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domenica 25 novembre 2012

VIOLENZA/E

     
    VIOLENZA/E    

     Togliersi la vita a 15 anni e rompere il silenzio. Rompere il silenzio di una società atrofizzata dal pensiero unico dominante, di una scuola che sempre più spesso si trasforma in luogo di diseducazione, di una politica incapace di rispondere ai bisogni.
Togliersi la vita a 15 anni, per il dolore di un peso insopportabile, nell'età in cui la leggerezza è, giustamente, la cifra dell'esistenza. Cosa sia accaduto al piccolo A. per arrivare a tanto è, drammaticamente facile da scoprire, impossibile da comprendere. Era gay? Era eterosessuale? Era A., un ragazzo di 15 anni che frequentava il suo liceo, aveva degli amici, una famiglia, degli interessi, un'intelligenza, un corpo. Era un ragazzo che amava un colore proibito al suo genere, che si divertiva a smaltarsi le unghie, che, probabilmente, era più gentile e fragile dei suoi coetanei maschi di azzurro vestiti. Il punto, però, non è quale fosse il suo orientamento sessuale o perché amasse il rosa, ma perché adesso non c'è più. Indipendentemente da tutto questo, che è solo l'epifenomeno, il cuore della questione è un altro, e cioè perché alcuni utilizzano parole come gay, lesbica, transessuale, cioè orientamenti, scelte di vita, vissuti di milioni di persone nel mondo, al posto degli insulti, e lo possano fare impunemente.

Alla luce di questo è necessario trovare degli scudi per difendere la prossima vittima, e degli strumenti per modificare radicalmente queste abitudini criminali. E questo, ovviamente, spetta alla politica, a quella stessa politica che poco meno di due settimane fa ha affossato in Parlamento la Legge sull'omofobia, che non ritiene di dover dare gli stessi diritti a tutte le cittadine e a tutti i cittadini dello Stato, che non si preoccupa dell'imbarbarimento della società che è chiamata a rappresentare. Ma forse questo è proprio il frutto della barbarie dei rappresentanti, che ha infettato anche i rappresentati.

Come si può pensare di vivere in un Paese in cui l'altrui esistenza diventa un insulto? Come si può pensare una democrazia senza i diritti civili elementari? Come si può formare una generazione, il cui tempo è il futuro, nella barbarie del presente?

La civiltà non è un fatto individuale, ma collettivo, e la responsabilità dunque della barbarie non è solo di chi la compie ma anche di chi non la combatte.

C'era un tempo in cui in questo Paese la scuola pubblica era un volano d'emancipazione, di incivilimento, di educazione al miglioramento delle proprie condizioni di partenza e dei propri limiti. Oggi, invece, la scuola è diventata una palestra di conformismo e di competizione, un luogo in cui si devono nascondere le differenze e alimentare le solitudini, e che non è previsto che formi cittadini consapevoli.

Viene da chiedersi, con un pizzico di angoscia, cosa insegnino nelle scuole oggi, quale sia l'idea di rispetto che propugnano, quale il senso di collettività e di scoperta che fanno praticare a queste ragazze e a questi ragazzi. E, aggiungendo un pizzico di retropensiero, viene da chiedersi che relazione ci sia tra i soldi salvati sempre e solo per le scuole private, il fatto che queste ultime siano troppo spesso di proprietà della Chiesa o di qualche ente affine, e il tipo di educazione che si insegna nelle scuole, spesso anche in quelle pubbliche. Quando diciamo che vogliamo una scuola pubblica, democratica e laica, diciamo che non vogliamo che l'educazione del nostro futuro venga subordinata ad una qualche religione e ai suoi precetti, ma che sia libera, e rispettosa delle vite di tutti nel profondo, delle vite materiali fatte delle loro differenze, dei loro vissuti, delle loro scelte.

Come definire una scuola in cui gli studenti scherniscono, offendono, vessano un compagno, e gli insegnanti non lavorano per mettere fine a tutto questo? L'immagine più difficile da metabolizzare, quella che davvero non lascia spazio a nessun sentimento positivo, è quella di un insegnante che si unisce al coro, ammonendo un ragazzo, e umiliandolo, perché ha lo smalto sulle unghie. E' l'immagine dello sfacelo, del deterioramento della scuola e del suo significato più profondo. Immaginare che, dopo l'intolleranza dei quindicenni, bisogna subire anche quella di chi dovrebbe educare quegli stessi quindicenni alla tolleranza, al rispetto delle differenze, alla bellezza e al potere dell'amore, per il sapere e per gli esseri umani, è davvero insostenibile. La politica, il Governo, devono interrogarsi su questo, e non lasciare che altri amici, genitori, innamorati, perdano qualcuno che gli è caro perché ucciso dalle umiliazioni e dalla barbarie. E' importante, fondamentale, improrogabile, che il nostro Paese si doti di una legge che punisca e quindi prevenga il reato di omofobia, perché in caso contrario saranno tutti complici, anche dell'assassinio o del suicidio della prossima vittima, che sarà, come A., vittima non di violenze private ma di una continua violenza pubblica, dello Stato e di chi lo rappresenta, fatta ai danni di tante e tanti.

E poi è necessario che ci si faccia carico, una volta per tutte, dell'orizzonte di civiltà in cui vogliamo che crescano le giovani generazioni, attraverso maggiori e più costanti attenzioni nei confronti dei luoghi in cui i giovani si formano, come la scuola, e di coloro che sono designati a farlo, come gli insegnanti. Serve una maggiore formazione laica e non asservita a precetti cattolici per coloro che scelgono di educare i ragazzi e le ragazze, e serve che la rigidità, troppo spesso utilizzata da costoro per “normalizzare gli eccentrici”, venga utlizzata per isolare e “curare” i violenti, quelli che comunemente chiamiamo bulli. Non arginare costoro, non insegnare loro sin da ragazzini che prima di tutto esiste il rispetto inviolabile dell'altro da sé, significa rendersi complici delle sofferenze che oggi patisce un qualunque ragazzo o una qualunque ragazza a scuola, e che domani potrebbe trasformarsi in una violenza ben più grave e pericolosa. Non sarebbe di certo la prima volta che un bulletto tutto testosterone e spavalderia si trasformi poi in un maschio assassino, in uno che, qualche anno dopo, continua a esercitare la sua prepotenza sul corpo e sulla vita delle donne che hanno la sfortuna di incontrarlo. Esiste, purtroppo, una relazione fortissima e drammatica tra queste violenze, un filo conduttore che ha a che fare col nesso maschile-potere. E la violenza sulle donne, non è la conseguenza di questo, bensì la causa.
Luce Irigaray sottolinea come il tema delle differenze di genere, la piena comprensione di quelle esistenti tra uomo e donna, sia la base fondamentale per accettare l'altro/a, gli/le altre/i. Nell'ideologia dell'ordine simbolico, purtroppo ancora dominante, la donna è lo specchio attraverso cui l'uomo, guardandola come inferiore, sublima la sua condizione di superiorità. Ed ogni movimento, ogni azione che prova a infrangere quello specchio è un pericolo per il maschio dominante. Ogni manifestazione che metta in discussione questo “ordine (in)naturale delle cose” è dunque per l'uomo fonte di rabbia e violenza, poiché è inaccettabile che la superiorità e il dominio maschile sulla donna e sul tutto vengano messi in discussione.

E' inaccettabile che una donna possa decidere di mettere fine a una relazione, che decida i tempi e le modalità della sua vita, che possa vivere le stesse opportunità di un uomo. E' inaccettabile per un uomo vedere attraverso quello specchio non più la propria superiorità, ma l'immagine duale di cui la società si compone.

Inaccettabile per davvero è che in questa società non vengano presi dei provvedimenti specifici e urgenti per fermare lo sciame di violenze che si infrangono sulle donne e sulle differenze, sempre più spesso, purtroppo, causando vittime.
Il dramma, la piaga della società, questo è la violenza alle donne, che non fa distinzioni di etnia, religione, classe, titolo di studio. Gli uomini uccidono e fanno violenza alle donne in maniera del tutto trasversale, dal da chi non riesce a sbarcare il lunario all'avvocato ricco, dall'italiano al migrante, dal giovane al meno giovane. E la crescita, spaventosa, della violenza a giovani donne compiuta da giovani uomini è un campanello d'allarme inquietantissimo. Tra le giovani, infatti, cresce una consapevolezza sempre maggiore dei propri diritti, delle proprie aspettative, della propria libertà, che è un fatto splendido e straordinario per il nostro tempo, e se le istituzioni non saranno in grado di accompagnare questa crescita con delle politiche adeguate, ogni conquista ricadrà nell'oblio. Le giovani stanno avendo la forza di lottare, e le istituzioni devono rispondere adeguatamente. La scuola potrebbe avere un ruolo centrale e straordinario in questo, se solo si mettessero in pratica i programmi reali per l'insegnamento. Per esempio l'educazione sessuale, troppo spesso “dimenticata” più per un assurdo pudore che per incuria; l'educazione civica, che dovrebbe servire per formare appunto cittadini consapevoli, delle leggi e dei diritti che tutti hanno e devono avere nel proprio Paese, compresi i migranti per esempio; e perché no, gli studi sul genere, attraverso dei percorsi che portino le ragazze a concepirsi come donne libere, prive di timori, consapevoli del significato dell'essere donna, e i ragazzi a vivere questo come assolutamenti normale. Aiutando, inoltre, quegli stessi ragazzi a fare lo stesso percorso, scoprendosi uomini senza “l'aiuto” dello specchio che li faccia vedere come superiori, ma semplicemente altro dalla donna, diversi ma uguali nei diritti.

Lo Stato, dal canto suo, continua a mantenere un livello bassissimo di tutela e prevenzione dalla violenza. I centri antiviolenza continuano a chiudere, o quando va bene a vivere di stenti e volontariato, le leggi vengono applicate parzialmente, e soprattutto chi dovrebbe applicarle è ancora impreparato e a volte addirittura titubante. Siamo il penultimo Paese europeo ad avere firmato, da ventitresimo su 24, la Convenzione di Istanbul, che resta, come in tutti gli altri Paesi tranne che in Turchia, ancora da ratificare da parte dei Parlamenti, e dunque assolutamente inutilizzabile al fine di costituire l'Osservatorio europeo sulla violenza di genere.
Siamo in ritardo, ed ogni giorno che passa diventiamo complici di nuove violenze e di vite spezzate, spezzate dalla violenza di un maschile che diventa sempre più pericoloso e da un’inefficacia del lavoro delle istituzioni. Abbiamo bisogno di leggi, di chi le faccia rispettare, ma abbiamo tanto, tantissimo bisogno, di cambiare la cultura di fondo che permea la nostra società, maschilista, omofoba, criminale.                                                   

ANTI -FORNERO

       

         

Nasce il partito anti-Fornero per difendere i pensionati

Truffa ricongiungimenti, i partiti di maggioranza e la Lega Nord puntano a un emendamento alla legge di stabilità. Entro mercoledì il ministro in Commissione Lavoro 

"I presupposti per una soluzione farsa in stile esodati ci sono tutti. Il tempo per risolvere la grana dei ricongiungimenti onerosi sta ormai per scadere e l’esecutivo dei prof non sa ancora dove mettere le mani. Il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, ha assicurato che il governo si farà carico del problema, ma la verità, come per chi è stato lasciato in mezzo al guado dalla riforma delle pensioni, è che nessuno sa con esattezza le dimensioni del fenomeno e i costi di un ipotetico intervento. La Ragioneria dello Stato parla di 2,4 miliardi. Secondo l’Inps ne servirebbero 1,4. In realtà, le cifra che stanno emergendo in commissione Lavoro alla Camera, dove si sta creando un fronte compatto contro i tentennamenti del governo, si aggirano sui 900 milioni di euro spalmati su circa 10 anni. Soldi che potrebbero addirittura essere dimezzati se si decidesse di optare per un intervento soft che reintroduca i ricongiungimenti gratuiti, ma solo ai fini della pensione di vecchiaia", spiega Sandro Iacometti su Libero di domenica 25 novembre. La sostanza politica è chiara: per risolvere il pasticcio dei ricongiungimenti sta nascendo il partito anti-Fornero. Obiettivo, scongiurare la truffa sui fondi. Entro mercoledì, il ministro Fornero si recherà in Commissione Lavoro per risolvere la grana contributi. E i partiti di maggioranza e la Lega Nord puntano a un emendamento alla legge di stabilità.
                                                     

LE TRE PENSIONI DI BERSANI

       

 

Le tre pensioni di Bersani

    Non è il cantante, ma il segretario Pd Pier Luigi ( nel tondo ), il Bersani che ne ha tre di vitalizi, «mentre io non ne ho neanche uno» dice Renzi che ha sfida­to la nomenklatura anche sul cumulo delle pensioni. Il segretario del Pd è nel­la condizione di molti politici di profes­sione. Avendo lavorato nel partito co­me funzionario, ed essendo stato poi eletto in varie cariche, Bersani si ritro­verà, quando non sarà più parlamenta­re, a cumulare tre pensioni. Innanzitut­to quella da deputato. Avendo fatto tre legislature alla Camera, l’assegno del segretario Pd si aggirerà attorno ai 5mi­la euro lordi al mese. E si aggiungerà al vitalizio da ex consigliere regiona­le in Emilia-Romagna.  
Bersa­ni ci è entrato trentenne, e ci è rimasto per anni, fino a diventarne il governatore (sempre da consigliere), nel 1993. Il calcolo com­plessivo della sua pensio­ne da ex cons­igliere lo han­no fatto quelli del M5S in Re­gione: 4 .423,55 euro lordi al me­se. I due vitalizi si cumulano, la legge non lo vieta. Anzi, permette che si ag­giunga un altro assegno vitalizio, matu­rato dal lavoro extrapolitico. Bersani, ad esempio, ha fatto l’insegnante per un breve tempo dopo la laurea con lode in Filosofia, e successivamente è stato funzionario del Pci-Ds. Da questa attività lavora­tiva e dai relativi versa­menti Inps il segretario (come qualunque altro di­pendente del partito) ha ma­turato un terzo vitalizio, che si cumulerà ai due guadagnati con le legi­slature passate. Su quanto possa am­montare questa terza pensione è ar­duo fare ipotesi, e in generale sul fronte contributivo ci sono stati parecchi pro­blemi in casa Ds, come ci conferma il te­soriere Ugo Sposetti.                                                

LE POLTRONE DEI PRIVILEGI

     


  

Le poltrone dei privilegi affascinano, seducono, incantano  

Senza pudore questi nostri politici. Il bue chiama cornuto l’asino. Guardano la pagliuzza nell’occhio degli altri e non la trave che è nel loro occhio. Da che pulpito viene la predica… Vivono in mezzo ai privilegi, sono attaccati ai loro privilegi come le cozze allo scoglio, stanno facendo schifo fino all’ultimo con la legge elettorale, per non perdere i loro privilegi, per non doversi alzare dalla poltrona dei privilegi. Hanno approvato tutte le leggi popolo-succhiasangue escogitate dal governo per salvaguardare banche e grandi ricchezze, e poi vengono in Tv e fingono d’arrabbiarsi, fingono di scandalizzarsi poiché il conduttore televisivo non si degna di dire loro quanto guadagna. Così hanno fatto Giorgio Clelio Stracquadanio e Renato Brunetta (bella coppietta) rispettivamente durante le trasmissioni “Servizio pubblico” di Michele Santoro e “L’ultima parola” condotta da Gianluigi Paragone. Il primo politico per l’agitazione è diventato rosso paonazzo, il secondo si dimenava come un maggiolino sottosopra. Per costringere buona parte di questi politici senza pudore a togliere il sedere dalla poltrona dei privilegi, verrebbe voglia di votare per il Movimento 5 Stelle, ma il fatto è che quelle poltrone incantano, affascinano, seducono. Chi ci assicura che una volta che ci si siederanno i nuovi parlamentari del Movimento, non ne resteranno affascinati, sedotti, incantati? L’unica possibilità è far sparire le poltrone dei privilegi, oltre a quelli che attualmente vi si crogiolano.                            


                                                     
                                             

PER IL MINISTRO DELL' INTERNO

           

Per il Ministro dell’Interno c’è il “pericolo” di rivoluzione?




   Non esiste un concetto definito di rivoluzione, perché la rivoluzione è in permanente evoluzione e definire la rivoluzione vorrebbe semplicemente significare la fine stessa della rivoluzione.
Il termine rivoluzione ultimamente è stato utilizzato per vari eventi politici e sociali rilevanti, come la Primavera Araba, la prima elezione di Obama alla guida degli Usa, ma anche per semplici spot pubblicitari.
A parer mio la rivoluzione altro non è che la rottura di quelle catene che legano una moltitudine di individui ad una collettività amorfa adattata all’ordine sociale ed economico come imposto da una cerchia elitaria indirizzante l’equilibrio sociale oggi esistente.
Equilibrio fondato sulla non equità, sulla non solidarietà, sull’austerità, sull’ingiustizia sociale.
La rivoluzione dovrebbe mirare alla realizzazione di un sistema sociale fondato sull’equità, solidarietà e giustizia sociale rispettosa dei diritti umani.
Già, perché oggi giorno il concetto di giustizia sociale è utilizzato spesso anche dalle forze di estrema destra, che dilagano in tutta Europa, ed allora si deve differenziare anche il concetto medesimo di giustizia sociale.
Woody Allen direbbe che per fare una rivoluzione ci vogliono due cose: qualcuno o qualcosa contro cui rivoltarsi e qualcuno che si presenti e faccia la rivoluzione.
Il qualcuno o qualcosa contro rivoltarsi esiste, è il capitalismo, mentre quel qualcuno che si presenti e faccia la rivoluzione lo si intravede.
Ed è per questo motivo che il Ministro dell’Interno ha recentemente dichiarato che “Non possiamo consentire alla piazza di fare le scelte della politica” , mentre il Capo della Polizia afferma che “quando chi deve affrontare il problema e trovarne la soluzione non lo trova, ecco che diventa tutto dissenso, tensione, fibrillazione, effervescenza di piazza. Ecco che i poliziotti sono chiamati ad affrontare un problema che non toccherebbe loro”
Cosa vuole dire ciò?
L’Italia è in fase di sospensione democratica. Cosa ammessa pacificamente da tutte le componenti sociali, politiche e sindacali. Esiste un vuoto politico enorme, è venuta meno la canonica intermediazione tra la collettività ed il Palazzo della rappresentanza con il conseguente annichilimento della sovranità popolare.
Legittimare le azioni di protesta, spesso dure e violente, cosa in vari casi inevitabile, in altri artificiosa, vorrebbe dire legittimare azioni che mirano a demolire l’esistente, o meglio a colmare il vuoto politico con l’essenza della democrazia, la sovranità popolare.
Certo è anche chiaro che qualcuno coglierà l’attimo per indirizzare le lotte nell’ambito della campagna elettorale, ma l’astensionismo enorme e reale e la voglia di andare oltre, travolgerà ogni ipocrisia.
Ecco alcuni sindacati concertativi, anche di sinistra, che sino ad oggi hanno ammortizzato il conflitto sociale, prendere le distanze dalle manifestazioni di piazza, ritirarsi dagli scioperi “unitari”, od in alcuni casi neanche parteciperanno alle iniziative per esempio intraprese dall’unico movimento che ora è visibile, quello studentesco.
Avranno probabilmente delle direttive chiare in tal senso, unire il fronte del lavoro con quello studentesco è pericoloso.
Unire operai e studenti, lavoratori e studenti è un qualcosa da evitare per coloro che trovano legittimazione esistenziale proprio grazie a questo sistema economico e sociale che contrastano solo in via demagogica. D’altronde ciò è comprensibile visto e rilevato che parliamo di corporazioni sociali e sindacali che hanno un ruolo importante ed economico grazie alle regole esistenti.
Le forze dell’Ordine sono chiamate a garantire, sotto la maschera dei luoghi sensibili, il sistema esistente, l’antidemocrazia, la non sovranità popolare. Questo, i singoli soggetti che fanno parte delle forze dell’ordine, devono comprenderlo ed allora il manganello e la non legittimazione politica o sindacale delle lotte vere e sincere e non strumentali od indirizzate per altri fini, si coalizzano per evitare semplicemente ciò che rischia di essere inevitabile, la rivoluzione per la sovranità popolare.
Forse manca la consapevolezza di ciò, forse il popolo non è ben cosciente che si è innanzi ad un bivio che potrebbe comportare la caduta del presente. Probabilmente anche la paura del dopo, l’incertezza del dopo, rende tutto semplicemente labile e destinato, forse, ad un semplice urlo di piazza.
Sarà una storia lunga, molto lunga, ma il popolo deve sapere che il neofascismo e neonazismo è alle porte, e sbatte sempre con maggior violenza i pugni per far sentire la sua presenza, se non si organizzerà in modo chiaro e conciso e consapevole l’azione della rivolta, quello che potrebbe sembrare un semplice malumore ma che in realtà è reazione alla depressione e repressione sociale, verrà coltivato da chi vuole semplice autoritarismo, stragi, da chi vuole il male dell’umanità.