Si comincia con l’accordo. Intervista a Landini, che chiede una legge 
Maurizio Landini  promuove l’intesa raggiunta sulla rappresentanza. «Ma non risolve tutte le vertenze, ci vuole una legge»
«L’accordo sulla rappresentanza è positivo. Perché finalmente in 
un’intesa firmata sia dai sindacati che dalle imprese, si arriva a 
definire chi può fare i contratti e come debbano essere validati. E, 
fondamentale, si mette in mano ai lavoratori il mezzo di validazione». 
Il segretario Fiom Maurizio Landini accoglie con soddisfazione il nuovo 
patto siglato da Cgil, Cisl e Confindustria, ma non si nasconde che 
molti problemi rimangono aperti. «E resta comunque – aggiunge – la 
necessità di avere una legge».
 Partiamo dagli elementi positivi, poi affronteremo i problemi.  
 Innanzitutto c’è un fattore di fondo: è importante che sia stato 
riconosciuto, in qualche modo, il valore delle nostre lotte per la 
democrazia. È un bene che non solo la Fiom e gli altri sindacati 
vogliano mettere fine all’epoca dei contratti separati, ma che lo pensi e
 lo voglia anche la Confindustria. Mi pare si sia rispettato il 
principio che più volte abbiamo detto di sostenere, ovvero che per la 
validazione di un contratto ci vuole la firma del 50% più 1 dei 
sindacati rappresentativi e una consultazione certificata dei 
lavoratori. Questo spinge finalmente verso la ricerca di una vera unità 
sindacale, fatta sui contenuti. Bene anche che si preveda l’elezione 
delle Rsu su base proporzionale, senza il terzo garantito.
 Dei problemi, però, restano aperti. Quali secondo voi?  
 Innanzitutto non si risolve il problema della Fiat, a meno che 
l’azienda non voglia rientrare in Confindustria: ma non mi pare che ne 
abbia l’intenzione. E poi resta aperto il nodo del contratto separato 
con Federmeccanica, non essendo questo accordo retroattivo. Ma è 
importante che d’ora in poi vigeranno queste regole.
 Però la Fiom sostiene che ci voglia comunque una legge.  
 Sì, e lo dice ad esempio il caso Fiat. Non sono ancora state 
realizzate, nonostante quest’ultimo accordo, l’agibilità e la libertà 
sindacale. E poi c’è l’estensione «erga omnes» dei contratti, che un 
accordo «privato» tra le parti come questo non può disporre. Ci sono 
tante aziende in Italia, come la stessa Fiat, non iscritte a nessuna 
associazione firmataria, come molti lavoratori non sono tesserati con il
 sindacato. Per comprendere queste realtà, ci vorrebbe una legge.
 Tornando alla Confindustria, si
 è aperto un nuovo dialogo? È la crisi ad aver cambiato le cose? Il 
nuovo governo, le vostre lotte?  
 Riconosco a Giorgio 
Squinzi che il primo atto da lui compiuto è un accordo unitario e per 
regole democratiche. È stato coerente con le affermazioni fatte fin 
dall’inizio, ha sempre detto che voleva chiudere con gli accordi 
separati. Ma se si è arrivati a questo punto, è grazie anche alle nostre
 lotte. E non solo della Fiom: contratti separati sono stati firmati 
anche nel commercio, nel pubblico, tra i bancari.
 E il nuovo governo?  
 Non credo possa intestarsi alcun merito per questo accordo, che è tutto
 sindacale. Ma che, attenzione, parla anche alla politica, perché 
risolve, almeno nel nostro campo, quella che è una crisi generale della 
rappresentanza. Il nuovo governo per ora ha solo parlato, vogliamo 
vedere le azioni concrete. Cancelli l’articolo 8, faccia una vera 
politica industriale e una legge per la rappresentanza. Induca le 
imprese a investire, perché su questo finora sono state parecchio 
assenti. La stessa Fiat neanche con il ministro Zanonato è stata chiara.
 Poi ci servono soluzioni per l’Ilva, la siderurgia e altri settori a 
rischio. Infine, il governo ci spieghi una cosa: perché non fa in modo 
che i 100 miliardi dei fondi pensione siano investiti su titoli e azioni
 italiani? Il 70%, per ora, va all’estero.
 Il 2 giugno immagino che non sarete alla parata militare a Roma, ma in Piazza Santo Stefano a Bologna. Come mai?  
 No, in effetti non andrò alla parata di Roma. Sarò molto volentieri, 
invece, a Bologna. Innanzitutto perché gentilmente ci ha invitato 
Libertà e giustizia. E poi perché crediamo fermamente che la 
Costituzione non vada cambiata, ma che anzi debba essere pienamente 
realizzata per avere il cambiamento che tutti desideriamo: valorizzando 
il lavoro, la sanità e l’istruzione come beni comuni e pubblici.