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martedì 19 aprile 2016

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'Ndrangheta a Verona: "Tosi ci dica cosa pensa dei rapporti tra Nicolis e la malavita""NDRANGHETA A VERONA ! TOSI ,CI DICA COSA PENSA DEI RAPPORTI TRA NICOLAS E LA MALAVITA


 'Ndrangheta a Verona: "Tosi ci dica cosa pensa dei rapporti tra Nicolis e la malavita"
Dopo la conferma tra i rapporti tra la Nico.fer e la malavita, il Partito Democratico chiede al Sindaco di Verona di esprimersi in merito alla questione, visti i suoi trascorsi con l'imprenditore 

 'Ndrangheta a Verona: "Tosi ci dica cosa pensa dei rapporti tra Nicolis e la malavita"

La conferma arrivata dal Consiglio di Stato su rapporti tra la Nico.fer e la 'Ndrangheta ha scatenato prima la reazione di Michele Croce, fondatore di Verona Pulita, e ora anche quella del Partito Democratico. 
In particolare i deputati Alessandro Naccarato e Vicenzo D'Arienzo, insieme al capogruppo Michele Bertucco, si rivolgono al sindaco Tosi, che prese le difese di Moreno Nicolis. 


È certo: la Nico.Fer, - che si occupa della lavorazione dell'acciaio per cemento armato - non potrà avere rapporti con pubbliche amministrazioni.
Nell'inchiesta «Aemilia» è entrato anche per una cena, svolta a casa sua, con Antonio Gualtieri, braccio destro e referente economico della 'ndrina di Grandi Aracri in Emilia Romagna.
Cena a cui parteciparono anche il sindaco Tosi e l'allora vicesindaco Vito Giacino. Stando alle accuse nient'altro che un tentativo di Gualtieri di «infiltrarsi» in grossi affari immobiliari nel veronese tra i quali la riqualificazione dell'area ex Tiberghien.
Un pericolo che in tanti hanno sottovalutato. Anzi, anche criticato. Tosi, ad esempio, ancora non ha chiesto scusa ai Carabinieri che ha più volte accusato di diffondere fango sulla città. Infatti, le informazioni diffuse sono contenute nei verbali di indagine dei Carabinieri.
La conferma dell'interdittiva è la migliore risposta che lo Stato può dare ed è la conferma dell’ottimo lavoro svolto dagli inquirenti e dal Prefetto di Verona che hanno ben interpretato il diffuso sentimento di contrasto alle infiltrazioni.
Su questi dubbi rapporti serve un focus. Non tutto è stato ancora chiarito.
Quando il Prefetto emise l'interdittiva antimafia il sindaco Tosi prese le difese del Nicolis chiedendo a noi di avere il buongusto e ad aspettare la conclusione delle vicende perché anche un'importante azienda friulana ricevette l'interdittiva poi annullata dal TAR
Bene, abbiamo avuto il buongusto di aspettare, ma adesso Tosi abbia il buongusto di dirci cosa ne pensa dei rapporti tra quell'imprenditore - a casa del quale si recava a cena - e la malavita organizzata interessata a mettere le mani sull'area ex Tiberghien e di cosa hanno parlato nel corso dei loro incontri.


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Pensionati vivono su spalle di chi lavora

Pensionati vivono su spalle di chi lavora 

Stanno cercando di convincerci che pensionati vivono su spalle di chi lavora oggi. Quando ci hanno preso quello che hanno voluto mentre lavoravamo. Ma la nostra previdenza se la sono mangiata, come tutto il resto, compresi i risparmi dei pensionati 

 BancaEtruria‬, Boschi‬, Guidi‬, ‪‎Verdini‬, ‪‎Renzi‬ & soci. Ha detto bene Beppe Grillo al cazzaro: “TU RAPPRESENTI QUELLO CHE NOI COMBATTIAMO!” e io aggiungo: BASTARDI!

Referendum: se tredici milioni di voti vi sembrano pochi

Referendum: se tredici milioni di voti vi sembrano pochi  


I numeri

Voti per l'abrogazione delle norme sulle trivelle:      13.334.754
Voti di Renzi alle Europee del 2014:                          11.202.231 


Sarebbe servito un miracolo per raggiungere il quorum nel referendum sulle trivelle, cioè quel cinquanta per cento più uno necessario a rendere efficace sul piano legislativo la volontà espressa dai cittadini. Un miracolo pensando all'Italia della passività e dell'ignavia ma anche della disperazione e della sfiducia e tenendo conto del mancato accorpamento con le amministrative, della disinformazione profusa a piene mani dai giornalacci e dalle tv di regime a cominciare dalla Rai renziana (certe trasmissioni di Rai 3 in cui si affermava che si votava solo in nove regioni rappresentano veri e propri “casi criminali di scuola”), dal punto di partenza rappresentato dal fatto che ormai 3-4 italiani su 10 non vanno più a votare in qualsivoglia elezione  e sul quale i fautori del No hanno fondato la propria campagna per l'astensione, dalla marginalità sostanziale del tema oggetto del referendum (la proroga automatica alla scadenza delle concessioni già in essere per l'estrazione di gas e petrolio, nei tratti di mare entro le dodici miglia), dal fatto che i cittadini delle regioni che non si affacciano sul mare non si sono sentiti (egoisticamente) coinvolti nella questione. Vale la pena ricordare che per il raggiungimento del quorum (invertendo una tendenza che durava da molti anni) nei referendum del 2011 che riguardavano oltre che l'acqua pubblica anche il nucleare ebbe un impatto fondamentale la tragedia di Fukushima in Giappone verificatasi poco tempo prima. E comunque i referendum sulla questione trivelle erano stati già vinti nel momento in cui, con l'ultima legge di stabilità, il governo Renzi aveva abrogato la possibilità di nuove concessioni entro le 12 miglia proprio per non doversi confrontare con i cittadini su quella sciagurata decisione.


LE DISUGUAGLIANZE NEL MONDO SONO PEGGIORI DI QUANTO POSSIAMO IMMAGINARE

LE DISUGUAGLIANZE NEL MONDO SONO PEGGIORI DI QUANTO POSSIAMO IMMAGINARE 


Come misuriamo le disuguaglianze? Per alcuni versi il quadro sembra migliorato, ma per altri peggiora ogni giorno di più.
E’ una notizia ormai nota a tutti, i numeri di Oxfam hanno fatto il giro del mondo: oggi l’1% ricco della popolazione mondiale detiene più ricchezza di quanto possegga tutta la popolazione mondiale messa insieme. Le disuguaglianze nel mondo attuale hanno raggiunto i livelli peggiori dal 19° secolo.

Per la maggior parte della gente, è questo è il dato che indica le disuguaglianze del mondo. Ma le cifre di Oxfam sulla distribuzione della ricchezza nel mondo non dicono tutto. E le disuguaglianze di reddito allora? E – ancora più importante – le disuguaglianze tra paesi? Se allarghiamo il nostro campo di osservazione oltre gli usuali parametri, scopriremo che il mondo attuale è molto poco equo.
La prima cosa da dire sulle cifre di Oxfam è che rappresentano un quadro piuttosto conservativo. Considerando che i ricchi usano nascondere le loro ricchezze all’ombra di paradisi fiscali e di giurisdizioni di segretezza, è impossibile stabilire con certezza quanto posseggano realmente. Stime recenti indicano che quasi 32 trilioni di $ sono nascosti in paradisi fiscali – quasi un sesto della ricchezza totale del mondo. Se a questo poi aggiungiamo i dati forniti da Oxfam, realizziamo che il quadro è peggiore di quanto pensavamo.
E questo per quanto riguarda la ricchezza. Molti analisti, tuttavia, ritengono che non dovremmo guardare alle disuguaglianze di ricchezza, ma piuttosto a quelle del reddito. E’ stata questa la critica maggiore mossa ai numeri di Oxfam. E se guardiamo alle disuguaglianze di reddito, il quadro non sembra poi così drammatico. Perlomeno non secondo quello che ci raccontano. Branko Milanovic, uno dei maggiori esperti di disuguaglianze di reddito nel mondo, sostiene che mentre in alcuni paesi il fenomeno è peggiorato rispetto al passato, su scala mondiale invece appare migliorato.
Per misurare le disuguaglianze, possiamo far riferimento all’ Indice Gini, dove il punto ‘0’ rappresenta l’uguaglianza assoluta e il punto ‘1’ quella assoluta, cioè quando una persona possiede tutto e gli altri niente. Secondo Milanovic, l’indice Gini globale si è leggermente abbassato, da 0.72 nel 1988 a 0.71 nel 2008. Per cui…non dobbiamo preoccuparci poi così tanto delle disuguaglianze.
L’indice Gini è un metro piuttosto problematico però, poiché tiene conto solo di alcuni cambiamenti relativi. Se il reddito dei ricchi e dei poveri aumenta della stessa percentuale, il Gini resta invariato, anche se aumentano le disuguaglianze assolute. In altre parole, se l’individuo ‘A’ possiede 10.000 dollari e l’individuo ‘B’ 100.000 dollari ed entrambi raddoppiano il loro reddito, il Gini non cambia anche se il divario tra i due è salito da 90.000 a 180.000 dollari.
L’economista Robert Wade ritiene che questa sia una valutazione altamente fuorviante, poiché nasconde la reale entità della disuguaglianza. Secondo lui dovremmo usare l’indice Gini assoluto. E cosa accade quando lo facciamo? Ci rendiamo conto che nel corso degli ultimi decenni le disuguaglianze sono lievitate da 0,57 nel 1988 a 0,72 nel 2005.
Un momento però, potreste sire. Saranno forse peggiorate le disparità di reddito tra gli individui, ma sicuramente si sarà ridotto il divario tra paesi poveri e paesi ricchi. L’industria dello sviluppo internazionale non sta forse lavorando per ridurre le distanze tra est e ovest? Questa è un’opinione piuttosto diffusa, molto condivisa tra gli studenti della London School of Economics dove insegno. Dopo tutto, secondo “la teoria della convergenza” i paesi più poveri crescono a un tasso maggiore di quelli ricchi e nel tempo il divario tra i due si riduce automaticamente.
Tuttavia, questo non sta accadendo. La storia, infatti, ci mostra l’esatto contrario: nel corso degli ultimi duecento anni le disuguaglianze tra i paesi sono aumentate considerevolmente, e non si notano segni di un’inversione di tendenza.
Ci sono alcuni modi per analizzare questi dati. Probabilmente, quello più comune è quello di misurare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri in termini di reddito reale pro capite. Utilizzando i dati del Maddison Project, vediamo che nel 1960, alla fine del colonialismo, le persone che vivevano nel paese più ricco del mondo erano 33 volte più ricche di quelle che vivevano nel paese più povero. Era un divario enorme. Poi, nell’anno 2000, dopo che la globalizzazione neoliberale aveva fatto il suo corso, ecco che lo erano non di 33 ma di 134 volte. E questo senza considerare i casi estremi come i regni ricchi di petrolio del Medio Oriente o i piccoli paradisi fiscali offshore. Questa non è affatto ‘convergenza’. Per citare Lant Pritchett, è divergenza alla massima potenza.
Se la vediamo in termini assoluti, è sempre negativo. Dal 1960 ad oggi, secondo i dati del Maddison Project, il divario assoluto tra il reddito dei paesi più ricchi e quello dei paesi più poveri è aumentato del 135%.
Ovviamente, questa metro di valutazione considera le disuguaglianze tra paesi dei due estremi. Possiamo correggere la valutazione osservando invece le differenze regionali. Il modo migliore è quello di misurare il divario – in termini reali – tra il PIL pro capite della prima superpotenza mondiale (Stati Uniti) e quella delle varie regioni del sud del mondo. Considerando le cifre della Banca Mondiale, vediamo che dal 1960 il divario per l’America Latina è cresciuto del 206%, per l’Africa Sub-Sahariana del 207% e per l’Asia Meridionale del 196%. In altre parole, il divario delle disuguaglianze globali si è quasi triplicato.
Nel corso degli ultimi decenni, le disuguaglianze sono talmente peggiorate che nel 2000 il cittadino statunitense era 9 volte più ricco di quello latino-americano, 72 volte più ricco dell’africano sub-sahariano e – reggetevi forte – 80 volte più ricco dell’asiatico meridionale. Queste cifre ci danno l’idea di quanto sia ingiusta la distribuzione della ricchezza nel mondo nell’ attuale economia.
Da qualsiasi punto la guardiamo, è sempre la stessa cosa: le disuguaglianze nel mondo sono peggiorate. E di molto. La teoria della convergenza ha fallito; le disuguaglianze non si compensano automaticamente; tutto dipende dagli equilibri dei poteri politici nell’economia globale. Finché saranno pochi paesi ricchi a stabilire le regole dell’economia a proprio vantaggio, le disuguaglianze nel mondo continueranno a peggiorare. Il sistema del debito, gli aggiustamenti strutturali, gli accordi di libero scambio, l’evasione fiscale e le asimmetrie di potere nella Banca Mondiale, nel FMI e nel WTO, sono i motivi principali per cui le disuguaglianze nel mondo, invece di attenuarsi, sono peggiorate.
E’ il momento di affrontare seriamente questi squilibri che distorcono l’economia mondiale. Non c’è niente di naturale in una disuguaglianza estrema. E’ l’uomo che l’ha costruita e ha a che fare con il potere. Dobbiamo avere tutti il coraggio di dirlo chiaramente.

Scatta il conto alla rovescia per Fondazione: debiti e cause i nodi da risolvere

Scatta il conto alla rovescia per Fondazione: debiti e cause i nodi da risolvereScatta il conto alla rovescia per Fondazione: debiti e cause i nodi da risolvere 

 Scatta il conto alla rovescia per Fondazione: debiti e cause i nodi da risolvereLa fatidica data fissata è quella del 30 giugno, entro la quale il commissario Fuortes inviato da Roma dovrà dimostrare che Fondazione Arena possiede tutti i requisiti per poter usufruire della Legge Bray 
 Scatta il conto alla rovescia per Fondazione: debiti e cause i nodi da risolvere

Ci sono 24 milioni di debiti da pagare tra fornitori e banche e c'è poi la spada di Damocle delle cause avviate dai lavoratori precari di Fondazione Arena. Sono fondamentalmente questi i due grossi grattacapi che il neo commissario Franco Fuortes si troverà a dover affrontare quanto prima. Sì, perché in fondo i tempi sono stretti, la stagione lirica alle porte impone che la svolta arrivi in tempo utile per lo svolgimento regolare delle serate d'Opera che ogni anno richiamano a Verona centinaia di migliaia di turisti con un indotto complessivo per la città di circa 500 milioni di euro, mica noccioline.
Nel tardo pomeriggio di ieri si è svolto un incontro tra gli ex vertici decaduti di Fondazione, Tosi e Girondini, il direttore operativo Francesca Tartarotti che continuerà a mantenere il suo posto e il commissario nominato dal ministro Franceschini. Le posizioni di Fuortes sono al momento ancora un'incongnita per tutti, il suo silenzio lascia però intendere che il suo ruolo possa essere fino in fondo quello di valutare ogni strada per evitare quella che invece Flavio Tosi ritiene essere l'unica soluzione attualmente percorribile, vale a dire la liquidazione coatta di Fondazione Arena.
Il sindaco scaligero proprio nell'incontro di ieri, come riportato anche dal quotidiano L'Arena, non ha fatto altro che esporre la propria versione dei fatti al commissario Fuortes, spiegando come il regime lavorativo di Fondazione sia a sua detta "antistorico", viziato da indennità per il coro e l'orchestra che non hanno più ragione di esistere, ma soprattutto che le 40 cause per le assunzioni rischiano di far sballare i conti in modo irreversibile.
A breve arriveranno circa 13 milioni dal Fondo unico per lo spettacolo che serviranno soprattutto per alleviare la pressione delle banche, e poi verranno impiegati per pagare gli stipendi ed organizzare la stagione estiva in Arena che prenderà avvio proprio alla fine di giugno. Fuortes entro questa data dovrà aver fatto la sua scelta, dopo l'attenta valutazione dei rischi e delle condizioni in cui versa l'ente, per accedere eventualmente ai contributi garantiti dalla Legge Bray, oppure allinearsi alla linea di Tosi che ritiene inevitabile la liquidazione. Partita aperta insomma e per nulla scontata.


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