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venerdì 10 maggio 2013

ALTRO CHE KYENGE ERA MEGLIO CON CARACALLA

Altro che Kyenge, era meglio con Caracalla 

Perché lo ius soli proposto dal neoministro spinge a fare i conti col concetto di nazionalità in un'Italia che oggi sembra più arretrata di 1.000 anni fa. 
Secondo gli storici, la caduta dell'Impero romano riportò indietro di circa 1.000 anni il livello di vita degli italiani, che solo nel 1300 poté riavvicinarsi vagamente a quello dei tempi di Diocleziano.
Tanto per dire, Diocleziano era quello che costruì a Roma il gigantesco impianto termale (dotato di 2.400 vasche, poteva ospitare contemporaneamente3 mila bagnanti) sulle cui rovine sorgono l'attuale piazza Esedra e la basilica di Santa Maria degli Angeli.
Sotto alcuni aspetti l'Impero colpisce ancora, anzi, vince alla grande. Non solo quanto a diffusione capillare sul territorio italiano di terme, teatri, musei e biblioteche, ma anche quanto al concetto di integrazione.
IL DECRETO DI CARACALLA DEL 212. Già nel 212 un altro celebre costruttore di terme, Caracalla, fra un tepidarium e l'altro aveva emanato la Constitutio Antoninana, un decreto che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'Impero, dal vecchio carovaniere della Tebaide egiziana all'ultimo nato nel lembo estremo della Britannia.
LA RIFORMA DI SETTIMIO SEVERO. La legge completava la riforma iniziata da Settimio Severo, che aveva concesso la cittadinanza ai soldati degli eserciti provinciali e alle loro mogli, e non era dettata tanto da "correttezza politica", quanto da urgenze fiscali: la costosissima macchina dell'Impero esigeva tributi ingenti, cui erano tenuti solo i cittadini romani.
MOLTIPLICATI IL NUMERO DI CONTRIBUENTI. Insomma, l'editto di Caracalla, moltiplicando i «cives Romani», moltiplicava anche il numero di contribuenti da spremere - più che ius soli, fame di soldi - per compensare il dissanguamento delle casse statali.
Ma prendeva atto che l'essere cittadino di Roma non era una questione di sangue, e cioè che il popolo romano non era un'estensione della famiglia, unita da legami di nascita e trasmessi di generazione in generazione. 

L'origine, la razza e la padronanza della lingua non contavano 

 Chi nasceva e viveva entro i confini segnati dalle insegne di Roma, obbedendo alle sue leggi e soprattutto pagando le tasse, era cittadino, senza badare all'origine, al colore della pelle e nemmeno alla perfetta padronanza della lingua latina. Tant'è vero che alcuni degli imperatori successivi si chiamano Claudio Gotico, Filippo l'Arabo e Massimino il Trace, e se qualche romano xenofobo avesse detto loro di tornarsene rispettivamente in Germania, in Arabia Felix o in Tracia l'avrebbero romanamente sbattuto a lavorare nelle miniere in Sardegna.
LO STRISCIONE DI FORZA NUOVA. I simpaticoni di Forza nuova che invitano il ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge (promotrice di una proposta di legge sul diritto di cittadinanza più elastica e inclusiva per nasce e studia in Italia) a «tornarsene in Congo» non rischiano nemmeno una tirata d'orecchie - in effetti l'invito a tornare in Congo non è di per sé un insulto razzista.
Ma se anche il l'ex Zaire occupasse le prime posizioni della classifica dello sviluppo stilata dall'Onu anziché la penultima, per Forza nuova sarebbe un paese inferiore in quanto situato in Africa e abitato da persone con la pelle scura.
LE PAURE DI BEPPE GRILLO. Né rischia alcunché Beppe Grillo, spaventato dall'idea di una cittadinanza legata solo al territorio di nascita e perseguitato dall'incubo di orde di donne povere e incinte che dai cinque continenti arrivano a nuoto sulle coste italiane per sbolognare allo Stato italiano i loro marmocchi, macinando bracciate con più lena del fondatore del M5s nella sua traversata nello Stretto di Messina prima delle elezioni regionali.
Questo perché non viviamo in un regime dispotico dove nell'attacco a un ministro si configura il reato di lesa maestà; e meno male, perché, se ci fosse, il primo incriminato sarebbe il premier: Enrico Letta, che da Fazio ha dichiarato che questo non è il governo che lui avrebbe voluto dare agli italiani.
L'IGNORANZA DIFFUSA SUI TERMINI. Ma soprattutto il 90% degli italiani ignora il significato delle parole latine «ius» e «soli». Perfino «sanguinis» è un termine equivoco.
A Milano infatti «sanguis» è il panino (così i meneghini percepivano l'inglese «sandwich»), e molti legisti si sono convinti che lo ius sanguinis consista nel concedere automaticamente la cittadinanza a chi mangia una michetta col prosciutto in Italia.
L'ITALIA È CAMBIATA. Il prosciutto non è nelle michette leghiste, ma sugli occhi di tanta gente incapace di rendersi conto che l'Italia è cambiata, e ora è molto simile a quella di Caracalla (la cui famiglia d'origine, i Severi, proveniva dall'Africa come il ministro Kwenge). È ora di mettere da parte il pensiero «magico» per cui la nazionalità è una qualità infusa nei globuli rossi, e che si tramanda col sangue, a meno che non risulti misurabile attraverso apposite analisi ematologiche.
Anche perché se essere italiani significa conoscere a fondo le istituzioni, la cultura e la lingua di un Paese, sarebbero ben pochi i connazionali di pura stirpe nostrana che conserverebbero la nazionalità italiana.
NON CONOSCERE IL PROPRIO PASSATO. Anzi, la quintessenza dell'italianità moderna è proprio l'ignoranza del nostro passato e la sciatteria nell'uso del nostro idioma. Nella scuola media di mia figlia, dove un terzo degli alunni ha un cognome straniero, una professoressa di lettere ha redarguito pubblicamente un 12enne bielorusso vivace e non particolarmente studioso, ma cresciuto in Italia, dicendogli che non è degno di essere italiano. Non ho capito se è perché il ragazzino ha fatto scoppiare un petardo in classe o perché nella verifica di Storia ha scritto «Caracalla» correttamente.

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