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martedì 8 gennaio 2013

ACCORDO LEGA-PDL BERLUSCA HA PERSO LE PASSWORD






       

Accordo Lega-Pdl, Berlusconi ha perso le password del pc 

Saranno stati i troppi pensieri per la testa, o i troppi computer in giro per la modesta dimora di Arcore, ma Silvio Berlusconi ha perso le password dei pc.
E, come spesso capita, se n'è accorto proprio quando ne aveva più bisogno: durante l'incontro con la Lega che ha partorito l'accordo elettorale in Lombardia e le politiche DOCUMENTO LABORIOSO. Un fatto che ha costretto Roberto Calderoli a fare avanti e indietro dalle stanze di Villa San Martino alla guardiola della residenza, dove era rimasto l'unico computer utilizzabile, per mettere giù i punti dell'intesa man mano che venivano concordati.
Il bizzarro e curioso retroscena è stato raccontato dal Corriere della sera, che ha indagato sugli strani movimenti di Calderoli nel corso della serata ed è riuscito a trovare la risposta.
Non dal diretto interessato, che ha preferito mantenere il più assoluto riserbo sulla vicenda, ma da un altro elemento del Pdl presente all'incontro.
«C'ERANO SOLO LE GUARDIE». «Ad Arcore non c’erano più computer disponibili di cui Berlusconi conoscesse la password: i dipendenti, nel cuore della notte, erano tutti a casa loro. Gli unici ancora al lavoro erano quelli della guardiola. E così è al loro computer che Calderoli andava per mettere punto il testo a mano a mano che veniva rielaborato».
Tutta quella fatica quando bastava un post-it.


                                                                    

700 MILA SCHIAVI NELL'AGRICOLTURA ITALIANA








Caporalato e mafie: “700mila schiavi nell’agricoltura italiana” 

Il Flai-Cgil presenta il primo rapporto su un fenomeno che non tocca solo le regioni del Sud. Dietro il cibo che arriva sulle nostre tavole ci sono stagionali stranieri pagati 4 euro l'ora in condizioni fuori da ogni regola. E spesso sotto il controllo mafioso 

In Italia vive una popolazione di “invisibili”. Stranieri che lavorano nelle campagne, lontano dagli occhi dei centri abitati, spesso alloggiati in tuguri fatiscenti, sfruttati e mal pagati da caporali e imprenditori nostrani. Da nord a sud, il loro impiego nelle campagne è capillare. È anche grazie alle loro braccia se certi prodotti arrivano sulle nostre tavole, eppure la loro vita resta confinata nel silenzio.
Secondo il primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil, si tratta di circa 700mila lavoratori tra regolari e irregolari, di cui circa 400mila coinvolti in forme di caporalato. Braccianti che si riversano ogni anno nella campagne in arrivo da altre nazioni o spostandosi internamente, tra le regioni italiane, per soddisfare i picchi della produzione e della lavorazione di prodotti agro-alimentari su tutta la penisola. Spesso protagonisti, loro malgrado, di storie di vulnerabilità e sfruttamento, al limite della schiavitù.
NON SOLO SUD: SFRUTTATI DA BOLZANO ALLA TOSCANA. Diversamente da quel che si può credere però lo sfruttamento non riguarda solo il mezzogiorno, ma anche In tutti questi territori, come in Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, i ricercatori della Flai Cgil hanno scovato datori di lavoro e imprenditori che truffano o ingannano i lavoratori stranieri, non corrispondendo loro i salari maturati, o facendoli lavorare in nero, accompagnando il trattamento con minacce più o meno velate e forme di violenza psico-fisica (manifeste o paventate).
In Italia il mondo del caporalato si è evoluto, lo racconta nel rapporto Yvan Sagnet, portavoce dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò (Lecce) nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil in Puglia: “Ci sono i caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i suoi assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti, degli assistenti, ha i cuochi. A Nardò c’era il ‘capo de capi’, era un tunisino. Poi c’erano altri caporali che lavoravano per lui. Nell’agro di Nardò erano tra 15 e 20 e controllavano tra i 500 e i 600 lavoratori”.
PAGHE DA FAME: 4 EURO L’ORA. Le paghe per i lavoratori sono però sempre da fame. “Un bracciante agricolo che lavora nelle campagne di Foggia in Puglia, a Palazzo San Gervasio in Basilicata o a Cassibile in Sicilia verrà pagato a cottimo, ovvero 3,5 euro il cassone (per la raccolta dei pomodori), mentre verrà pagato 4 euro l’ora nelle campagne di Saluzzo nel Piemonte, di Padova, nel Veneto o a Sibari in Calabria per la raccolta degli agrumi. Il tutto in nero, su intere giornate comprese tra 12 e 16 ore di lavoro consecutive a cui vanno sottratti: i 5 euro di tasse di trasporto, 3,5 euro di panino e 1,5 euro di acqua da pagare, sempre al caporale”.
MAFIA E RICICLAGGIO. A questa situazione di sfruttamento si somma la voracità dei gruppi mafiosi. Il caporalato, che è entrato nel codice penale solo nel 2011, è infatti un “reato spia” di infiltrazioni criminali nel settore. Una presenza significativa, ma ancora quasi del tutto inesplorata a livello giudiziario. Si stima che il giro d’affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10% di tutta l’economia mafiosa. Quasi tutto giocato tra la contraffazione dei prodotti alimentari  e il caporalato. Solo la contraffazione è cresciuta negli ultimi dieci anni del 128%, per un valore di 60 miliardi di prodotti che ogni anno vengono commercializzati nel mondo come falso Made in Italy.
“L’agricoltura è anche uno dei settori prediletti per il riciclaggio dei soldi dalle organizzazioni criminali tradizionali – scrive Yvan Sagnet – Ad esempio l’agricoltura foggiana subisce forti condizionamenti da parte della camorra. Durante la stagione agricola centinaia di camionisti partono quotidianamente dalla Campania verso le campagne foggiane, affittano le terre ai contadini con il cosiddetto fenomeno del “prestanome”, e trasportano la merce verso le imprese del salernitano”.
DAL CAMPO ALLA NOSTRA TAVOLA, LA FILIERA “INQUINATA”. Le mafie si occupano anche dei mercati dell’ortofrutta, infiltrando la grande distribuzione. “Le inchieste analizzate in quest’ultimo anno, svolte in particolare dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno visto implicate imprese di tutto il sud Italia con ramificazioni anche nel nord del Paese e hanno disvelato l’esistenza di un sistema di gestione dei grandi mercati agricoli nazionali pesantemente influenzati dalle organizzazioni mafiose”, scrive nel rapporto Maurizio De Lucia, magistrato della Direzione nazionale antimafia.
Purtroppo neppure le nuove, e importanti, misure varate nel settembre del 2011 (introduzione del reato di caporalato) e nel luglio del 2012 (concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori), sono riuscite ancora ad incidere significativamente sulla grave situazione delle campagne. Eppure i dati rilevati sono già significativi. Da gennaio a novembre del 2012 sono 435 le persone arrestate per riduzione in schiavitù , tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi. Dall’entrata in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le persone denunciate o arrestate sono solo 42. La metà degli arresti al centro-nord.
COSTO DEL LAVORO E CRISI. “Parliamoci chiaramente, per gli imprenditori il costo del lavoro italiano è altissimo. Ciò non giustifica l’assunzione di personale in nero, ma è indubbio che questo fenomeno esiste proprio per sfuggire alle maglie di questo meccanismo, soprattutto in questa grave crisi”. Il Procuratore di Foggia, Vincenzo Russo, non usa mezzi termini. “È come l’evasione fiscale. Quanto più alta è la tassazione, tanto più i soggetti sono invogliati ad evadere. Questo è indubbio. Quindi, se il costo del lavoro diminuisse, probabilmente diminuirebbero anche questi fenomeni”.

          

Schiavi nei campi non solo al Sud: Tortona e Franciacorta tra i casi peggiori

La mappa dello sfruttamento nel primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai-Cgil. Al di là dei casi eclatanti come Rosarno e Foggia, gli stagionali stranieri lavorano in condizioni "indecenti" in Piemonte, Lombardia, Alto Adige, Emilia-Romagna e Toscana

Lavoro nero e caporalato sono fenomeni molto diffusi sul territorio nazionale, con particolari concentrazioni nel Mezzogiorno e in regioni del nord come Veneto, Alto Adige, Piemonte, Toscana e Lombardia. Secondo in queste zone ospitano una rete di sfruttamento della manodopera fortemente radicata e legata alla criminalità organizzata.
Nel Rapporto le situazioni territoriali sono classificate sulla base di tre valori. Sono ritenute buone le condizioni di alloggio decente, con orario e salario che rispettano il contratto nazionale e rapporti accettabili con il datore di lavoro. Sono classificate come indecenti/non dignitose le condizioni lavorative di chi vive in un alloggio precario, con orario e salario inferiore al contratto nazionale, rapporti inesistenti con il datore di lavoro, clima strumentale e di totale distacco. È infine classificato come gravemente sfruttato chi possiede solo un alloggio di fortuna, orario lungo, salario a cottimo, rapporti di lavoro mediati dal “caporale” a pagamento e clima di assoggettamento. Vive rapporti ingannevoli con il datore di lavoro, subisce false promesse e frode.
La ricerca condotta dall’Osservatorio ha coinvolto 14 Regioni e 65 province, e ha censito oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 sono risultati ad alto tasso di sfruttamento lavorativo.
PIEMONTE. In Piemonte sono state individuate condizioni di lavoro negative e molto negative nella provincia di Cuneo, Alessandria e Asti. La situazione peggiore è stata individuata nella provincia di Alessandria e in particolare nel distretto di Tortona, dove sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato e attività di sofisticazioni alimentari.(truffe/inganni per salari non pagati), nelle Langhe/Roero (caporali e contratti inevasi) e a Bra, nonché a Canelli e Nizza Monferrato.
Nella provincia di Asti sono state scoperte truffe e inganni per salari non pagati e contratti inevasi, come la presenza di caporali e intermediazione illecita diffusa  una vertenza contro le Ditte Lazzaro, che producono orticole per Grande Distribuzione.
Il 22 giugno 2012, 39 braccianti marocchini hanno scioperato contro le loro pesantissime condizioni lavorative. Grazie alla protesta e all’intervento dei carabinieri sono state scoperte le condizioni abitative di estremo disagio  cui erano costretti e la presenza di numerosi lavoratori in nero, di cui una parte senza permesso di soggiorno. L’attività dell’azienda è stata momentaneamente sospesa, ma alla sua ripresa per i lavoratori marocchini non c’è stato più posto.
LOMBARDIA. In Lombardia i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare ammontano a circa 21.600 unità (su un totale di occupati di poco superiore alla 100.000 unità), e si tratta prevalentemente di romeni e indiani (circa 6000 per nazionalità), seguiti dai lavoratori marocchini e albanesi. La provincia che occupa il maggior numero di lavoratori stranieri nel settore agro-alimentare è Brescia, con circa 6.200 unità.
Le condizioni di lavoro peggiori si registrano nella zona della Franciacorta e nei dintorni di Milano, Mantova, Pavia, Sondrio e Lecco. Ci sono caporali e dunque pratiche di sfruttamento derivanti da truffe/inganni sull’ammontare dei salari o delle ore lavorative, nonché da minacce e violenze psico-fisiche. Nella zona di Franciacorta si rilevano addirittura forme di lavoro gravemente sfruttato, assimilabile al lavoro para-schiavistico.
EMILIA-ROMAGNA. In Emilia Romagna, le zone in cui sono stati riscontrati casi di lavoro non dignitoso o para-schiavistico coincidono alla provincia di Ravenna, Cesena e Ferrara. A queste zone si somma la provincia di Rimini, dove sono state rilevate forme di lavoro considerate indecenti. Nel territorio di Cesena i lavoratori extracomunitari vengono spesso  costretti a pagare la richiesta del nulla osta con cifre che possono arrivare a 7.000 euro, per avere un contratto di lavoro con una garanzia di 51 giorni, (anche se in realtà ne lavorano oltre 200), e vengono retribuiti con paghe da 3-5 euro l’ora.
La Flai Cgil ha denunciato alle autorità alcuni titolari di imprese agricole senza terra, prevalentemente romeni, che reclutavano personale nel loro Paese d’origine e lo portavano in Italia noleggiando auto, pullman e persino aerei, per sfruttarlo all’interno dei magazzini ortofrutticoli e di grosse imprese agricole.
TOSCANA. In Toscana le aree dove si rilevano forme di lavoro indecenti e gravemente sfruttate sono i distretti di Val di Cornia e di Grosseto, dove non mancano segnalazioni di lavoro para-schiavistico. Gli occupati stranieri nel settore agro-alimentare sono 19.482 unità, di cui circa 6.000 romeni e 3.500 albanesi. Lo sfruttamento è caratterizzato dalla presenza di caporali (in Maremma e nell’Amiata). In alcune aree risultano esserci indagini in corso della magistratura per il contrasto dello sfruttamento lavorativo.
CAMPANIA. In Campania i lavoratori occupati nel settore agro-alimentare di origine straniera ammontano a circa 15.500 unità, su un totale di 134.598 unità, con una marcata prevalenza dei lavoratori romeni (circa 6.550). Sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato nell’area agro-alimentare di Napoli, con truffe e inganni per salari non pagati e impiego di caporali. La stessa situazione è stata rilevata a Caserta, con l’aggiunta di gravi sofisticazioni alimentari.
A Salerno le forme principali di sfruttamento che sono state individuate riguardano l’intermediazione illecita e il caporalato, entrambi molto diffusi. A questo si aggiungono anche gravi sofisticazioni nella filiera bufalina.
PUGLIA. In Puglia, le province dove i lavoratori immigrati sono più numerosi sono quella di Foggia (con 20.143 addetti, seconda solo a Bolzano) e Bari (con 6.500 unità circa). Le condizioni occupazionali delle province ad alta produzione agro-alimentare (Foggia, Lecce e Taranto) sono state classificate come decisamente negative, caratterizzate da lavoro para-schiavistico e pertanto da lavoro gravemente sfruttato.
Nella regione viene impiegata manodopera irregolare e caporali in qualità di intermediatori di manodopera. Sono state riscontrate anche truffe e inganni per salari non pagati e per contratti di lavoro inevasi. In Puglia sono state realizzate diverse azioni di contrasto al grave sfruttamento lavorativo e alle pratiche illecite di aggiudicazione degli appalti (con più sottoforniture), che costituiscono molto probabilmente il contesto in cui maturano diverse forme di sfruttamento.
La manodopera stagionale impiegata nella regione arriva da Napoli/Caserta, da Cosenza/Catanzaro e Reggio Calabria, nonché da Catania, Ragusa e Siracusa, ma anche dall’estero, Romania e Polonia.
CALABRIA. In Calabria i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare sono circa 21.500. I romeni e i bulgari sono i più numerosi, con 11.000 e 5.000 unità. Le province che li impiegano maggiormente sono Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente con 10.145 e 6.200 addetti. Entrambe le aree si posizionano in modo significativo anche a livello nazionale, in quanto rappresentano, l’ottava e la quindicesima provincia per numero di addetti immigrati.
Secondo il Rapporto, in Calabria le condizioni di lavoro agricolo sono complessivamente negative. Nel caso di Gioia Tauro/Rosarno poi, oltre ad essere indecenti, riproducono forme di lavoro paraschiavistico e servile. Fanno eccezione, in provincia di Reggio, i distretti di Militello e di Monasterace, in cui le condizioni di lavoro sono invece valutate sostanzialmente buone.

ALLORA DATEVI UNA MOSSA PER AMBROGIO CRESPI


BOLLETTINO N 83 DEL 91 ESIMO GIORNO DI PRIGIONIA DI AMBROGIO CRESPI 

DAL 10 SCIOPERO DELLA SETE-VD


QUANTE FIRME VI SERVONO ANCORA PER SMETTERE STO SCEMPIO ?


Di Luigi Crespi – Ho già annunciato che comincerò lo sciopero della sete che si andrà ad aggiungere allo sciopero della fame. Ho anche già fatto un appello Al PM D'Amico  a cui mi rivolgo nuovamente, lui, che amministra la giustizia non può non sapere, non può non vedere quello che tutti vedono e cioè che Ambrogio è innocente, non può non sapere che la sua detenzione è ai limiti della legalità.
Mi aspetto che sia lui a scarcerare mio fratello, questo sarebbe per me giustizia, ma gli avvocati mi dicono che non c’è alcuna speranza.

Mio fratello è la mia vita e io non posso che mettere a disposizione sul piatto della bilancia di questa giustizia la mia stessa vita. Non possono prendere mio fratello e non prendere me, siamo un’unica cosa, quindi da giovedì 10, giorno nel quale saranno tre mesi esatti in cui mio fratello è detenuto nel carcere di Opera, aggiungerò ai miei oltre 60 giorni di sciopero della fame quello della sete, ad oltranza.

Perché all’interno di questo gesto, che non è esclusivamente per Ambrogio e che segue l’insegnamento e l’esempio di Marco Pannella, c’è tutta la mia passione civile, il mio amore per Ambrogio, il mio sostegno alle persone che si trovano nella stessa situazione di mio fratello e l’amore per il mio Paese.

                                                           
                                     

BERNARDINI :AMNISTIA GIUSTIZIA E LIBERTÀ PER RIFORMARE IL SISTEMA


 

Di LUIGI ERBETTA – IRadicali hanno presentato il simbolo della lista Amnistia Giustizia e LIBERTÀ con cui andranno alle prossime elezioni politiche. Già Marco Pannella aveva parlato di una lista di scopo con cui si intende continuare a portare avanti le battaglie che i radicali hanno intrapreso negli scorsi anni. Clandestinoweb ha intervistato l’onorevole Rita Bernardi per chiederle un commento sulla lista e sul programma politico con cui il partito intende presentarsi alla tornata elettorale.

Ci parli del simbolo della lista Amnistia, Giustizia e Libertà.

Il simbolo e il nome della lista sono stati già spiegati con le parole e con il corpo di Marco Pannella, protagonista di una lotta nonviolenta contro l’illegalità in cui versa il sistema giudiziario italiano. Ribadiamo ancora una volta che è necessaria una riforma strutturale e profonda di questo sistema. Il nome della lista racchiude la storia delle nostre battaglie, fatte negli ultimi trenta anni.

Quindi il nuovo simbolo è un segno di continuità con i temi su cui i radicali continuano a battersi?

Certo, continuità. Ma il nome non è nuovo. E’ una novità solo il suo utilizzo per le elezioni. Già nel 2005 Amnistia, Giustizia e Libertà era il titolo di una marcia di Natale a cui parteciparono tra gli altri anche Napolitano, Cossiga, Andreotti, D’Alema.

Cosa ci dice invece della lista?

E’ una lista di scopo, che si propone un obiettivo. Non è una lista radicale, ma appunto di obiettivo. La giustizia italiana non funziona. Basti pensare allo spropositato numero di processi penali pendenti. Siamo di fronte a un problema di legalità. Il rispetto delle regole è dimenticato. Ciò che è scritto nelle leggi non viene applicato. L’illegalità si manifesta nei confronti della Costituzione, in relazione alla durata dei processi, alle continue mortificazioni a cui sono sottoposti i detenuti nelle carceri. Anche l’ordinamento penitenziario viene costantemente violato. Io mi occupo di carceri e vengo sempre più spesso a contatto con persone a cui vengono violati i diritti. In Italia viene infranto anche ciò che è stabilito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare dagli articoli 3 e 6, in cui si parla di mortificazioni della persona e della durata dei processi.

L’Italia è stata più volte richiamata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio su questi aspetti.

L’Italia è tra i paesi più condannati dall’Europa a causa dell’eccessiva durata dei processi. Il Ministro della Giustizia Paola Severino è stata anche convocata per dare una giustificazione alle continue sanzioni per la non ragionevole durata dei processi. C’è la necessità per la giustizia italiana di affrontare i processi con più serietà ed evitare il ripetersi di casi come quello di Enzo Tortora, e come il calvario che sta vivendo in questi giorni Ambrogio Crespi 
In questa fase si parla spesso di necessità di una rivoluzione politica. Voi come vi ponete davanti a questa che sembra diventata un po’ una moda.

Noi non siamo un partito rivoluzionista, siamo riformatori. La storia dice che le riforme più importanti sono state fatte con i referendum: ad esempio quelli sul divorzio, sull’aborto. Questo sistema illegale ci sta per regalare l’ennesima tornata elettorale che contrasta con tutti i principi della democrazia.

Cerchiamo di darci una mossa corte UE Rossodivita amnistia unico provvedimento possibile


           

Di GIUSEPPINA CAVALLO – La Corte Europea Dei DIRITTI Dell'Uomo ha Condannato ,Ancora Una Volta, L'ITALIA Per La SITUAZIONE IN CUI VERSANO I DETENUTI E LE CARCERI  Era già successo nel 2009, ma questa volta, a differenza della prima sentenza, Strasburgo intima allo Stato italiano di prendere provvedimenti entro un anno per risolvere alla radice il problema del sovraffollamento. Questa battaglia è da sempre quella dei Radicali  e in particolare a seguire questo caso in prima persona è stato l’avvocato Giuseppe Rossodivita che abbiamo intervistato.

 Avvocato lei ha parlato di Soddisfazioni e SOFFERENZA  per questa sentenza, perché?

C’è soddisfazione da un punto di vista politico e professionale per la sentenza che è arrivata dopo l’iniziativa assunta dal Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, perché quei sette detenuti erano assistiti da me e dalla collega Urciuoli. Una sentenza per la quale la corte ha adottato il procedimento della sentenza pilota ed ha certificato ufficialmente che la violazione dei diritti umani dipende da una mancata soluzione al problema strutturale del sovraffollamento delle carceri. Con questa sentenza, a differenza di quella del 2009 su Sulejmanovic, non solo si chiede il risarcimento del danno ai detenuti ma si invita entro un anno lo Stato italiano ad individuare la strada interna per porre rimedio a questo problema strutturale. Quindi il prossimo governo italiano non potrà esimersi dall’adottare provvedimenti che fanno parte della nostra lista di scopo AMNISTIA GIUSTIZIA E LIBERTÀ  Peraltro in un preciso passaggio della sentenza viene stigmatizzato l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, un caso tutto italiano, dove abbiamo il 40% dei detenuti che sono in attesa di giudizio. Quindi la corte condanna il modo di procedere dei pm italiani e invita, ancora una volta, lo Stato a sollecitare la magistratura ad applicare soluzioni di tipo diverso, ampliando il ricorso a misure alternative e riducendo l’applicazione delle misure cautelari e della custodia in carcere.

Però c’è anche sofferenza…

La sofferenza è come cittadino italiano, non mi piace vivere in uno Stato che strutturalmente viola i diritti umani.

La corte ha dato all’Italia un anno di tempo, ce la farà il prossimo governo ad adeguarsi in tempo?

Il tempo, per i tempi della politica italiana, è poco anche perché si tratta di un problema che viene da lontano e per cui tutte le soluzioni che sono state messe sul piatto da parte di chi si è occupato della vicenda si sono rivelate insufficienti. E’ importante sottolineare che la Corte Europea ha anche accertato essere inadeguato quello che finora è stato posto in essere, ovvero il Piano Carceri, la cosiddetta Legge svuotacarceri, termine falso perché non ha svuotato nulla e non ha salvato nulla. Il governo si è anche difeso davanti alla Corte enfatizzando in modo grottesco i risultati ottenuti con questi due provvedimenti, ma Strasburgo, pur avendo apprezzato gli sforzi, ha certificato che questi provvedimenti sono inadeguati. Tra le altre cose dalla prima sentenza del 2009 all’epoca della presentazione di questo ricorso, 2010, il sovraffollamento è passato dal 151% al 148% quindi una riduzione assolutamente insufficiente.

Quindi ci vorranno degli interventi urgenti, voi sostenete da sempre l’amnistia.

L’amnistia è l’unico provvedimento strutturale capace di far rientrare nell’immediato lo Stato italiano nell’albo della legalità. Il nostro Paese è stato ancora una volta condannato dalla Corte europea e, così come la società pretende dai condannati che si adeguino alle prescrizioni imposte dalla sentenza, in questo caso noi pretendiamo che lo Stato condannato di adegui alla decisione della Corte europea. Per noi l’amnistia è l’unica strada immediata che può, in seguito, aprire il varco ad una profonda riforma del sistema giustizia partendo proprio dai suggerimenti della Corte e cioè misure alternative al carcere anche a livello legislativo e meno ricorso alla custodia cautelare da parte dei giudici.

                          


                                                              

sabato 5 gennaio 2013

SILVIO IL GIUSTIZIERE




Silvio il giustiziere: "Commissione d'inchiesta anche su Napolitano"

Non si arrende Silvio Berlusconi e grida al complotto. Non ha ancora digerito la fine pilotata della sua legislatura e l'avvento del governo tecnico e adesso, dopo le promesse disattese di Monti, che il Cav aveva definito "promesse da marinaio" e la scelta del professore di correre indirettamente alle elezioni alla guida dei centristi, spara a zero su tutto e tutti. 
Non salva neppure il Capo dello Stato: "Non voglio dare giudizi al riguardo, sarà una commissione di inchiesta eventualmente a far emergere ruoli che ciascuno ha svolto in quell'occasione".
Poi non rinuncia a parlare della Lega. Il carroccio è la spina in pectore del Cav. l'affare è complicato: la Lega ambisce alla guida del Pirellone ma non è disposta a fare l'asse nazionale con il Pdl in vista delle Politiche di febbraio. Maroni è stato chiaro: "se Berluscoi si candida non possiamo dare il nostro appoggio su scala nazionale". Ma il fondatore del Pdl va dritto per la sua strada e sentenzia: "La Lega deve scegliere, da sola va incontro a una sconfitta sicura, la rottura dei rapporti renderebbe impossibile appoggiare Maroni in Lombardia, ma anche tenere in vita le giunte in Veneto e Piemonte e centinaia di amministrazioni locali".
Ma soltanto ieri Maroni aveva ribadito su twitter: No al Cavaliere, correremo da soli. 



                                                                     

CHI E' CONTRO MONTI E' CON LA LEGA





  

La Lega riabbraccia Berlusconi: "Chi è contro Monti è con la Lega" 

"Monti è il nemico del Nord, impedirgli di tornare al governo è un imperativo categorico per noi. Chi è contro Monti è alleato della Lega".Berusconi chiama e Roberto Maroni risponde così su Twitter Il lungo tira e molla sul prosieguo di un matrimonio che dura da 19 anni (tranne un periodo di separazione di tre anni durante il primo governo Prodi) pare risolversi nel senso sempre auspicato dal Cavaliere

Da non perdere

L'ex premier era tornato a minacciare la caduta delle giunte lombarde in Piemonte e Veneto in caso di mancato accordo su scala nazionale. E non è un mistero la voglia di Maroni di guidare il Pirellone in Lombardia. "Soltanto alleandosi con noi Maroni avrebbe forti percentuali di vittoria. Altrimenti, se consegnassero la Regione alla sinistra, cadrebbero anche le giunte regionali di Piemonte e Veneto, e altre 100 amministrazioni del Nord dove ora governiamo assieme".
La risposta del segretario del Carroccio su Titter è piuttosto esplicita, data la campagna elettorale impostata da Berlusconi Campagna fin qui incentrata a picconare Monti, reo di aver opposto un rifiuto alla proposta di guidare 'il fronte moderato'. "La Lega non chiede un premier diverso da me, chiede che si indichi il leader della coalizione e che successivamente, dopo la vittoria, i vari partiti scelgano insieme un possibile loro candidato" aveva dichiarato Berlusconi prima del tweet di Maroni.

                                  

UNA POLITICA POVERA ANZI MISERA





     

Una politica povera. Anzi, misera 

Una politica povera, anzi misera, priva di prospettive a lungo termine, tutt'altro che entusiasmante. All'avvio di questa livida e rissosa campagna elettorale si coglie l'assenza di contenuti nei programmi (chiamiamoli così) e nei discorsi degli esponenti più significativi. Si è, insomma, di fronte ad una visione ragionieristica piuttosto che ad una contesa di idee e concezioni che trascendano le pur importanti cifre che vengono noiosamente ed ossessivamente sciorinate da questo e da quello. Brilla, si fa per dire, in tal senso il premier Mario Monti il cui orizzonte sembra essere l'aritmetica applicata al governo del Paese: nessuno gli ha spiegato che con i numeri non si reggono gli Stati. Seguono a ruota, come se non avessero altro da dire, Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, entrambi affetti dallo stesso morbo, cioè a dire la riduzione della politica ad aridi e discutibili conti.
Soggiogati dalla difficile crisi una qualche attenuante comunque ce l'hanno, ma non tale da assolverli dal vuoto che coltivano nel praticare una politica senz'anima, quasi fossero a capo di consigli di amministrazione piuttosto che di partiti volti a raccogliere consensi ben oltre la sfera contabile. Per quanto dediti ad una pratica che toglie al confronto una più ampia ed ambiziosa prospettiva, non dovrebbe tuttavia sfuggire loro che governare i popoli è molto più complesso che svilire bisogni ed interessi ad espressioni matematiche,indecifrabili logaritmi,contorte analisi macroeconomiche.
È per questo che i leader, unitamente ai comprimari, non hanno appeal, mancano di attrattiva. Non si rendono conto che  ridurre , come fanno, la sfera pubblica ad un gigantesco ed incomprensibile grafico nel quale tasse e spese s'intrecciano con le curve del deficit e dell'evasione non basta a soddisfare le aspettative dei cittadini che chiedono ben altro, al di là di standard di vita scanditi dalla quantità dei consumi che si possono permettere. Pretendono ben altro e si guardano attorno smarriti, al di là  talvolta del loro "privato",  per cercare di cogliere dalla multiforme e cangiante realtà quale la loro dimensione e, di conseguenza, quali comportamenti assumere.

Non sarà un'Agenda o un programma elettorale a colmare il divario tra la politica e la gente, insomma. C'è in giro una domanda diffusa, che nessuno raccoglie, di una migliore qualità della vita che, ovviamente pur non prescindendo dalle cifre fredde dei bilanci dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, si fonda sulla ricerca di rapporti più stabili e di relazioni comunitarie migliori. È il grande tema dei diritti e dell'etica che sembra essere sfuggito ai politici, mentre le persone - spesso considerate alla stregua di meri elementi statistici - s'interrogano su questioni che attengono allo sviluppo dell'esistenza in rapporto alle questioni che pone lo sviluppo o la decrescita demografica cui è connesso il modello di welfare da adottare; la sudditanza alla tecnologia ed il limite di questa di fronte alle libertà violate dal suo uso sempre più spregiudicato; il dialogo con le genti e le culture in un mondo votato ormai all'uniformità ed aggredito dal "pensiero unico" e le possibilità degli Stati nazione di essere comunque fattori di coesione di comunità plurali, come sosteneva il grande pensatore conservatore Robert Nisbet.

E poi sulle identità minacciate, sulle nuove povertà, sulle pericolose disparità tra nord e sud del mondo, sull'infelicità crescente (sì c'è anche questo) tra le nuove generazioni, sulla morte dell'autorità e sul declino di una consapevole concezione e pratica della libertà, qualcuno sente forse dire qualcosa dai Soloni che ci ammorbano dalla mattina alla sera con lo spread e con  l'Imu,  senza peraltro risolvere alcunché, come se le nostre esistenze fossero tutt'uno con i titoli azionari e con le odiose tasse escogitate da chi, direttamente o indirettamente, ha partorito la bancarotta con cui oggi ci tedia dalla mattina alla sera?
Non voglio qui dire che sarebbe politicamente eccellente se lorsignori si dedicassero alla riforma delle riforme: quella Stato. Ne ho pudore, tanto hanno dimostrato di essere inadeguati a partorire perfino una banale legge elettorale. Ma sommessamente mi permetto di ricordare che senza buone istituzioni non si costruiscono società ordinate e che società moralmente malate non partoriscono buona politica. Immagino già i ricordati leaderini alzare le spalle e far finta di niente.

Così come mi pare più o meno tutti, tranne coloro che saranno direttamente toccati, fingono di non vedere un vulnus alla politica nella levata d'ingegno di Mario Monti che pretende di sottoporre al vaglio di un tagliatore di teste di sua fiducia, il noto risanatore di aziende Enrico Bondi, quello della spending review, le candidature dei partiti della sua coalizione, vagliando i profili degli aspiranti competitori, facendo le pulci a tutti coloro che invece di concorrere per uno scranno parlamentare dovrebbero popolare la "democrazia degli angeli". Roba giacobina, insultante pratica da tricoteuses in attesa di veder cadere teste mozzate. I partiti dovrebbero essere capaci di tutelare l'autonomia della politica rispetto a certi autocrati che sembrano aver fatto di se stessi gli strumenti di una oscurantista palingenesi degna di arbitrari custodi di una democrazia debordante nell'intolleranza. Il domani, di questo passo, non potrà che essere peggiore del presente.

                         

LE STRATEGIE CONTRO LA RUSSIA





IL NUOVO ORDINE MONDIALE E LE SUE STRATEGIE CONTRO LA RUSSIA DI VLADIMIR PUTIN 

   

Pussy Riot, strategie mediatiche e Otpor: strane coincidenze globali dietro una comune regia?

Quando Materialismo Marxista e Liberismo capitalistico diventano due distruttive armi di una Guerra comune  contro Dio e l'uomo.  Chi c'è dietro le rivolte popolari e le "Primavere Arabe"  scoppiate nel mondo dal 1990 ad oggi? 


Mosca, Londra, Washington, Roma, Damasco – Chi sono le Pussy Riot? Cosa rappresentano? Chi c'è dietro di loro? Sono domande che ci poniamo da qualche mese, ma alle quali abbiamo esitato a rispondere ufficialmente attraverso le pagine dell'Osservatorio "Qui Europa", perchè ci sembrava un qualcosa di non pertinente con l'oggetto del nostro giornale (l'analisi delle politiche europee dell'Ue e degli stati membri) e perchè viste le notizie profondamente dissonanti e spesso contraddittorie sull'argomento ci mancavano dei tasselli essenziali alla ricostruzione fedele ed imparziale del curioso puzzle. Ma alla fine ci siamo riusciti, e quel che ne è emerso non ha davvero nulla di rassicurante e democratico. Anzi!

 Il fenomeno Pussy Riot 

Le ragazze  (sedicenti neo-attiviste dei diritti umani) munite di passamontagna fluorescenti, nel corso del 2012 hanno acquistato una fama mondiale inattesa e quantomeno curiosa, per essersi esibite in maniera dissacrante e blasfema lo scorso febbraio nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, inscenando una parodia liturgica ed una supplica pop alla Vergine Maria, contro Vladimir Putin. Le irriverenti ragazzine, poco più che ventenni, furono – come noto – tempestivamente arrestate e successivamente condannate a due anni di reclusione per "teppismo motivato da odio religioso". Nadia Tolokonnikova e Maria Alyokhina sono finite in due campi diversi. La terza condannata, Iekaterina Samutsevich, è stata rilasciata. "Dentro o fuori sei sempre sotto controllo – ha dichiarato nei giorni scorsi in una intervista – la Russia è una grande prigione". Ma di certo quel che accadde in quel freddo febbraio non fu qualcosa di casuale, né di spontaneo. E lo si comprende chiaramente unendo i pezzi di un puzzle grottesco e spaventoso, ma ben architettato dai profeti del "caos" e "dell'ordine mondiale" preconfezionato. Di sicuro l'interesse suscitato tra i media mondiali dall'accaduto è stato inusuale e clamoroso. Ne parlarono curiosamene tutti i TG e i media occidentali (gli stessi, per intenderci generalmente protesi alla censura di ciò che accade in Siria e Libia); nonché molte pop star del calibro di Madonna e Paul Macartney, che non esitarono a supportare la strana e blasfema forma di protesta delle Pussy Riot. Il “The Guardian” – giornale di punta britannico – in merito scrisse: “in Russia oggi, è peggio dell’era sovietica!” Ma stanno davvero così le cose? E' davvero tutto oro ciò che luccica ed emerge dalle sviolinate apparentemente neutrali – ed accorate – della stragrande maggioranza dei tabloid americani ed occidentali? 

 Espressione del comunismo radicale e amate dal lobbismo occidentale 

Certo l'oggetto della controversia non ci è parso di primo acchito molto onorevole e degno di sostegno morale e/o ideologico. Vandalismo e blasfemia; profanazione della Cattedrale di Mosca e versi irrispettosi contro la religione, protesi ad attaccare il presidente Vladimir Putin (che di certo, intendiamoci, non è un santo!). Da qui la condanna a due anni di carcere e l'ascesa delle tre ragazzine: salutate dall'Occidente delle lobby mediatiche come vittime di un regime oppressivo ed oscurantista, una sorta di eroine post-moderne della libertà e della pace. Ma è davvero così? Chi sono davvero le Pussy Riot? Una cosa è certa, per la stessa irriguardosa performance in paesi occidentali come Usa e Regno Unito, le tre ragazzine sarebbero andate incontro a pene forse ancor più severe, rispetto ai due anni comminati dal tribunale russo. Ma  scavando tra documenti vari attinenti alla – sia pur breve – vita artistica delle Pussy Riot, emerge l'immagine di un gruppo laicista ed ateo, per la precisione comunista radicale e di orientamento marxista, espressione del ramo estremista “Voina” (guerra) supportato non da gruppi dichiartamente comunisti – non solo – ma addirittura da alcune delle più note ONG occidentali, e dai loro media di riferimento. Si! Avete capito bene "Occidentali". Com'è possibile, dunque, questo anomalo e paradossale connubbio tra marxismo ateo e capitalismo liberale occidentale? Il mistero s'infittisce!

 Irriverenti e blasfeme per copione 

Ma non è finita! Nelle scorse settimane, Yoko Ono – la nota vedova di John Lennon – ha assegnato al contestato e nel contempo  "acclamato" gruppo russo il premio per la pace "Lennonono". Qualcuno ai piani alti dei palazzi "mondiali" che contano, aveva avanzato anche la proposta di candidatura del blasfemo gruppo al femminile, addirittura per il "Premio Nobel". Ultimo paradosso poi – solo l'ultimo di una lunga serie di eccessi e stranezze  - la mostra realizzata nei mesi scorsi in Russia,  presso la Galleria Ghelman di Moscain onore delle tre ragazze: una mostra a dir poco blasfema con ad oggetto "icone" che le ritraevano con la stessa tecnica e gli stessi colori – olio su tela, nero e oro – utilizzati per la pittura sacra nella tradizione più classica della pittura ortodossa. “Un atto cinico di terrore contro la cultura russa”  secondo l’archimandrita Tikhon Shevkunov, segretario del Consiglio Patriarcale per la Cultura. Già! Perchè, per chi si intende anche un briciolo di arte sacra (come me) non può sfuggire il fatto che le icone nella tradizione russa siano considerate una sorta di "preghiera vivente", tanto che spesso neppure l'autore osa porvi la propria firma, per non alterarne il senso ed il messaggio altissimo e trascendentale espresso dall'opera. Ma perchè dunque tali e tanti atti irriverenti verso la religione, così spavaldamente ostentati e spacciati come atti di "progresso" e "pacifismo"? Qualcosa non torna! In effetti è curioso notare come le Pussy Riot si siano unite recentemente anche al gruppo "Femen" (note alla cronaca per aver protestato nei vari G20 a seno scoperto); abbiano deciso di appoggiare gruppi come “Marcia delle Troie” e le stesse mega-parate gay andate "in scena" qua e là per il pianeta. Operazioni di costume e protesta assolutamente "non censurate" dal sistema mediatico occidentale, ma anzi enfatizzate e promosse in maniera gratuita e tutt'altro che anonima. Manifestazioni ben finanziate e supportate anche da molte ONG occidentali, malgrado importassero forme di protesta estrema incentrate sul femminismo radicale, sul marxismo, sul materialismo ateo e culturale e sulla distruzione di tutti i valori religiosi e familiari tradizionali. Ma perchè appoggiare questo attacco alla religione ed alla famiglia? Cosa c'entra con la pace, la libertà e la civiltà? E perchè – soprattutto –  i media occidentali (di regime) non hanno mosso un dito – dimostrando altrettanto interesse – per difendere l'autonomia e la libertà di  personaggi come Julian Assange e di Wikileaks e la sua lodevole battaglia per la libertà di espressione. Un Assange, curiosamente difeso e posto sotto tutela solo da Mosca, ed osteggiato (guardacaso) da Londra e Washington, che ne chiedevano invece la testa, perchè depositario di scomode verità e reo di aver aperto il celeberrimo "Vaso di Pandora".

 Perestroika – Un miracolo al contrario 

Una cosa è certa, questi fenomeni s'intrecciano indissolubilmente con l'evoluzione della storia contemporanea della Russia. Putin, inutile nasconderlo – malgrado la disinformazione mediatica occidentale – ha ereditato un Paese in rovina, indebolito e sfasciato dal liberismo economico e dall'iperliberismo importato dalle politiche di Michael Gorbaciov e dalla sua sedicente "miracolistica" Perestroika (stile "Ricetta Monti" per l'Italia, per comprenderci). Un Gorbaciov oggi poco amato – per non dire odiato – dai Russi. La sua – al netto della propaganda mediatica Occidentale – fu una sorta di vecchia "Rivoluzione Araba" spiccatamente mondialista (nel senso più deleterio del termine) che ha finito per regalare il grande Paese – di Dostoevskij , Tolstoj, Chajkovskij e Rachmaninov – nelle grinfie dei grandi potentati economici mondiali e delle lobby, a danno delle Pmi e del welfare state, progressivamente ed inesorabilmente indebolito e devastato. Non ci stupisce, in tal senso, come nella "ricca" Russia di oggi, in realtà – anche se i media occidentali, in gran parte plagiati dalle menzogne del miracolo liberista, non lo riconoscono – la speranza di vita sia paragonabile a quella di alcuni paesi africani del terzo mondo. Per contro il liberismo economico, il processo di occidentalizzazione e le privatizzazioni intraprese con la "Perestroika", hanno finito per spostare l'80-90% della ricchezza nelle mani di una mera élite di imprenditori lberisti. Tra le grandi vittime di questo tsunami culturale, sicuramente la stessa cultura russa – da sempre tra i tesori più nobili e preziosi del Paese – colpita al cuore da decenni di tagli finanziari e violenze ideologiche.

 Marxismo ateo e capitalismo liberista – Due grandi alleati 

Prova di ciò è il fatto che la Russia (probabilmente il Paese più ricco del mondo, con le maggiori riserve di minerali, di gas e petrolio; un tempo terra di poeti, scrittori, musicisti, economisti, geni, scenziati e nobel) produca oggi meno del 1,7% di tutta la ricerca scientifica mondiale. La povertà in compenso dilaga: come del resto la denatalità. Un Paese messo in ginocchio dal miracolo al contrario chiamato "Perestroika", ed osannato dalla stragrande maggioranza dei media occidentali di regime. E solo oa, alla luce di qeste analisi, forse capiamo il perchè! Un disegno mondialista che parte dalla Guerra Fredda, e da quello strano rapporto di amore e odio di due ambigui personaggi chiamati Ronald Reagan e Michael Gorbaciov. E questo Vladimir Putin – che pur un angelo non è – sembra averlo capito più che bene, nel suo estremo ed osteggiato tentativo di salvare il Paese da ulteriori saccheggi iper-liberisti e – nel comtempo – dagli stessi privilegi della burocrazia di Stato. Emblema di questa "sorta di  guerra culturale apparente" di carattere mondialista – tra due forme di ateismo molto assolutizzanti, quali marxismo materialista e liberismo capitalistico, apparentemente contrapposte, ma in fondo due facce della stessa medaglia – è la loro lotta comune contro i valori cristiani, la sacralità dell'uomo come creatura di Dio e la famiglia.

 La "Rivoluzione Siriana" – Un'emblematica cartina tornasole 

Da qui si spiega l'avvicinamento dello stesso Vladimir Putin alla Chiesa ortodossa ed i suoi crescenti consensi tra il popolo russo: ormai disilluso dai retaggi del passato di un'evanescente e distruttiva "Perestroika". In tal senso il caso "Siriano" – ed il tentativo di contrastare l'imperialismo Nato-Usa (e il collaborazionismo ONU) in Siria – può essere letto come una interessante ed emblematica cartina tornasole della situazione sopra illustrata. E ciò mentre – ironia della sorte – il marxismo materialistico (che per oltre un secolo ha contraddistino l'identità dello stato burocratico russo) oggi sembra essersi trasformato in un'arma sfruttata dall’elite mondiaslista e liberista occidentale contro la stessa Russia, per destabilizzare il Paese e quanti si oppongono all'insano disegno per il controllo della Terra, chiamato "Nuovo Ordine Mondiale". Fenomeno che si serve di opinion leader, stelle pop/rock e organizzazioni ONG: "angeli" vestiti di luce e falsi profeti capaci di attrarre larghi consensi, ed espressione di un becero modernismo laico e laicizzante, che mina sottilmente valori alti quali la sacralità dell'individuo, la famiglia e la religione, spacciando le loro "rivolte indotte e pilotate"  come "salvifiche rivoluzioni democratiche nascenti dal basso".

 NWO e ruolo di Otpor 

E la cosiddetta "Rivoluzione Araba" ne è l'esempio più tangibile ed eloquente. Il tutto dietro l'uso metodico di nuovi simboli e strategie di comunicazione (marketing della sommossa) avallati stranamente ed in tempi non sospetti (con chiare dichiarazioni stampa) da uomini come Soros e Draghi (?) ed incarnati in movimenti come gli stessi "Indignados" e "Occupy Wall Street". Curiosi fenomeni e "coincidenze" che possiamo riscontrare attraverso l'analisi dei movimenti dell'organizzazione Otpor: una sorta di associazione cui simbolo distintivo è un pugno chiuso (lo stesso presente in almeno una dozzina di sommosse – tutte quelle nate dagli anni Novanta ad oggi – e lo stesso "curiosamente" esibito in più occasioni dalle stesse Pussy Riot – vedi foto in alto) che avrebbe come scopo la fomentazione di rivolte mediante proteste ed insurrezioni popolari. Esisterebbe, in tal senso (come prova, vedi il video in allegato) una vera e propria "revolution training school" protesa alla pianificazione strategica delle sommosse popolari. In particolare, dopo la caduta di Milosevic, in Serbia, il pugno chiuso di Otpor divenne un simbolo conosciuto in tutto il mondo, ed usato perfino sul sito ufficiale di "Occupy Wall Street". Dall'Iran alla "Rivoluzione Arancione" in Ucraina; dalla "Rivoluzione delle Rose" in Georgia alla "Rivoluzione dei Tulipani" in Kirghizistan; dalla "Rivoluzione dei Jeans" in Bielorussia alla già citata "Rivoluzione Araba" in Medioriente. Tutte sommosse che hanno presentato il medesimo super-sponsor occidentale, gli Stati Uniti d'America.

 Il destino incrociato di Russia e Siria 

La cosiddetta “Primavera Araba”, in tal ottica ed in Paesi come la Libia e l'Egitto,  è stata finora (e come dimostrato in centinaia di articoli dal nostro Osservatorio Indipendente)  il miglior risultato raggiunto da questa strategia. Piccoli gruppi finanziati dalle elite diffondono il dissenso nella società, orientandone gli effetti verso i propri obiettivi. Nei paesi islamici, ciò ha determinato che i Fratelli Musulmani (gruppi integralisti e mondialisti a sfondo massonico) contribuissero al disegno egemonico del "Nuovo Ordine Mondiale". Ora l’elite sta cercando di applicare la stessa strategia con la Siria e la Russia. In tal senso gruppi come quello delle Pussy Riot, si dimostrano come piccole ma paradossalmente potenti pedine all'interno di un oscuro scacchiere ed al servizio di un oscuro maestro di strategia. D'altra partre, infatti, non va scordata l'eloquente dichiarazione di David Rockefeller del 1991: "Il mondo – auspicò il ricco e potente banchiere – è pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una élite di intellettuali e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all'autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati". 

 Semplici come colombe ed astuti come serpenti 

Ben venga allora il malcontento verso la finanza malata e corrotta che sta devastando il mondo; ben venga la protesta contro le lobby bancarie e l'Unione europea che oggi le spalleggia spudoratamente e consapevolmente; ben venga la voglia di cambiamento, ma che si traduca in proposte concrete e di pace, orientate sempre all'amore per il prossimo ed al rispetto della vita umana, nel rispetto dei valori cristiani e della vita. Ben venga la voglia di riconquista della nostra sovranità monetaria e finanziaria, rubataci con l'inganno ed attraverso leggi inique dalle spinte liberiste fomentate da tali oscuri "maestri" con la complicità di politicanti asserviti a questo sporco gioco. Ma che siano desideri ed auspici che possano passare sempre attraverso il buon senso; il pubblico dissenso e la dura e motivata protesta, ma il dialogo. Non diventiamo complici inconsapevoli e stupidi dei nostri stessi carnefici. Un esempio? Chiediamoci come mai molti dei pullman atti a trasportare i manifestanti della protesta dell'11 Novembre 2011 a Roma (che scoppiò cioè due giorni prima dell'avvento in Italia del golpe della banda Monti) furono messi a disposizione in centinaia da sconosciuti personaggi ed in maniera stranamente gratuita. Apriamo gli occhi e siamo vigili. Non cediamo alle lusinghe ed alle bugie di falsi profeti; e soprattutto difendiamo in ogni sede i nostri valori più sacri, celesti e trascendentali. Non dimentichiamoci, nel nome di un dissacrante e vuoto modernismo, la profondità ed il valore delle nostre radici cristiane – il tesoro più prezioso da custodire e difendere – e diffidiamo dai facili entusiasmi sorretti dal vuoto e dal nulla e da quei movimenti di massa fomentati solo dall'odio e privi di umanesimo e trascendentalità. Riscopriamo assieme i valori più profondi ed incommensurabili del Vangelo di Cristo, e ridiamo centralità all'uomo ed alle sue prerogative. Ma facciamolo con la semplicità delle colombe e vigilando con furbizia, evitando di aboccare ai subdoli e distruttivi messaggi ed agli inganni dei falsi profeti che infestano il mondo ed ai loro "facili entusiasmi".

                                                              

LA STORIA DEL LORO POTERE

                                                            



Corporations: la Storia del loro Potere Assoluto 

 

Come le corporations  guadagnano il potere istituzionale autonomo e diventano più distaccate da luogo e gente, l’interesse umano e l’interesse aziendale diventeranno sempre più divergenti. E’ quasi come fossimo invasi da esseri alieni, intenti a colonizzare il nostro pianeta, riducendoci a dei servi della gleba e – quindi – escludendoci per la maggior parte. –

E’ assai raro che si facciano dei sondaggi per conoscere cosa si pensi circa il potere aziendale. Di solito, le domande sono più idiote: cose come aborto o il controllo delle armi. Ma nel settembre del 2000, Business Week pubblicò i risultati di una serie di sondaggi su cosa provavano le persone verso il potere esercitato dalle grandi aziende o multinazionali (Corporations) nella società. In questo caso, americana. Ma non faccio distinzioni.
I sondaggi lasciavano trasparire un enorme malessere culturale: troppo potere alle imprese, troppo tutto aziendale. Quando il sondaggista commissionato dal Business Week chiese alle persone cosa ne pensassero circa una dichiarazione fatta ”Il business ha troppo potere su troppi aspetti della nostra vita“, il 52% disse di essere “completamente d’accordo” ed un ulteriore 30% si reputava essere “un pò d’accordo“.
Due mesi dopo il sondaggio, si pose un’altra domanda più specifica: “Come valuta il potere dei diversi gruppi d’impresa che influenzano le politiche del governo ed i politici?” – Solo il 5% rispose che le grandi aziende hanno “troppo poco potere“, mentre il 74% ha fermamente risposto “troppo“.
Perché le Corporations hanno così tanto potere? Nei sondaggi del giornale non si chiedeva alle persone la loro opinione circa i fattori di fondo che creano questo potere. Ma possiamo certamente immaginare cosa avrebbero risposto se si fosse chiesto. Si sarebbe certamente detto da dove deriva il potere di queste enormi Corporations: dalle azioni delle strutture politiche, dalle lobbies, dai loro avvocati, dal controllo di milioni di lavoratori.
Si sarebbero potute anche menzionare le “porte girevoli“, quelle che muovono le figure aziendali dentro e fuori dalle agenzie governative, dalle società proprietarie dei media conglomerati e così via. Tutti questi fattori sono ben noti. Altri fattori lo sono meno, soprattutto l’acquisizione costante da parte delle corporazioni, dei diritti costituzionali a partire dall’anno 1880. Perfino se le aziende non sono menzionate nella Costituzione: in un qualche modo, hanno accumulato diritti legali maggiori rispetto all’essere umano.
Come è potuto succedere?
Quando iniziai a leggere una certa parte di letteratura circa la nascita delle grandi imprese (Corporations), notai ripetuti riferimenti sugli aspetti del potere aziendale, le radici sepolte nella storia, specialmente su oscure decisioni da parte dei tribunali che “scoprivano” diritti aziendali nascosti nel linguaggio della Costituzione. In che modo questi diritti costituzionali si traducono in potere politico?
La risposta è che questi integrino e mettano a disposizione alle Corporations le altre risorse politiche (soprattutto per quelle di grandi dimensioni), fornendo la carta vincente da giocare quando le tattiche politiche più dirette falliranno. Se minacciate da un regolamento indesiderato o da un pezzo fastidioso di legislazione, le Corporations avranno un sacco di strumenti su cui ricorrere: lobbisti, campagne pubblicitarie, minacce di trasferire le fabbriche all’estero e così via. Anche così, le leggi contrarie agli interessi corporativi approveranno, a prescindere dal peso convenzionale dell’impresa. Soprattutto in tempi di accresciuta mobilitazione pubblica.
Ecco dove sarà più utile andare ad usufruire dei diritti costituzionali. L’Amministratore Delegato o il vice presidente per gli affari legali, dirige gli avvocati della corporazione per contestare le normative in tribunale. Il Tribunale ritiene la legge “incostituzionale” e la invalida.
Ma da dove provengono questi diritti? È possibile leggere la Costituzione da capo a piedi - compresi tutti gli emendamenti aggiunti al documento fino ad oggi - e non trovare una singola istanza della parola “Corporazione“. Per questo motivo, i diritti cui le aziende godono, sono stati costituiti tutti in modo indiretto, in particolare in una manciata di decisioni da parte della Corte Suprema. 
All’inizio dei miei studi, iniziai a far ricerca sulla storia delle Corporations. Notai ripetuti riferimenti ad un caso in particolare: la sentenza del 1886 a Santa Clara County, contro la Southern Pacific Railroad. Questo caso – presumibilmente - trattava le Corporations come ”persone” e – in tal modo - si diede loro accesso ai diritti come fossero esseri umani.
Pensai che, se Santa Clara fosse stato il caso chiave in questo processo secolare di decisioni aziendali sui diritti, sarebbe valsa la pena di leggere il testo della decisione stessa. Ero curiosa di sapere come la Corte Suprema avesse potuto giustificare le Corporations dichiarandole persone fisiche. Digitando il nome ed il luogo della sentenza su Google, trovai immediatamente la decisione online al seguente link:

Il Video

    http://youtu.be/Sa74wjxGfH8 
In questa versione online, una delle frasi dice: “L’imputato Corporations sono persone all’intento della clausola della sezione I del Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, il quale vieta ad uno Stato di negare ad una persona qualsiasi all’interno della propria giurisdizione, l’uguale protezione delle leggi. “
Va bene“, pensai. “Vediamo come lo possiamo giustificare“. L’idea che le Corporations siano considerate “persone“, sembrava essere un bella asserzione metafisica radicale e decisi di voler conoscere il modo in cui la Corte la avesse avvalorata. Ma più che una spiegazione, mi imbattei su di un punto piuttosto curioso. Il Presidente della Corte Suprema Waite – a quanto pare – doveva essere di umore estremamente scorbutico il 26 gennaio: il primo giorno delle arringhe degli avvocati.
Uno dei punti fatti e discussi a lungo nel breve consiglio per gli imputati, era: “Le Corporations sono persone ai sensi del Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti“. Prima dell’argomento, il Giudice Waite disse: “Il giudice non vuol sentir difese sulla questione della disposizione contenuta nel Quattordicesimo Emendamento della Costituzione, che vieta ad uno Stato di negare a qualsiasi persona all’interno della sua giurisdizione, l’eguale protezione delle leggi, che si applica a queste Corporations. Siamo tutti del parere che lo faccia“.
Wow! Pensai: “La Corte non vuole sentir le difese…“. Com’è avventato. Il giudice stava avendo un attacco di dispepsia? Forse di gotta? (Avevo letto da qualche parte che il re Giorgio III ne soffriva). Od era – più semplicemente - reduce di una sbornia notturna?
Continuai a leggere, fino a quando non ebbi modo di incappare in un’altra frase: “MR. JUSTICE HARLAN delivered the opinion of the Court.“.
Hmmm. Forse quella era la spiegazione che aspettavo. Così, lessi e rilessi fino a che gli occhi iniziavano a bruciare: 36 paragrafi estremamente secchi su massicciate,  parapetti, recinzioni e servitù di passaggio. Tornai a leggere per controllare. No, nessuna personalità corporativa. Ed – infine – ebbi modo di leggere un passaggio in cui “MR. Justice HARLAN” dichiarava la ferrovia vincitrice della causa, ma nessun motivo circa la ”personalità“.
Al contrario, assegnarono alla Southern Pacific un “pollice in su” per motivi tecnici che avevano a che fare con il modo in cui i valutatori qualificarono le recinzioni di proprietà della ferrovia. In effetti, “MR. Justice HARLAN“dichiarò che la Corte non aveva bisogno di invocare alcun principio importante per risolvere il caso. Le questioni tecniche furono sufficienti.
Quindi, mi sentii doppiamente provocata. In primo luogo, circa l’idea che le Corporations debbano esser trattate sullo stesso piano giuridico e morale degli esseri umani. Secondo, sull’assenza di una qualsiasi discussione sul perché  -  e, di fatto, al diniego che qualsiasi questione costituzionale fosse stata decisa dal caso!
Tutto questo mi lasciò più che confusa. Anche se, l’intera nozione della “personalità corporativa” ancora mi sembrava assurda, intuitivamente sbagliata. Ho anche riflettuto sull’osservazione comune che ci fosse qualcosa di impersonale, di strano, senz’anima. Soprattutto, man mano che queste si espandono. “Se non altro“, ruminai, ”sono le persone all’interno della società che hanno bisogno di avere dei diritti, non le stesse società“.
Come iniziai le ricerche sulla decisione di Santa Clara, scoprii di non esser stata l’unica persona ad aver provato confusione. Il caso è circondato da complessità ed anche da intrighi. Ci sono complotti con agende nascoste, note manoscritte di conseguenza indicibili, falsi indizi, offuscamento intenzionale, perfino un “giornale segreto“. Studiare è come sbucciare una cipolla. Sotto uno strato di mito, ne trovi un altro ed un altro ancora.
L’intera macchia di complicanze, rende la decisione di Santa Clara interessante: forse un pò ‘troppo interessante’ perché tutti gli intrighi e le complessità tendono a distogliere l’attenzione da altre cose. In particolare, sugli aspetti dei ‘poteri corporativi’ che potrebbero esser ulteriormente nascosti nella storia. Così Santa Clara diventa il suo stesso mito – l’idea sbagliata che l’intera piovra del potere corporativo derivi da una decisione della Corte Suprema.
Un’alitata che vi sia molto di più del mero potere corporativo di Santa Clara e della sua decisione: 1886. Qualcosa doveva esser successo prima perché – a partire dalla metà del 1860 – un certo numero di americani di spicco, improvvisamente iniziarono ad emettere allarmi isterici circa il potere aziendale. Per esempio, nel 1864 Abraham Lincoln scrisse quanto segue in una lettera al suo amico William Elkins:
Possiamo congratularci con noi stessi che questa guerra crudele si stia avvicinando alla fine. E’ costata un gran numero di tesori e di sangue…. Infatti, è giunta l’ora di provare per una Repubblica, ma vedo in un prossimo futuro l’avvicinarsi di una crisi che mi innervosisce e mi fa tremare per la sicurezza del mio paese. Come risultato della guerra, le Corporations sono state sul trono e seguirà un’era di corruzione in luoghi altolocati. Il potere del denaro del paese si sforzerà di prolungare il suo regno, lavorando sui pregiudizi del persone, finchè tutta la ricchezza sarà aggregata nelle mani di pochi e la Repubblica verrà distrutta. In questo momento, mi sento in ansia più che mai per la sicurezza del mio paese: anche nel mezzo di una guerra. Dio voglia che i miei sospetti si possano rivelare infondati.
Allo stesso modo, nel 1870, Henry Adams - nipote e pronipote dei presidenti – prevedè che le Corporations alla fine, riusciranno a governare se stesse. Sotto la forma americana della società, non ci sarà nessuna autorità in grado di fare una resistenza efficace…
Chiaramente, il processo per cui le Corporations accumulano potere politico e giuridico di cui godono oggi, non inizia nè si conclude con Santa Clara del 1886. Benchè sia un caso importante, rappresenta un singolo gene dell’intero cromosoma del potere corporativo. Come cerco di mappare questo cromosoma, utilizzo come punto di riferimento la decisione di Santa Clara. L’esempio più famoso e più significativo di come una società abbia utilizzato il sistema legale per ottenere particolari privilegi. Lentamente, identificai altri diritti e semi-diritti, risalendo dal XIX secolo, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Questo processo di potere si divide in tre fasi sommarie:
Nella prima, le Corporations avranno acquisito un certo numero di efficaci semi-diritti, quali la responsabilità limitata e la perpetua esistenza: ma la Corte Suprema non aveva ancora concesso loro alcun diritto costituzionale formale. Nella seconda, le Corporations acquisiscono almeno undici diritti costituzionali distinti, a causa di una serie di decisioni della Corte suprema nel corso del secolo. Nella terza, il processo di potere si sposta nella scena internazionale: come iniziarono gli accordi di commercio internazionali, così si crearono quei meccanismi mediante i quali le Corporations potevano ignorare l’autorità delle nazioni sovrane.