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martedì 21 febbraio 2012

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SE LA FINE DALL'EURO NON FOSSE L'OPZIONE PEGGIORE



E SE LA FINE DALL'EURO NON FOSSE L'OPZIONE PEGGIORE ?
Non sappiamo quando, ma succederà: la dissoluzione dell’eurozona. Anche al profano non è sfuggito che il progetto di integrazione monetaria più ambizioso della storia, è andato in crisi dopo appena dieci anni di operatività. Un record di velocità fallimentare. Nel corso dei secoli non c’è unione monetaria che sia sopravvissuta senza che i suoi confini combaciassero con quelli delle aree politiche, salvo appunto quella degli Stati Uniti d’America che pure ha impiegato ben due secoli prima di funzionare.Mentre la ragione prima della crisi va ricercata nel fatto che l’unità monetaria non è stata la conseguenza naturale di un unione politica, creata da un elettorato comune, ma il mezzo artificioso per realizzarla, il suo peggioramento e la sua irreversibilità va ricercata nel fatto, senza precedenti nella storia, che i deficit dei governi hanno creato una economia dove i prodotti più comprati e venduti sono ormai rappresentati dai titoli del debito pubblico. Si pensi che il rapporto debito/pil mondiale necessario per finanziare la seconda guerra mondiale è praticamente pari a quello odierno. Il debito “fluttuante” europeo, privo di qualsiasi copertura se non quella garantita dalla sempre più scarsa capacità contributiva collettiva, ha preso il controllo delle economie trasformandole in un referendum continuo sul rendimento del debito. Ma questo referendum lungi dall’essere uno strumento di democrazia economica, riflette solo la propensione di governi autoreferenziali e assolutisti di conformare le regole dell’economia alle proprie necessità. Il mercato del debito, portando alla insolvenza generale e creando un clima di incertezza, precarietà e volatilità, rende la crescita impossibile. Sarà appunto la paralisi dell’azione economica a determinare l’autodistruzione dell’euro.
Missione impossibile
Fin dal 1999, l’economista britannico ed alto funzionario dell’UE, Bernard Connolly, nel suo libro, l’“Anima corrotta dell’Europa” (The Rotten Heart of Europe) aveva previsto la crisi politica europea ed il ruolo egemone che avrebbe svolto la Germania. Poco prima dell’eruzione della Grande Crisi, nel 2007 sempre Connolly scrisse che l’EU aveva deliberatamente creato la “bolla” più pericolosa di tutte, l’UEM, l’Unione economica e monetaria.
Le vittime sacrificali sarebbero state in primo luogo le famiglie, le imprese e  poi le banche, e all’interno del cordone sanitario europeo il controllo sarebbe stato preso dal paese più forte che ne avrebbe approfittato per instaurare un impero Eurogermanico. Ma questo vaticino non si realizzerà perché l’eurozona si è trasformata, contro le previsioni, in una prigione per tutti e dalla quale anche il popolo tedesco, se potesse, uscirebbe volentieri. Ma oggi nessuno può farlo e tutti cercano di prendere tempo in attesa di un meccanismo salvastati che funzioni. L’’interconnessione dei debiti e crediti fra i paesi membri e fra questi ed il resto del mondo vincola tutti, per ora, saldamente all’eurozona. Se ad es. la Germania abbandonasse l’euro ripristinando il marco, la moneta comune colerebbe immediatamente a picco rispetto al marco e a tutte le altre valute. La Germania è infatti il fulcro dell’unione monetaria. Ma sarebbe una catastrofe anche per la Germania stessa perché essendo il maggiore creditore dell’eurozona vedrebbe i propri crediti svalutarsi nel momento della conversione da euro in marchi. Tutto il capitale tedesco in euro sarebbe svalutato nella stessa misura dell’euro. E pur vero che anch’essa avrebbe il sollievo della svalutazione del proprio debito in euro, ma il deprezzamento colpirebbe i suoi creditori nel resto del mondo che non tollererebbero di essere danneggiati dal paese che ha implicitamente garantito tutto il debito accumulatosi nell’eurozona. L’uscita dall’euro in questo momento non è negoziabile per nessuno tanto meno per i paesi deboli che non potrebbero rifinanziare il debito se non a tassi esorbitanti.
L’unica opzione possibile è quindi più centralizzazione, più integrazione, cioè più Europa al fine di ristrutturare il debito. Nelle parole recenti di Angela Merkel, “una lunga strada”. La lunga strada significa che, nessun paese potrà più piazzare il proprio debito fino a quando non verrà stipulato fra tutti i membri un patto fiscale che ristabilisca, attraverso riforme strutturali la loro capacità di indebitarsi, al momento, esaurita. Ammesso che funzioni ci sarà tempo per costruirla? E se ci sarà tempo quanto costerà in termini di prolungata stagnazione?
Le conseguenze dell’assolutismo finanziario
Per intendere il significato di questo patto di integrazione fiscale non bisogna dimenticare il postulato fondamentale: il fulcro del sistema economico resta il debito sovrano e questo è il riferimento da adottare per valutare la gamma delle opzioni possibili a disposizione degli stati la cui necessità resta quella di perpetuare i deficit. Come riuscirci?
Poiché la potenza del mercato obbligazionario del debito pubblico sta nel sanzionare i governi facendo aumentare il costo del loro indebitamento, tutte le norme, riforme, regolazioni e piani di risanamento di cui le popolazioni europee saranno vittime, serviranno all’obiettivo principale: favorire a tutti i costi il mercato dei titoli di stato. Il che significa aumentarne il valore ed abbassarne il rendimento con strumenti selettivi e complementari dosati e utilizzati in combinazione per cercare di creare nuovo debito senza provocare collassi.
Le future ricapitalizzazioni bancarie e obiettivi di liquidità richiederanno una quantità maggiore di titoli di stato e le banche centrali assicureranno ai propri governi la possibilità di assumere prestiti a tassi reali possibilmente negativi e quindi i guadagni dei governi diventeranno le perdite per qualsiasi investitore: diventerà così difficile ottenere un rendimento positivo al netto dell’inflazione. L’asset allocation nei portafogli degli investitori istituzionali e dei gruppi bancari favorirà i titoli di stato a favore della riduzione del costo dei debiti e a spese della crescita degli apparati produttivi. Per raggiungere questo fine le riforme strutturali contempleranno un cocktail micidiale di misure imperniate sia sulla tassazione esplicita che su quella occulta. La prima la conosciamo già e serve ad aggredire direttamente patrimoni e redditi delle classi medie.
La seconda, occulta è l’inflazione. Più alta è, più velocemente si riduce il debito. Al momento è ancora strisciante ma è possibile che nuovi stimoli monetari in presenza di stagnazione possano farla impennare e diventare incontrollabile da richiedere “misure non convenzionali” come controllo dei prezzi e dei capitali. Si verificherebbe anche una enorme redistribuzione della ricchezza a favore di tutti i debitori. Il costo della monetizzazione sia diretta (remota da parte della BCE) che indiretta (da parte del fondo salvastati, European Stability Mechanism ESM) ricadrebbe sui percettori di reddito fisso nella forma di riduzione di potere d’acquisto.
La terza è la manipolazione dei tassi di interesse, la misura più sottile di tassazione occulta, ma anche la più letale per l’economia.
Il tasso di interesse è il prezzo più importante dell’economia perché è quel prezzo che, in un mondo normale, dovrebbe segnalare la scarsità delle risorse e guidarne l’allocazione verso gli investimenti più produttivi ed urgenti per la collettività, mettendo in relazione i rischi con i rendimenti. Ma ormai non viviamo più in un mondo normale. Siamo nel mondo dei debiti e il tasso è fissato dalle banche centrali in funzione del debito. A causa dell’inflazione i tassi reali sono negativi e questo dovrebbe segnalare, economicamente, un’abbondanza illimitata di capitale. Invece l’economia ne è priva. A quale aberrazione ci ha portati il paradigma dell’assolutismo finanziario statale! In un mondo normale non appena un governo inflazionasse, il mercato richiederebbe immediatamente interessi più alti per compensare il tasso di inflazione dissuadendo i governi dallo spendere. Ma questo è impedito perché i governi per continuare a produrre deficit devono investire a tassi di interesse negativi cioè prendere a prestito per rimborsare alla scadenza meno di quello che hanno ricevuto.
Il paradigma finanziario repressivo, cercando di prevenire un nuovo collasso, creerà una tale confusione che l’eurozona invece di diventare un luogo di integrazione diventerà un area di conflitti e immiserimento.
Il mercato dei capitali, completamente falsato da tassi di interesse artificiali, reso incapace di trovare allocazioni razionali non funzionerà più, gli investimenti non daranno reddito, non ci sarà più incentivo al risparmio, i percettori di reddito fisso vedranno crollare il proprio potere d’acquisto, i fondi pensioni che detengono quote crescenti di ricchezza non saranno più in grado di ottenere rendimenti in grado di remunerarla e non riusciranno a pagare le pensioni di una popolazione sempre più longeva. La gente di tutti i ranghi e di tutte le condizioni non avrà più prospettive di redditività e le energie imprenditoriali saranno soffocate.
Alla fine l’economia controllata dai governi paralizzerà tutto e tutti e la crisi precipiterà. Non sappiamo se assumerà la forma di una deflazione o inflazione, ma ciò poco importa perché, nella sostanza, entrambi i fenomeni riusciranno nello stesso intento: eliminare definitivamente la bolla del debito. La prima, attraverso i default, la seconda attraverso la distruzione dell’unità monetaria. In entrambi i casi l’eurozona si dissolverà.
Ma non si creda che sia un evento catastrofico come si continua a ripetere per spaventare la gente. Sarà solo la fine di una calamità. La fine del peggior arbitrio perpetrato nella storia monetaria moderna. Quando nel 1944, i paesi uscirono distrutti dalla seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante della storia, già negli anni 50 avevano ricostruito le proprie economie. E senza repressioni finanziarie.
La disintegrazione dell’euro lascerà le case in piedi, le fabbriche pronte per l’uso e soprattutto non ci saranno milioni di morti. Ci saranno solo milioni di vivi pronti e ansiosi di riprendere in mano il proprio destino.