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domenica 2 marzo 2014

CONTRO LA DISOCCUPAZIONE ARRIVA IL NASPI

Contro la disoccupazione arriva il «Naspi», l’indennità che esclude 1/3 dei senza lavoro  


Si chiama «Naspi» il sus­si­dio con il quale il pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi intende tute­lare poco più di 1 milione e 200 mila per­sone a rischio di disoc­cu­pa­zione. Nove­cen­to­mila sono lavo­ra­tori dipen­denti a ter­mine, som­mi­ni­strati, inte­ri­nali che attual­mente godono dell’inden­nità di disoc­cu­pa­zione Aspi intro­dotta dalla riforma For­nero in sca­denza nel 2016. Gli altri 300 mila sono col­la­bo­ra­tori a pro­getto oggi esclusi da una misura riser­vata ai lavo­ra­tori subor­di­nati, agli appren­di­sti, ai soci lavo­ra­tori di coo­pe­ra­tive con rap­porto di lavoro subor­di­nato, al «per­so­nale arti­stico» con rap­porto di lavoro subor­di­nato e ai dipen­denti a tempo deter­mi­nato della P.A.
Il pre­re­qui­sito per otte­nere il sus­si­dio sarebbe quello di avere rice­vuto una busta paga per almeno tre mesi . L’entità del sus­si­dio oscil­lerà tra 1200 e 1100 per calare a 700 euro. Oggi, il disoc­cu­pato che ha lavo­rato 3 mesi nell’ultimo anno, ha diritto a per­ce­pire l’indennità per un mese e mezzo, incas­sando 930 euro. Un esem­pio, per capire di quale cifre si sta dav­vero par­lando. Reste­reb­bero fuori dal «Naspi» (un acro­nimo che dovrebbe signi­fi­care «nuova Aspi», ma que­sta è solo una dedu­zione, anche per­chè «Naspi» è anche il nome di un idrante) almeno 2 milioni di disoc­cu­pati (per l’Istat a gen­naio 2014 erano 3,3 milioni), le altre forme di lavoro pre­ca­rio e inter­mit­tente, i lavo­ra­tori auto­nomi iscritti alla Gestione sepa­rata dell’Inps: 1,8 milioni di persone.
Almeno 4 milioni di per­sone, ma il numero è supe­riore se si con­si­dera le par­tite Iva iscritte ad altre gestioni pre­vi­den­ziali, reste­ranno senza tutele. Con­tra­ria­mente a quanto scritto nella new­slet­ter inviata agli iscritti Pd qual­che set­ti­mana fa, il «Jobs Act» non isti­tuirà un «sus­si­dio uni­ver­sale» con­tro la disoc­cu­pa­zione, un sala­rio minimo e nem­meno un red­dito di base. Si parla invece di un sus­si­dio con­di­zio­nato alla par­te­ci­pa­zione ad un corso di for­ma­zione e ad un’offerta di lavoro, vale a dire un regime di «work­fare» ancora più pena­liz­zante di quello pro­spet­tata in pas­sato dal Pd o dal Movi­mento 5 Stelle con il suo vagheg­giato «red­dito di cittadinanza».
Dalle «indi­scre­zioni» sul «Jobs Act» apparse ieri su La Repub­blica e La Stampa emerge infatti un par­ti­co­lare non secon­da­rio: il rifiuto di una seconda pro­po­sta di lavoro com­por­terà la per­dita del sus­si­dio. Quest’ultimo ver­rebbe dif­fe­ren­ziato in base allo sta­tus con­trat­tuale del lavo­ra­tore, discri­mi­nando tra dipen­denti e pre­cari. Ai primi il «Naspi» verrà garan­tito fino a due anni (oggi dura 1 o 1 anno e mezzo); ai secondi, mas­simo per sei mesi. Molte restano le incer­tezze sui tempi della riforma dei cen­tri dell’impiego che dovreb­bero con­fluire in un’agenzia unica fede­rale, ancora tutta da imma­gi­nare. Que­sta agen­zia è neces­sa­ria per ridi­se­gnare il sistema delle poli­ti­che attive il quale, a sua volta, dovrebbe ero­gare il «Naspi» e gestire il «work­fare». Tutto que­sto ha biso­gno di tempo. Un tempo che sem­bra man­care per una tera­pia «choc», così la imma­gina Renzi, con­tro la disoc­cu­pa­zione gene­rale che ha rag­giunto il 12,9%, men­tre quella gio­va­nile è arri­vata al 42,4%.
Nelle inten­zioni del respon­sa­bile eco­no­mia Pd Filippo Tad­dei que­sta pro­po­sta amplierà la risi­cata pla­tea dei bene­fi­ciari dell’Aspi a coloro che attual­mente godono della cassa inte­gra­zione in deroga. Il «Naspi» dovrebbe essere finan­ziato anche con i soldi della Cig e della mobi­lità in deroga. Si dice che dovrebbe costare 1,6 miliardi di euro in più dei sus­sidi esi­stenti, a cui biso­gna aggiun­gere i 3,6 miliardi di euro per la Cig (del 2013), per un totale di 8,8 miliardi. Il pro­blema è che, ad oggi, 1,1 miliardi dei fondi per la Cig 2013 (su 3,6) man­cano all’appello. Le regioni sono in allarme, ieri Cgil-Cisl-Uil hanno scritto al neo-ministro del lavoro Poletti invi­tan­dolo a tro­varli. E ancora non si parla dei fondi per il 2014. Le stesse incer­tezze restano sulle risorse per il taglio al cuneo fiscale (10 miliardi di euro, sostiene Renzi) e sui pro­venti dalla spen­ding review di Carlo Cot­ta­relli da cui il Pd vor­rebbe otte­nere molto più dei 4 miliardi preventivati.
Un punto fermo resta il «con­tratto aperto» o «con­tratto di entrata senza rigi­dità», cioè senza arti­colo 18 in cam­bio di un inden­nizzo in caso di licen­zia­mento, impro­pria­mente defi­nito dai ren­ziani «con­tratto unico a tutela cre­scente». E poi c’è la «garan­zia gio­vani», l’unico prov­ve­di­mento certo che verrà ero­gato alle aziende e non ai neo-laureati. In ogni caso il governo pre­sen­terà il Jobs Act a Ber­lino il 17 marzo, in un ver­tice con la can­cel­liera tede­sca Angela Mer­kel. È un fatto che chia­ri­sce le prio­rità dell’esecutivo. Lo ha con­fer­mato ieri il mini­stro delle Infra­strut­ture Lupi (Ncd): con la riforma del lavoro in mano Renzi chie­derà a Mer­kel mag­giore fles­si­bi­lità sul vin­colo del 3% sul deficit/Pil. Uno scam­bio che oggi esclude milioni di persone. 

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