LA
RICHIESTA DI ARRESTO PER L’ON. FRANCANTONIO GENOVESE: NUOVA SEDUTA
DELLA GIUNTA. ECCO IL RESOCONTO. IL TERMINE SCADE IL 18 MAGGIO. NUOVE
MEMORIE DIFENSIVE. L’INTERVENTO DELL’ON. GRILLO (M5S)
Domanda
di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in
carcere nei confronti del deputato Francantonio Genovese (doc. IV, n. 6).
(Seguito dell’esame e rinvio).
La Giunta riprende l’esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 16 aprile 2014.
Danilo LEVA, presidente,
comunica che, a seguito della deliberazione assunta dalla Giunta nella
riunione del 16 aprile scorso, la Presidente della Camera ha concesso la
proroga di trenta giorni del termine entro cui la Giunta è tenuta a
riferire all’Assemblea. Nella sua lettera viene specificato che si
prende atto dell’esigenza di acquisire taluni documenti dall’autorità
giudiziaria competente, nonché dell’impegno della Giunta di riprendere
l’esame non appena essi siano acquisiti al fine di assumere le relative
deliberazioni nei tempi più brevi possibili. Il nuovo termine scade pertanto il 18 maggio.
Nella citata seduta della Giunta del 16 aprile è stata,
altresì, approvata la richiesta di acquisire dall’autorità giudiziaria
le pronunce relative alle misure cautelari disposte nell’ambito del
procedimento penale nonché la documentazione – ulteriore rispetto a
quella già presente negli atti trasmessi – concernente la società
Training service.
Quanto ai provvedimenti cautelari, il Presidente del
tribunale di Messina, che ringrazia a nome della Giunta per la sollecita
cooperazione, ha inviato i suddetti atti. Quest’ultimo ha altresì
comunicato che la documentazione concernente la società Training service
è nella disponibilità della locale procura della Repubblica, alla quale
il presidente della Giunta ha immediatamente rivolto la medesima
richiesta.
Antonio LEONE
(NCD), relatore, ritiene opportuno offrire ai colleghi una sintetica
disamina degli elementi istruttori prodotti dal deputato interessato,
ovvero acquisiti dalla Giunta su propria iniziativa nel corso dell’esame
della domanda.
Già nella relazione introduttiva aveva fatto cenno ai
contenuti della prima memoria difensiva prodotta dal deputato
interessato, poi integrata – oltre che in sede di audizione presso la
Giunta – da altre note e documenti, in parte richiesti dalla Giunta e in
parte da lui spontaneamente prodotti.
Nelle sue memorie difensive, nonché nella sua audizione,
Genovese formula argomentazioni a sostegno della sussistenza, nei suoi
confronti, di un evidente fumus persecutionis.
Ciò sarebbe desumibile, in primo luogo, dall’abuso di mezzi
investigativi, caratterizzato dall’acquisizione e dall’uso indebito
delle intercettazioni delle sue conversazioni; inoltre, secondo
Genovese, vi sarebbero state distorsioni macroscopiche
nell’interpretazione delle norme penali sostanziali applicate, con lo
scopo di formulare – in modo artificioso e meramente funzionale
all’obiettivo di pervenire a pene edittali più elevate e rendere più
plausibile la misura cautelare della custodia in carcere (oltre che
aumentarne i termini massimi) – fattispecie di reato più gravi e,
segnatamente il peculato in luogo del reato di truffa (in contrasto con
il giudicato cautelare interno: Cass. VI sez. pen. n. 5889/2014) e –
soprattutto – il riciclaggio.
Ad avviso del deputato Genovese, si assisterebbe inoltre ad
un travisamento dei fatti per come ricostruiti nel corso dell’indagine,
cui si accompagnerebbe un immotivato rifiuto di approfondire o
addirittura acquisire – mediante incidente probatorio – prova su
elementi di fatto essenziali per l’integrazione delle figure di reato
contestate.
Nelle memorie difensive si palesa anche la possibile
manipolazione di alcune fasi processuali, in quanto la contestazione del
reato nei suoi confronti sarebbe dovuta eventualmente avvenire in una
fase precedente e non quando effettivamente è accaduto, con lo scopo di
affievolire la sua posizione difensiva.
Il deputato interessato ha anche richiamato elementi di
condizionamento del giudice procedente, testimoniati dalla formulazione
di un’istanza di astensione, per gravi ragioni di convenienza, che
sarebbe stata rigettata dal Presidente del tribunale di Messina, in
quanto essa non avrebbe enunciato in modo completo i rapporti tra alcuni
imputati e la moglie ed il cognato del giudice, peraltro emersi ben
prima della decisione sulla richiesta di custodia cautelare nei suoi
confronti.
Infine, il deputato Genovese denuncia la sistematica fuga di
notizie che avrebbe caratterizzato, anticipandone i contenuti, ogni atto
giudiziario relativo all’inchiesta, così da sollecitare nell’opinione
pubblica la convinzione della colpevolezza degli indagati e rendere
doverose le ordinanze di custodia in carcere.
Quanto poi alla sua posizione nell’ambito delle vicende
oggetto di indagine, Genovese – nei suoi atti difensivi – ha posto
all’attenzione della Giunta alcuni elementi di valutazione, che si
riassumono di seguito.
In primo luogo, la limitatissima incidenza che le somme
contestate avrebbero in ordine alla sua complessiva posizione
patrimoniale, maturata in trenta anni di partecipazioni societarie e
attività politica e professionale.
In secondo luogo, il mancato riconoscimento – senza prove ed
al solo scopo di configurare una condotta, invero anomala, di
riciclaggio – dell’effettivo svolgimento da parte sua di attività
professionale fatturata alle società a lui riferibili e dell’attività
della sua società Caleservice, erroneamente definita dal giudice come
una «cartiera», senza riconoscere il notevole patrimonio – superiore ai
15 milioni di euro – e senza preoccuparsi di acquisirne i bilanci,
circostanza che smentisce in radice l’accusa di false fatturazioni e di
frode fiscale.
Infine, l’onorevole Genovese ha ribadito con forza, in ogni
suo atto difensivo, l’impossibilità di configurare nei suoi confronti
l’ipotesi di reiterazione del reato, atteso che gli enti di formazione
oggetto di indagine (LUMEN e ARAN) non sono più accreditati presso la
Regione Sicilia e hanno già cessato la loro attività. Residua una sola
società a lui indirettamente riconducibile – denominata Training Service
– che è ancora operativa nel campo della formazione professionale. Al
riguardo, la nota difensiva precisa che i relativi progetti formativi
sono stati ammessi al finanziamento nell’agosto del 2012, con la
previsione di una prosecuzione per gli anni a venire, come poi avvenuto
per il 2014 peraltro con un significativo decremento del finanziamento;
l’ente ha un unico contratto (di locazione immobiliare) con una sua
società e non ha partecipato ad ulteriori bandi, avendo in corso solo ed
esclusivamente l’attività formativa riconducibile alla seconda
annualità dell’avviso pubblico n. 20 del 2011, destinata ormai ad
esaurirsi nei mesi a venire.
Come già ricordato dalla presidenza, nella seduta dello
scorso 16 aprile la Giunta ha deliberato di richiedere all’Autorità
giudiziaria le pronunce in materia di provvedimenti cautelari adottati
nell’ambito dei due tronconi del procedimento riguardante l’onorevole
Genovese.
La richiesta di integrazione documentale derivava dal
collegamento – posto in evidenza nella stessa ordinanza del GIP oggetto
di esame – tra la posizione di Genovese e le esigenze cautelari riferite
ad altri indagati tra cui, in particolare, il signor Elio Sauta.
Per quest’ultimo offre la seguente ricostruzione dei
provvedimenti cautelari che lo hanno riguardato: il 9 luglio 2013 è
stata emessa l’ordinanza che ne disponeva gli arresti domiciliari; l’8
agosto 2013 il collegio per il riesame ha rigettato il ricorso del
Sauta, confermando la misura degli arresti domiciliari, in quanto «unica
cautela adeguata allo stato a garantire le prospettate necessità di
tutela sociale è da ritenersi quella degli arresti domiciliari, la
quale, ampiamente proporzionata alla natura, alla gravità ed al numero
degli illeciti contestati, vale a prevenire (…) il pericolo di
reiterazione di condotte analoghe a quelle oggetto di contestazione»; il
14 ottobre 2013, accogliendo invece l’appello della procura, il
collegio per il riesame ha disposto la custodia in carcere in
sostituzione degli arresti domiciliari, in quanto «solo la misura della
custodia cautelare in carcere è idonea a scongiurare il pericolo di
reiterazione di reati della medesima natura (…). Ricorre, inoltre, un
serio pericolo di inquinamento probatorio»; risulta che l’esecuzione
dell’ordinanza sia stata sospesa, essendo stato proposto ricorso in
Cassazione; il 23 dicembre 2013, la II sezione penale del tribunale di
Messina ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare degli
arresti domiciliari in quanto «permangono inalterate le esigenze
cautelari poste a fondamento della misura – fronteggiabili unicamente
con una misura custodiale»; il 22 gennaio 2014, la II sezione penale del
tribunale di Messina, ha invece revocato la misura cautelare degli
arresti domiciliari in atto, con la seguente motivazione: «l’apertura
del dibattimento e l’avvio dell’istruttoria, con l’esame dei primi
testimoni e il conferimento degli incarichi peritali costituiscono
elementi che (…) assumono sicura valenza sintomatica in ordine al
mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento
cautelare, essendo senz’altro idonei a spiegare piena efficacia
deterrente su dei soggetti sostanzialmente incensurati ed alla prima
esperienza detentiva; (..) pertanto, possono ritenersi del tutto cessate
le esigenze preventive sottese al trattamento cautelare».
Da ultimo, il 24 marzo 2014, il Collegio per il riesame
accoglieva l’appello dei PM e riformava l’ordinanza del 22 gennaio 2014
nel senso del ripristino della misura degli arresti domiciliari in
quanto «l’attuale stato di avanzamento dell’attività istruttoria (…) non
vale ad escludere che l’imputato, se lasciato libero di ricompattare il
sistema di legami e agganci di cui godeva, possa proseguire
nell’attività criminosa, anche avvalendosi del paravento costituito
dall’interposizione di soggetti terzi. (…). La misura degli arresti
domiciliari vale a costituire un sicuro margine alla ripetizione delle
condotte illecite»; decisione non esecutiva fino alla sua definitività.
Per completezza, essendo stata evocata in alcuni passaggi del
dibattito in Giunta, offre anche una sintetica ricostruzione dei
provvedimenti cautelari adottati nei riguardi della moglie
dell’onorevole Genovese, Chiara Schirò: il 9 luglio 2013 è stata emessa
l’ordinanza che ne disponeva gli arresti domiciliari; l’8 agosto 2013 il
collegio per il riesame ha rigettato la richiesta di riesame della
signora Chiara Schirò, confermando la misura degli arresti domiciliari,
in quanto «proporzionata alla gravità dei fatti ed idonea ad infrenare
il predetto pericolo di reiterazione del reato»; il 23 dicembre 2013, la
II sezione penale del tribunale di Messina ha rigettato l’istanza di
revoca della misura cautelare in quanto «permangono inalterate le
esigenze cautelari poste a fondamento della misura – fronteggiabili
unicamente con una misura custodiale»; il 22 gennaio 2014, la II sezione
penale del tribunale di Messina, ha invece revocato la misura cautelare
degli arresti domiciliari con la seguente motivazione: «l’apertura del
dibattimento e l’avvio dell’istruttoria, con l’esame dei primi testimoni
e il conferimento degli incarichi peritali costituiscono elementi che
(…) assumono sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della
situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare, essendo
senz’altro idonei a spiegare piena efficacia deterrente su dei soggetti
sostanzialmente incensurati ed alla prima esperienza detentiva; (…)
pertanto, possono ritenersi del tutto cessate le esigenze preventive
sottese al trattamento cautelare»; il 3 marzo 2014 il Collegio per il
riesame accoglieva parzialmente l’appello dei PM e riformava l’ordinanza
del 22 gennaio 2014 disponendo il divieto di dimora a Messina in quanto
«possono ritenersi solo affievolite le originarie esigenze cautelari,
permanendo, nondimeno, la necessità che l’imputata non operi nel
territorio messinese», decisione non esecutiva fino alla sua
definitività.
Alla Giunta sono state altresì trasmesse numerose ordinanze
concernenti le misure cautelari reali adottate nel corso del
procedimento, sui cui contenuti non si sofferma.
Resta ancora pendente la
richiesta, avanzata dalla Giunta al tribunale di Messina e,
successivamente, alla locale procura della Repubblica, di visionare i
documenti eventualmente acquisiti agli atti dall’autorità giudiziaria
relativi all’attività dell’ente Training Service.
Si tratta di una richiesta
istruttoria chiaramente funzionale a maturare un convincimento sulla
fondatezza dell’affermazione recate nell’ordinanza che fonda la misura
della custodia cautelare sul presupposto della ragionevole certezza
della «reiterazione delle medesime condotte criminose».
Ricorda che l’ordinanza del GIP cita marginalmente le vicende
legate a tale ente, essenzialmente allo scopo di sostenerne la
riconducibilità a Genovese e ricordando che essa tra il dicembre del
2011 e il novembre del 2012 ha stipulato cinque contratti di locazione
ed un contratto di comodato con la Caleservice e nel dicembre 2012 altri
contratti con enti ricollegabili all’onorevole Genovese.
Gianfranco Giovanni CHIARELLI
(FI-PdL) ringrazia il relatore per aver fornito alla Giunta una guida
alla lettura della nuova documentazione pervenuta, corposa ancorché
incompleta. In ragione di ciò, ritiene di dover rinviare lo svolgimento
del suo intervento nella discussione ad un momento successivo, non
essendo stato nelle condizioni di approfondire i nuovi elementi
istruttori a disposizione, pervenuti solo nella giornata di ieri,
peraltro in modo parziale.
Giulia GRILLO
(M5S) rileva preliminarmente di intuire dalle parole del collega
Chiarelli la volontà di rinviare ulteriormente la conclusione dell’esame
già programmata per la seduta di domani.
Osserva che ciascun gruppo politico può avere una propria
legittima posizione ideologica in ordine all’utilizzo delle misure
restrittive della libertà personale e che questa posizione può influire
sulla decisione che ciascun gruppo è chiamato ad assumere in relazione
ai casi sottoposti all’esame della Giunta.
Tiene a chiarire, per la sua parte politica, che invece il
Movimento 5 Stelle non muove da un presupposto di tipo ideologico.
Sebbene, infatti, il gruppo al quale appartiene abbia un atteggiamento
critico sulla prassi applicativa di alcune prerogative parlamentari che
oggi appaiono solo come dei privilegi della classe politica, comprende
tuttavia la ratio ad esse sottesa, che è quella di salvaguardare
l’autonomia del parlamentare che potrebbe essere inficiata da azioni
persecutorie della magistratura. Ciò giustifica le funzioni della
Giunta, che è un organo politico, e non tecnico – come dimostra anche il
fatto che non è previsto che i suoi componenti abbiano una specifica
competenza nel settore giudiziario – in ordine alla valutazione della
sussistenza del fumus persecutionis oggettivo o soggettivo.
Dopo aver esaminato l’ordinanza di custodia cautelare emessa
dal GIP e una parte rilevante della documentazione trasmessa alla
Giunta, ritiene di poter concludere che la quantità di elementi
probatori enunciati sia dal GIP che dalla procura sia tale da
giustificare la richiesta di restrizione della libertà personale nei
confronti del deputato Genovese.
Sottolinea inoltre che vi sono elementi attinenti al contesto
storico-ambientale nel quale si inquadra la vicenda in esame che a suo
avviso fanno cadere la tesi della sussistenza del fumus persecutionis.
Osserva infatti che le indagini sugli enti di formazione in
Sicilia non si riferiscono solo al Genovese, perché vi sono altri filoni
di indagine che riguardano altri esponenti politici di altre province
della regione (Palermo e Catania) che evidenziano come il sistema di
gestione degli enti di formazione sia particolarmente fallace e si
presti ad una concreta e difficilmente controllabile possibilità di
truffe da parte di soggetti esterni. Il sistema di acquisizione del
controllo degli enti di formazione, che sono enti no profit, consiste
sostanzialmente nell’introdurre all’interno del consigli di
amministrazione persone di fiducia dei vari politici di turno; diversi
esponenti politici hanno infatti operato in Sicilia in questa direzione,
servendosi degli enti di formazione come bacino di voti, secondo un
meccanismo collaudato. Ne è prova il fatto che in Sicilia, in relazione
alla gestione degli enti di formazione, è stata istituita una
Commissione d’inchiesta, cui si fa riferimento anche negli atti
processuali trasmessi dall’autorità giudiziaria. Ciò fa comprendere
anche come l’inchiesta che riguarda Genovese non costituisca un fatto
isolato, ma si inserisca in un’indagine più complessa che si è
sviluppata in varie direzioni. A suo giudizio questo è un elemento
oggettivo che esclude la possibilità di ravvisare un’azione persecutoria
della magistratura nei confronti di Genovese.
Evidenzia poi un ulteriore elemento che, a suo avviso,
demolisce la tesi sostenuta dalla difesa di Genovese secondo la quale,
venendo meno l’operatività di alcuni enti o di alcune società
direttamente o indirettamente riconducibili a Genovese o a suoi sodali,
verrebbe meno anche la sua capacità di delinquere, e quindi la sua
possibilità di reiterare il reato.
Ritiene infatti che dagli atti emerga l’esistenza di sistemi
abbastanza rodati che consentono la reiterazione del reato e che si
basano non tanto sulle caratteristiche degli enti, che possono essere
ancora attivi o cessati, ma sulla conoscenza dei meccanismi attraverso i
quali operano gli enti stessi e dei metodi di aggiudicazione degli
appalti. Si tratta di meccanismi che sono rimasti inalterati, posto che
la Regione siciliana non ha introdotto criteri diversi rispetto a quelli
che c’erano prima delle indagini; è sufficiente quindi avere questo
know how per poter reiterare il reato, sia pure con i tempi più lunghi
che si rendono necessari nel momento in cui occorre riattivare un ente o
utilizzare un’altra società.
Pur riconoscendo che oggettivamente le condizioni per poter
reiterare il reato si sono fortemente indebolite – visto che alcuni
collaboratori del deputato Genovese non hanno più la possibilità di
operare in modo occulto e che, anche se non sono incorsi in misure
restrittive della libertà personale, certamente non hanno la libertà di
attivare contatti telefonici o intrattenere rapporti – osserva però che
rimane in piedi il know how che riguarda sia il deputato Genovese che i
suoi collaboratori.
Con riferimento alla Società Caleservice, contesta le
affermazioni del deputato Genovese in ordine al fatto che tale società
non sarebbe una «cartiera». Dagli atti emerge che questa presunta
società di servizi in realtà veniva utilizzata per esigenze personali e
familiari di Genovese, come rivelano in modo palese alcune fatture
acquisite agli atti. A suo giudizio, pertanto, risulta chiaro che la
Caleservice era una società che serviva agli scopi più disparati e che
comunque a confondere le tracce su una serie di operazioni, come risulta
da una ricostruzione degli inquirenti.
Da ultimo, valuta gravissimo, nonché pretestuoso e
strumentale quanto affermato da Genovese in merito al condizionamento
del giudice che ha adottato la misura cautelare. Ne costituisce
testimonianza la richiesta di astensione dal procedimento che lo stesso
giudice ha formulato al momento in cui è venuto a conoscenza, mediante
una intercettazione casuale, della situazione del cognato che svolgeva
il suo lavoro all’interno dell’assessorato alla formazione. A suo avviso
il comportamento del GIP va letto non come una volontà di persecuzione
nei confronti dell’onorevole Genovese ma, al contrario, come la volontà
di distaccarsi dalla situazione che si era creata. Pur ritenendo di non
dover entrare nel merito delle valutazioni del presidente del tribunale,
osserva che questi ha ritenuto che tale elemento non fosse così
rilevante da distogliere il GIP dalla conduzione del procedimento.
Confessa quindi di non capire come Genovese possa rinvenire in tale
situazione un indice di una volontà persecutoria nei suoi confronti,
tanto più che alla sua vicenda giudiziaria è stato dato poco risalto
dagli organi di informazione e che le poche ricostruzioni apparse in
articoli di stampa non appaiono orientate a colpevolizzarlo.
Antonio LEONE
(NCD), relatore, richiamando le affermazioni dell’onorevole Grillo
desidera precisare che, nella sua funzione di relatore nonché di membro
della Giunta, nessun suo comportamento è orientato da pregiudizi
ideologici in ordine all’istituto processuale delle misure cautelari. In
questa sede l’unica sua preoccupazione è quella di consentire alla
Giunta di svolgere la funzione istituzionale di valutare la richiesta
dell’autorità giudiziaria al fine di proporne all’Assemblea
l’accoglimento ovvero il rigetto.
Giulia GRILLO
(M5S) accoglie con soddisfazione la precisazione del collega Leone,
aggiungendo che, a suo avviso, ad escludere radicalmente il fumus
persecutionis milita anche un ulteriore argomento. Non si rinviene,
infatti, nell’attività parlamentare del deputato Genovese, che peraltro
non riveste incarichi istituzionali o di partito, alcuna iniziativa di
particolare rilievo tale da costituire plausibile motivo di accanimento
giudiziario persecutorio nei suoi confronti.
Daniele FARINA
(SEL) si domanda quale sia la connessione tra l’attività politica del
deputato Genovese e la sussistenza o meno del fumus persecutionis.
Giulia GRILLO
(M5S) precisa che il suo ragionamento muoveva dal presupposto fattuale
secondo cui anche l’attività politica potrebbe essere motivo, in estrema
ipotesi, di individuare un parlamentare come bersaglio da colpire.
Anna ROSSOMANDO
(PD) ritiene che l’odierno dibattito sia stato molto utile, non solo in
quanto ha consentito di apprezzare ulteriori elementi istruttori, ma
anche per aver messo l’accento sui parametri di valutazione della
Giunta.
Certamente parametrare l’eventuale sussistenza di un intento
persecutorio all’attività parlamentare svolta dal deputato nella
presente legislatura costituisce un argomento scivoloso, sebbene non si
possa escludere che l’assunzione di posizioni politiche particolarmente
accentuate possa esporre il parlamentare anche a rischi di questo tipo.
Riprendendo inoltre le considerazioni svolte dal relatore e
dalla collega Grillo sulla necessità di non assumere posizioni
pregiudiziali ed ideologiche, osserva che ciascuna opzione politica è
ammissibile nella sede propria. In questo senso è in corso un
significativo dibattito nell’ambito della Commissione Giustizia sulla
riconfigurazione delle misure cautelari, che tuttavia non deve inficiare
in alcun modo le scelte che i membri della Giunta sono tenuti a
compiere nell’esame della richiesta che riguarda l’onorevole Genovese.
Rileva che la Giunta non si è sottratta allo svolgimento di
un approfondito lavoro istruttorio e che, allo stato, dispone di
un’ampia documentazione, che sarà presumibilmente integrata nei prossimi
giorni con gli atti provenienti dalla procura di Messina. Si può dire
pertanto che la fase della acquisizione documentale è ormai esaurita,
fermo restando che i membri della Giunta non possono sottrarsi allo
sforzo di un esame approfondito degli atti, come richiesto dalla
delicatezza della decisione che sono chiamati ad assumere.
Conclusivamente allo scopo di un ordinato svolgimento dei
lavori e della definizione della data in cui approdare alla
deliberazione finale, invita la Presidenza a convocare un apposito
Ufficio di presidenza già nella parte antimeridiana della giornata di
domani. Esprime fin d’ora, a nome del Gruppo democratico, l’impegno a
svolgere limitati interventi in dichiarazione di voto, per consentire
una tempestiva conclusione dei lavori della Giunta.
Paola CARINELLI
(M5S) ricorda che l’Ufficio di Presidenza si è già tenuto la scorsa
settimana e che era stata assunta la decisione di addivenire alla
deliberazione finale già nella seduta convocata per la giornata del 30
aprile.
Daniele FARINA (SEL) dichiara di condividere la proposta sull’ordine dei lavori dell’onorevole Rossomando.
Antonio LEONE (NCD), relatore, esprime a sua volta condivisione per la proposta della collega Rossomando.
Giulia GRILLO
(M5S) invita la collega Rossomando, affinché rimanga agli atti, ad
esplicitare le motivazioni della sua proposta. Se, sul piano
metodologico, essa si giustificherebbe in ragione di una volontà di
approfondimento degli atti, compresi quelli non ancora a disposizione
della Giunta, sul piano del merito non appare chiaro che rilievo possa
avere questa integrazione documentale concernente la Training Service.
Anna ROSSOMANDO
(PD) si limita a rilevare che la richiesta di acquisire la suddetta
documentazione è stata formalmente deliberata dalla Giunta nella scorsa
seduta. Spetta quindi alla Giunta assumere una diversa decisione,
qualora si ritenga di soprassedere dalla richiesta o di verificarne
l’incompatibilità con l’esigenza di concludere celermente i lavori.
Danilo LEVA
(PD), presidente, preso atto degli orientamenti emersi nel dibattito,
dichiara che sarà sua cura informare il presidente La Russa sulle
proposte concernenti l’ordine dei lavori della Giunta. Rinvia quindi il
seguito ad una successiva seduta, già convocata per domani