessi di quelle caste che hanno ridotto il nostro paese ad un’enorme tavola imbandita…alla quale la gente onesta non è invitata…se non per pagare il conto.

FINANZIAMENTO PUBBLICO PARTITI !ORA CONTRIBUTI VOLONTARI


FINANZIAMENTO PUBBLICO PARTITI / Finisce l'era del finanziamento pubblico ai partiti. Ora contributi volontari 


Si conclude l'era del finanziamento pubblico ai partiti, ultime notizie Roma - Finisce il sistema dei rimborsi ai partiti. Il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che introduce un nuovo sistema di finanziamento della politica basato sulle contribuzioni volontarie. Con la nuova legge sul finanziamento ai partiti "ci sara' un periodo transitorio, perche' esattamente legato alla transitorieta' con cui arriveranno i finanziamenti dei privati". A dirlo e' il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, al termine del Consiglio dei ministri.

Il ddl, spiega, e' l'"attuazione dei principi che avevamo approvato in Consiglio dei ministri, una completa e assoluta rivisitazione del finanziamento dei partiti, dove non ci sara' piu' il finanziamento pubblico ma il contributo da parte dei privati con agevolazioni fiscali". Il meccanismo di de'calage del finanziamento, a quanto si apprende, prevede una riduzione progressiva in tre anni dal 60% del primo anno, al 50% del secondo anno e al 40% del terzo.

Sarebbe prevista inoltre una misura che incide sul cosiddetto 'inoptato'. Si tratta di una misura compensativa: entro un determinato stanziamento, i fondi non espressamente attribuiti dai privati attraverso l'opzione del due per mille, saranno distribuiti ai partiti proporzionalmente alle somme stanziate in via esplicita.

INTERVISTA A LANDINI CHE CHIEDE UNA LEGGE

Si comincia con l’accordo. Intervista a Landini, che chiede una legge 

Maurizio Landini promuove l’intesa raggiunta sulla rappresentanza. «Ma non risolve tutte le vertenze, ci vuole una legge»
«L’accordo sulla rappresentanza è positivo. Perché finalmente in un’intesa firmata sia dai sindacati che dalle imprese, si arriva a definire chi può fare i contratti e come debbano essere validati. E, fondamentale, si mette in mano ai lavoratori il mezzo di validazione». Il segretario Fiom Maurizio Landini accoglie con soddisfazione il nuovo patto siglato da Cgil, Cisl e Confindustria, ma non si nasconde che molti problemi rimangono aperti. «E resta comunque – aggiunge – la necessità di avere una legge».
Partiamo dagli elementi positivi, poi affronteremo i problemi.
Innanzitutto c’è un fattore di fondo: è importante che sia stato riconosciuto, in qualche modo, il valore delle nostre lotte per la democrazia. È un bene che non solo la Fiom e gli altri sindacati vogliano mettere fine all’epoca dei contratti separati, ma che lo pensi e lo voglia anche la Confindustria. Mi pare si sia rispettato il principio che più volte abbiamo detto di sostenere, ovvero che per la validazione di un contratto ci vuole la firma del 50% più 1 dei sindacati rappresentativi e una consultazione certificata dei lavoratori. Questo spinge finalmente verso la ricerca di una vera unità sindacale, fatta sui contenuti. Bene anche che si preveda l’elezione delle Rsu su base proporzionale, senza il terzo garantito.
Dei problemi, però, restano aperti. Quali secondo voi?
Innanzitutto non si risolve il problema della Fiat, a meno che l’azienda non voglia rientrare in Confindustria: ma non mi pare che ne abbia l’intenzione. E poi resta aperto il nodo del contratto separato con Federmeccanica, non essendo questo accordo retroattivo. Ma è importante che d’ora in poi vigeranno queste regole.
Però la Fiom sostiene che ci voglia comunque una legge.
Sì, e lo dice ad esempio il caso Fiat. Non sono ancora state realizzate, nonostante quest’ultimo accordo, l’agibilità e la libertà sindacale. E poi c’è l’estensione «erga omnes» dei contratti, che un accordo «privato» tra le parti come questo non può disporre. Ci sono tante aziende in Italia, come la stessa Fiat, non iscritte a nessuna associazione firmataria, come molti lavoratori non sono tesserati con il sindacato. Per comprendere queste realtà, ci vorrebbe una legge.
Tornando alla Confindustria, si è aperto un nuovo dialogo? È la crisi ad aver cambiato le cose? Il nuovo governo, le vostre lotte?
Riconosco a Giorgio Squinzi che il primo atto da lui compiuto è un accordo unitario e per regole democratiche. È stato coerente con le affermazioni fatte fin dall’inizio, ha sempre detto che voleva chiudere con gli accordi separati. Ma se si è arrivati a questo punto, è grazie anche alle nostre lotte. E non solo della Fiom: contratti separati sono stati firmati anche nel commercio, nel pubblico, tra i bancari.
E il nuovo governo?
Non credo possa intestarsi alcun merito per questo accordo, che è tutto sindacale. Ma che, attenzione, parla anche alla politica, perché risolve, almeno nel nostro campo, quella che è una crisi generale della rappresentanza. Il nuovo governo per ora ha solo parlato, vogliamo vedere le azioni concrete. Cancelli l’articolo 8, faccia una vera politica industriale e una legge per la rappresentanza. Induca le imprese a investire, perché su questo finora sono state parecchio assenti. La stessa Fiat neanche con il ministro Zanonato è stata chiara. Poi ci servono soluzioni per l’Ilva, la siderurgia e altri settori a rischio. Infine, il governo ci spieghi una cosa: perché non fa in modo che i 100 miliardi dei fondi pensione siano investiti su titoli e azioni italiani? Il 70%, per ora, va all’estero.
Il 2 giugno immagino che non sarete alla parata militare a Roma, ma in Piazza Santo Stefano a Bologna. Come mai?
No, in effetti non andrò alla parata di Roma. Sarò molto volentieri, invece, a Bologna. Innanzitutto perché gentilmente ci ha invitato Libertà e giustizia. E poi perché crediamo fermamente che la Costituzione non vada cambiata, ma che anzi debba essere pienamente realizzata per avere il cambiamento che tutti desideriamo: valorizzando il lavoro, la sanità e l’istruzione come beni comuni e pubblici.

CHE VERGOGNA PETIZIONE MARO' NEGLI USA NON QUI

Che vergogna, petizione pro marò Negli Usa, non qui 

La richiesta all'Onu è di "monitorare il processo" indiano a Latorre e Girone, ormai imminente, e "promuovere un arbitrato intrenazionale"Il 2 giugno sono gli italiani all'estero, che ci ricordano il valore simbolico, per la dignità nazionale, del caso marò con una petizione al segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki moon. La richiesta all'Onu è di «monitorare il processo» indiano a Massimiliano Latorre e Girone, ormai imminente, e «promuovere un arbitrato intrenazionale». I due fucilieri di Marina «non sono terroristi, ma militari che combattevano la pirateria». Parole semplici ed efficaci che non risuonano in Italia, la patria della raccolta di firme per qualsiasi fregnaccia, ma oltreoceano. Da New York, Giorgio Caruso, che ha fondato il gruppo «Italiani nel mondo - salviamo i nostri marò» ha lanciato la petizione raccolta dalle pagine facebook delle famiglie Latorre e Girone. Margaret, la madre americana di Caruso, che negli anni Cinquanta è stata giornalista del New York Times, lo ha aiutato a scrivere il testo. In America se fosse capitato lo stesso per due marines, il Paese si sarebbe mobilitato e le tv avrebbero trasmesso il sito dove firmare la petizione. In Italia poco o nulla nonostante la festa della Repubblica coincida con oltre 15 mesi di «odissea» indiana per i marò. Il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha invitato sul palco della parata ai Fori imperiali i familiari dei due fucilieri. Qualche ora prima li aveva chiamati a Delhi. L'ennesima, stucchevole telefonata dei governi italiani, che da un anno e mezzo promettono di risolvere il caso. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha chiesto «compostezza» e di «urlare» di meno. «Non so se dovrei bombardare l'India, rompere i rapporti commerciali, ritirare l'ambasciatore» ha aggiunto con una facile battuta. Forse dovrebbe solo rendersi conto, come il Giornale propone da tempo, che l'Italia è in grado di dimostrare un minimo di dignità nazionale ritirando per protesta le navi dalla flotta antipirateria al largo della Somalia. E se non bastasse scatenare un'analoga «rappresaglia» per le missioni in Libano ed in Afghanistan.