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venerdì 14 settembre 2012

GRILLO O BERSANI


Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte? di Sergio Di Cori Modigliani  

  Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte?  di Sergio Di Cori Modigliani

Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte?




di Sergio Di Cori Modigliani

La rissa tra Pierluigi Bersani e Beppe Grillo è il sintomo, fin troppo ovvio, del degrado culturale dell’Italia di oggi.
Hanno perso entrambi.
O meglio: abbiamo perso tutti noi.
Loro due, invece, hanno vinto. Ma soltanto loro.
Vincono i tifosi da stadio,  i non pensanti, il gregge, la truppa al seguito, i daje all’untore, i viè qui che te meno, l’esibizione muscolare di chi ha scelto (in maniera consapevole) di non avere in mano argomentazioni politiche, soprattutto culturali.
Uno scontro tra un fallito e un narcisista.
Tra l’ignoranza e l’affabulazione demagogica.
Per noi cittadini affranti, spettatori passivi di un gioco “altro”, ci rimane la paletta da quiz mediatico che ci hanno messo in mano: abbasso l’uno o viva l’altro.
Bella alternativa!
Mi sembrano entrambi pesci che galleggiano nell’acquario di T.I.N.A.

Ecco perché:

Siamo dentro una Guerra Invisibile, ma i combattenti, o meglio, i generali, non dicono quale guerra sia. Non sarebbe Invisibile, altrimenti.

Bersani (e il PD) accusano Grillo (e Di Pietro) di essere un “fascista del web” perché usa il termine “zombie” e l’espressione “vi seppelliremo vivi”.
Penso che si tratti di piatta e banale ignoranza usata, con ingegno, a fini elettorali.
L’espressione zombie, per indicare l’attuale classe politica, non è di Di Pietro; neppure di Grillo.
Non potrebbe essere di Di Pietro, valente ex magistrato, che si è costruito una carriera come "quasi" ministro degli interni di Berlusconi prima, per proseguire come ministro di Prodi poi, e che mai si sarebbe sognato di usare questo termine, essendo (tragicamente per lui) auto-referenziale. Cavalca la protesta e non sa neppure che sta facendo una citazione colta, è semplice ignoranza. Doppia. Primo perché non sa chi ha “coniato” il termine per definire la classe politica al comando (penso davvero che non lo sappia); secondo –che è una conseguenza dell’iniziale ignoranza- non spiega che il successo del termine “zombie” è relativo al fallimento socio-economico della teoria neo-liberista già voluta da Monti-Draghi Berlusconi e poi rivoluta da Monti-Draghi-Bersani, come è stato “tenicamente” spiegato da due valenti premi nobel dell’economia, nel 2010 e nel 2011. Non spiega neppure (siamo i soliti squallidi provinciali di sempre) che il termine nasce dalla cultura pop americana, divenuta in Usa un termine “bellico” per identificare i rappresentanti, discepoli e seguaci di Milton Friedman, diabolico inventore della teoria del mercato libero e dell’egemonia necessaria della finanza sulla produzione di merci.
“Occupy wall street” è nato da lì. Il termine è stato usato, elaborato, argomentato e poi lanciato a livello di massa quando (a metà del 2010) è scoppiata in tutta la sua virulenza la guerra in USA tra Keynes e Friedman. L’autore di questo neologismo metaforico cinematografico è il premio nobel per l’economia Paul Krugman, il quale, nell’autunno del 2010, si assunse la responsabilità di essere il leader antagonista (sezione politica dell’economia) che scendeva in campo per combattere i conservatori oltranzisti della destra radicale Usa dei tea party. Ecco che cosa scriveva allora nel celebre editoriale pubblicato sul New York Times che ha introdotto il termine reso celebre dal filmaccio “La notte dei morti viventi”:

Per prendere in prestito il titolo di un libro recente dell'economista australiano John Quiggin sulle dottrine economiche che la crisi dovrebbe aver definitivamente sepolto ma che invece vivono, noi siamo ancora -e forse più che mai- governati dall'economia zombie. Perché? Parte della risposta, di certo, è che coloro che avrebbero dovuto sopprimere le idee zombie hanno invece cercato di scendere a compromessi.

E poi, da lì, una lunga, dotta e colta analisi sia macro-economica che geo-politica –con furibondo attacco ad Obama-  annunciando che ci si trovava nell’occhio del ciclone “non di una crisi finanziaria” (FALSO TOTALE) bensì dell’attacco politico-culturale dei conservatori liberisti contro i progressisti keynesiani. Quattro mesi dopo quest’articolo, gli ultra-conservatori vanno all’attacco della scuola economica della Columbia University, con violentissimi attacchi personali contro Nouriel Roubini, Jospeh Stieglitz e il prof. Noam Chomsky. Nel corso di una sua lezione rimasta celebre, il premio nobel per l’economia Joseph Stieglitz, un carro armato del progressismo sociale statunitense, e fiero sostenitore della immediata necessità di varare un New Deal rooseveltiano in Usa e in tutta l’Europa occidentale, si scatena contro “i fascisti liberisti del tea party che verranno sepolti vivi dall’inevitabile insorgenza dello spirito democratico e libertario che sancirà il totale e definitivo fallimento della teoria iper-liberista, anticamera del fascismo, della proletarizzazione del ceto medio e della schiavizzazione annunciata nel mondo del lavoro….” e poi una lunghissima dissertazione colta, tecnicamente molto argomentata nella sezione prettamente economica, che si concludeva con un richiamo alle virtù della democrazia rappresentativa e quindi il “sacrosanto diritto dei tecnocrati fascisti ad essere sepolti vivi nel dimenticatoio della Storia: laddove riposano coloro che sono falliti, coloro che vogliono portarci  al fallimento e chi vuole far fallire lo spirito della democrazia: hanno il diritto di vivere, di parlare e della libertà di stampa e di aggregazione. La democrazia la garantisce a tutti ed è giusto che sia così. Nessuno escluso. Per l’appunto: è ciò che difendiamo. Noi difendiamo anche il diritto dei sepolti vivi ad essere ascoltati”.

Quindi Bersani accusa i due premi Nobel Krugman e Stieglitz di essere due fascisti.
Personalmente penso che Bersani sia in buona fede: notizia tragica.
Si tratta di semplice ignoranza. Lui rappresenta gli interessi di una neo-tecnocrazia liberista che interpreta la salvaguardia dei privilegi di una oligarchia finanziaria planetaria, ma lo fa a sua totale insaputa. A lui interessa soltanto salvaguardare la sua baracca di burocrati.
Rivela, quindi, (sempre nella migliore delle ipotesi che si tratti di buona fede) di aver promosso come classe dirigente una pattuglia di analfabeti di economia, e di persone completamente inconsapevoli del fatto che siamo in guerra. Non sanno neppure che si devono schierare.

Non così per Beppe Grillo, il quale, invece, notoriamente è uno che studia e legge molto.
Penso che Grillo non sia stato in grado di rispondere per le rime con la solida argomentazione nel sostenere le interpretazioni socio-politico-economiche di Krugman e di Stieglitz per ovvie necessità narcisistiche. I suoi seguaci pensano che il linguaggio da lui usato sia originale. Non sanno che è preso da discorsi, letture, convegni, seminari, lezioni e articoli dell’opposizione americana, divenuto ormai mainstream dal 2010 in poi. Anche lui deve fare i conti con il consenso elettorale e finisce per far privilegiare la voglia matta dell’intera collettività nazionale di poter urlare “andate tutti a casa, ci avete imbrogliato”. Ma allo stesso tempo, Grillo rivela di essere compagno di merende e di merengue, di Bersani (a sua insaputa, mi auguro) perché non chiarisce con argomentazioni solide lo schieramento bellico attuale tra post-keynesiani (e quindi esistenzialmente solidali) da una parte e tecnocrati iper-liberisti dall’altra. Perché non lo fa?
Io non lo so, il perché: chiedetelo a lui.

La mia personale idea è che non lo può fare.

Perché lui è un tecnocrate.
Simpatico, avvolgente, affabulatore, carismatico, ma pur sempre tecnocrate.
Tant’è vero che la “summa teorica” della sua attività politica è ben descritta nel testo scritto da lui e Roberto Casaleggio e pubblicato da Chiarelettere che si chiama “Siamo in guerra” dove non parla della Guerra Invisibile(Keynes-Friedman, conservatori-progressisti, oligarchici-democratici) bensì di un’altra guerra (falsa), tutta marketing, tutta interna al movimento tecnocratico internazionale, visto che sostiene “c’è una guerra tra il web e il mondo morto dei giornali, delle televisioni, dell’editoria” ecc.
Questo è “culturalmente” un FALSO:
Il web non è un fine, bensì un mezzo.
E chi sostituisce un mezzo con un fine o è in malafede oppure ha le idee poco chiare.
Chi ha frequentato qualche volta le riunioni dei movimenti grillini sa che la loro caratteristica principale consiste nel loro essere robotici e nel far di tutto per impedire qualsivoglia aggregazione di umanità, di incontro tra esseri umani. Il tutto deve avvenire sempre e soltanto e comunque in rete, nella rete, dentro il software, non si può sgarrare. Perfino lo scambio di numeri di telefono tra partecipanti non è ben visto. E’ un rullare continuo di esaltazione del nuovo Moloch del terzo millennio , il che, culturalmente parlando, lo situa tutto dentro la visione del mondo iper-liberista dei tecnocrati.

Mentre Bersani rivela il tragico vuoto culturale di una classe dirigente analfabeta intorno a lui, Grillo rivela il tragico vuoto tout court intorno a lui, perché la classe dirigente neppure esiste. E’ stata sostituita da un eccezionale software: ciò che conta è adorare il nuovo Totem del gregge post-moderno.

La loro rissa quindi, mi lascia indifferente.
E’ tutta roba dentro il mondo dei tecnocrati.

E’ roba che esclude la svolta vera di cui ha bisogno l’Italia: l’affermazione di un nuovo principio di affermazione della narrativa esistenziale, nuove modalità di aggregazione , e mobilitazioni in carne e ossa che spezzino il cancro dell’isolamento, dell’individualismo coatto narcisista, dell’uscita allo scoperto dai lager illusori che la tecnologia propone e dispone purchè la gente non si incontri, non si veda, non si confronti, non dibatta, fondamentalmente NON si appassioni nello scambio dell’umanità vera, perché tuttora l’arma migliore di opposizione consiste nella diffusione capillare della Cultura attraverso lincontro umano consistente,  per costruire delle nuove modalità avanzate ed evolute di solidarietà, condivisione, evoluzione, per l’affermazione di una società diversa.

La rivoluzione esistenziale di cui noi abbiamo bisogno è ritrovare la passione civile umana.
Un software non basta.
E’ necessario schierarsi, perché la guerra è già iniziata.
E’ troppo tardi per poter dire a se stessi: non la voglio fare.
Intendiamoci, “non sembra che sia così”. Appunto. Non sembra perché non si vede, altrimenti non sarebbe una Guerra Invisibile, però c’è. Secondo nuove modalità.
E per capire dov’è esattamente dislocata la “linea del fronte” bisogna guardare la esistenzialità di singoli individui, i quali, collegati tra di loro finiscono per comporre il corpus sociale. Perché la guerra è tra le persone, individui, gruppi sociali di gente vera, che vuole una vita diversa più umana e solidale e autentica, in ultima istanza “veritiera”, e coloro che, invece, pensano che basti attuare dispositivi tecnici per determinare un cambiamento.
E’ la guerra vera tra tecnocrati e umanisti (anche ma non solo… n.d.r.).

Questo vuole il liberismo di Friedman, sostenuto in Italia da Monti-Bersani: l’abbattimento dell’individualità e la cancellazione del potere della narrativa esistenziale.
Non sarà mai il web a liberarvi: il web né vi libera né vi imprigiona, it is just a media.
Il web è neutro.
Gli Esseri Umani non lo sono mai.
Quando lo sono, allora vuol dire che sono dei robot.

Che ci faccio con centinaia di milioni di informazioni al giorno se non sono in grado di elaborarle?
Come faccio a sapere quali sono le notizie che non mi danno, dato che –proprio perché non me le danno- non posso sapere che esistono?
Lo sapevate che il Brasile ha applicato la MMT dimostrando che può funzionare in pratica?
Lo sapevate che l’Argentina ha applicato il bilancio sociale dimostrando che funziona?
Lo sapevate che il Giappone ha un debito pubblico di 4.100 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) con un pil di 3.200 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) e un differenziale negativo di -132%, una inflazione al 2%, disoccupazione all’1,5%, O povertà e il loro debito pubblico aumenta aumenta aumenta… ma la ricchezza collettiva pure?
Come mai in Giappone funziona? Perché non farlo funzionare anche in Italia, allora.
In rete, del Giappone, non se ne parla mai.


Osservando in televisione i reportage da Taranto, di fronte all’Ilva, da Cagliari dove gli operai dell’Alcoa si tuffano in mutande in mare, purchè si sappia che loro esistono; sempre in Sardegna dove i minatori si trincerano a 400 metri di profondità con decine di chili d’esplosivo perché vogliono lavorare;  con gente che si uccide davanti al parlamento bruciandosi viva; famiglie sfrattate, intellettuali indigenti, un’agghiacciante solitudine sociale priva di solidarietà umana, tutto ciò, nella mia mente, si trasforma ”in scene di ordinaria follia dal fronte bellico interno”.  Sono i nuovi deportati nei silenziosi e invisibili lager del “perenne vuoto culturale e della disinformazione bellica”.
Le guerre nascono per i motivi più disparati, ma le ragioni dietro sono sempre le stesse: economiche, di territorio, di interpretazioni del mondo incompatibili.

Nell’attuale Guerra Invisibile i due schieramenti (sezione economia) sono rappresentati dallo scontro definitivo tra John Maynard Keynes e Milton Friedman, entrambi deceduti. Non sono possibili mediazioni né compromessi –altrimenti non staremmo in guerra- perché (entrambi celebri economisti vissuti a distanza di 50 anni l’uno dall’altro) l’uno (Keynes) situa “il bene comune, la società e gli individui che la compongono” come il punto di riferimento di ogni progetto economico di investimento mentre l’altro (Friedman) non prende neppure in considerazione né le persone né il sociale definendo la società civile “come il luogo in ultima istanza al quale vanno gli usufrutti delle scelte operate sul mercato delle merci e nel mondo della finanza”. Per Keynes la crescita economica è sempre e comunque “allargamento dello spettro sociale come quantità di soggetti operanti e aumento nella produzione della ricchezza collettiva di una nazione”, per Friedman, invece, consiste “nell’aumento della capacità di controllo e di gestione del mercato delle merci da parte della finanza che investe risorse per lo sviluppo”. Per uno (Keynes) “l’economia deve avere come obiettivo primario quello di salvaguardare tutte le persone che compongono ogni singolo ceto presente nella società civile” per l’altro (Friedman) “l’economia deve occuparsi della gestione della stabilità della finanza che diventa tutela della massima libertà operativa del mercato, non più soggetto a legami infruttuosi imposti dallo stato centrale”. Sono due idee del mondo contrapposte. E’ lo scontro tra la finanza oligarchica e l’imprenditoria che produce merci e dà lavoro. O vince l’una o vince l’altra. Questo è lo scopo della guerra in atto. Se vince l’uno (Keynes) si ritorna alla Politica. A quel punto, tutti i rappresentanti delle singole parti sociali dovranno vedersela con lo Stato che funge da arbitro e controllore della finanza e si assume l’onere sociale del debito collettivo pompando sul mercato risorse d’investimento che creano lavoro, occupazione, crescita collettiva. Se vince l’altro (Friedman) viene abolita per sempre la Politica. Vengono cancellate le classi sociali e la società assume una nuova forma appiattita, con due uniche classi informi come nel medioevo: da una parte il predominio della finanza che decide chi produce come quando quanto e per quanto, usando i partiti che diventano funzionari d’esercizio delle loro attività mercantili (classe dei privilegiati). Lo Stato diventa il semplice garante militare del nuovo equilibrio senza intervenire mai sul mercato occupandosi (grazie all’appoggio dei burocrati dei partiti) di evitare rivolte sociali. I ceti medi vengono proletarizzati, il lavoro perde la dimensione di valore, e la società civile si trasforma in un gigantesco bacino d’utenza di forza lavoro a costo molto basso; la novità storica e paradossale consiste nel fatto che nell’abbattimento di tutte le classi si realizza la cosiddetta “rivoluzione sociale liberista” e imprenditori e salariati finiscono dalla stessa parte, entrambi impiegati della finanza che deciderà le rispettive mansioni d’impiego. In tal modo viene ricostruita la piramide verticale del medioevo: l’aristocrazia che comprende i signori, i vassalli, i valvassori, i valvassini; poi il clero; e infine il cosiddetto terzo stato che comprenderà tutti, operai.e intellettuali, imprenditori e commercianti, salariati e precari: i nuovi schiavi del terzo millennio.

Che sappiano di essere schiavi, o non lo sappiano, è irrilevante, sempre schiavi saranno.
La Guerra Invisibile, oggi, pertanto, è la guerra tra il “neo-colonialismo mediatico post-moderno della tecnologia schiavista” da una parte e “la salvaguardia dell’autonomia delle proprie risorse e il diritto all’autodeterminazione dei popoli, nell’esercizio dello Stato di Diritto, con una pianificazione economica da parte dello Stato che ponga al centro diritti e doveri, bisogni ed esigenze dell’intera collettività, applicando la norma del bilancio sociale equo-sostenibile”.
O si sta da una parte o si sta dall’altra.
Basta saperlo.
Sono due concezioni del mondo diverse.
Non è lo scontro tra due scuole economiche teoriche.
E’ la differenza tra Roosevelt e Hitler.
Tra Thomas Hobbes e John Locke.
Tra Gesù Cristo e il Grande Inquisitore.
E ancora…tra Sabrina Began ed Emma Bonino.
In ultima istanza, tra la Conservazione e l’Evoluzione.
E’ una Guerra Culturale, pertanto.
Perché è la Guerra tra tue idee del mondo completamente diverse.
La volgare e penosa zuffa tra Bersani e Grillo ci fa comprendere che siamo finiti dalla parte sbagliata del fronte.
Così facendo “tutti perderemo la guerra”.
Basta con la pubblicità mediatica e i trucchi da baraccone.
E’ necessaria una mutazione culturale individuale e collettiva per riappropriarsi del Senso.
Perché la differenza sostanziale è tra Simone Veil “la Cultura è un’arma: affilatela con cura” e Joseph Goebbels: “Quando sento parlare di Cultura, io metto mano alla fondina e impugno la pistola”.
Questa è la Guerra che stiamo vivendo.
Basta con la tecnologia coatta.
Rivoglio gli Esseri Umani in carne e ossa.
Non voglio partecipare a movimenti politici in rete o via e-mail; voglio guardare in faccia e leggere gli occhi di coloro che combatteranno insieme a me, voglio sapere delle loro vite e mettere la mia a disposizione della loro curiosità.
A meno che non si voglia una rivoluzione virtuale.
Io la voglio, invece, reale.
Quindi, deve avvenire e manifestarsi nella realtà.
Se bisogna crepare, preferisco essere fucilato all’alba piuttosto che essere infilato nel forno crematorio del vuoto culturale perenne.

Io, per il momento, sto dalla parte di Paul Krugman e di Joseph Stieglitz.

P.S. Ho corretto il titolo dove c'era un errore di grammatica, e la frase che attribuiva a Di Pietro un ministero, è stato un altro errore per l'enfasi. In verità, Di Pietro fu "quasi ministro".      

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