Un innocente condannato all'ergastolo 
Il fatto
L'imprenditore italiano di Trento, Enrico Forti detto “Chico”, dopo
 un processo durato venticinque giorni, il 15 giugno 2000 è stato 
ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County 
di Miami, “per aver personalmente e/o con altra persona o persone 
allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione,
 ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un 
comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, 
la morte di Dale Pike”.
La sentenza ha lasciato esterrefatti i presenti e quanti avevano 
seguito il dibattimento processuale, increduli che una giuria abbia 
potuto emettere “oltre ogni ragionevole dubbio”, un verdetto di colpevolezza basato soltanto su flebili e confuse prove circostanziali.
Successivamente, attente verifiche e valutazioni sulla fondatezza di queste “prove circostanziali”,
 produssero una tale quantità di dubbi che il sospetto che i fatti siano
 andati in modo completamente diverso da come sono stati presentati 
dall'accusa, è divenuto certezza.
Valutando meticolosamente una per tutte le accuse basate su fatti 
ed antefatti, si scoprì una serie infinita di manomissioni delle “prove circostanziali” da parte dell'accusa, con l'unico scopo di ottenere un verdetto di condanna.                                                      
 

 
                                                                    
L'incredibile storia - gli antefatti 
Enrico Forti detto “Chico” nasce a Trento nel 1959 dove vive fino al 
conseguimento della maturità scientifica nel 1978. In seguito si 
trasferisce a Bologna per frequentare l'Isef, l'università di educazione
 fisica.
Fisicamente dotato, si dedica alla pratica di parecchi sport, 
dedicandosi in particolare al “windsurf” e negli anni '80 ottiene molti 
successi a livello mondiale.
Negli anni '90 si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di film-maker e presentatore televisivo.
In seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è 
proprio svolgendo questa attività che conosce un personaggio di nome 
Anthony Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo 
sull'isola di Ibiza, in Spagna.
Quest'albergo aveva goduto di una certa notorietà negli anni '80, 
frequentato da parecchi personaggi del jet-set internazionale, ma in 
seguito ebbe un declino fallimentare.
Alla fine del 1997, Anthony Pike viaggia alla volta di Miami, 
ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo 
soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto 
l'abitazione di Enrico Forti.
I due erano stati “compagnoni” ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore.
Solo in seguito, a cose fatte, si scopriranno i veri profili di questi due personaggi.
In primo luogo, Pike in quel periodo si trovava in estreme difficoltà finanziarie.
Knott era un “intrallazzatore” condannato in Germania a sei anni di
 detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di 
libertà vigilata e ricomparso a Miami (ospite di altri tedeschi) a 
Williams Island, dove svolgeva sotto falsi documenti (procuratigli da 
Pike) un'attività di copertura come “istruttore di tennis”.
In realtà continuava la sua “professione” di truffatore (25 accuse 
in poco più di sei mesi!) e l'ultima fu proprio quella tentata ai danni 
di Enrico Forti, convocando Anthony Pike a Miami con l'intento di 
vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre
 un anno.
Durante questa trattativa, compare sulla scena Dale Pike, figlio di
 Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per
 gravi dissapori con il padre e probabilmente anche con Thomas Knott, 
suo ex compagno di baldorie.
Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi 
non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato
 di necessità completamente privo di denaro.
Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria, e 
chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative 
per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine di 
gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla 
Spagna.
Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad 
Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in 
compagnia del figlio Dale.
Il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998.
Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare
 i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i 
biglietti ad ambedue.
Alcune e-mail di Dale Pike alla fidanzata Vaike Neeme, una “ragazza
 copertina”. L'ultima è del 14 febbraio 1998 (il giorno prima della 
partenza per Miami). In questa lettera Dale si dice ansioso di conoscere
 Chico, “il nuovo proprietario” dell'hotel di suo padre, che è anche un 
produttore cinematografico. Scrive “di avere con sé un progetto per fare un film e di volerglielo presentare”. Dale si augurava che Forti lo aiutasse a realizzare questo film.
Due giorni prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata 
ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo 
appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo 18 febbraio.
Suo figlio Dale invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da 
solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a 
prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua.
Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto, 
quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante
 a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e avrebbe 
trascorso alcuni giorni con loro, in attesa dell'arrivo del padre.
Forti quindi gli diede un passaggio fino al luogo indicato da Dale e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica.
Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezzora.
Il giorno 16 febbraio un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike 
in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio 
dove Enrico Forti lo aveva lasciato.
Era stato “giustiziato” con due colpi di pistola calibro 22 alla 
nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui 
viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti.
C'erano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione.
La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti.
Fu provato che Enrico Forti alle ore 20 si trovava all'aeroporto di Fort Lauderdale.
Al processo infatti venne accusato e condannato come “mandante” dell'omicidio.  
             

 
                                                                          
L'incredibile storia - l'inganno 
Le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto 
che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di 
Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro
 all'aeroporto di Miami.
Nei giorni che seguirono i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike.
Fu soltanto mercoledì 18 a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio.
Saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue 
notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 
febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per 
rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti.
Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e 
proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la 
polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony 
era stato trovato ucciso a New York.
Anthony Pike invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente.
Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike.
La sera del 20 febbraio, ormai resosi conto della gravità della 
situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti 
relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima.  Ingenuamente,
 si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia di 
un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva 
assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le
 indagini della polizia.
Invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e 
sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale
 ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti
 il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante 
Rusty Pelican a Virginia Key.
Questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, 
tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire 
soggiogato dalla paura e dalla disperazione. Una tecnica forse legittima
 ed ammissibile, secondo il sistema americano, ma ottenuta 
proditoriamente con l'inganno.  
 

 
                                                                           
L'incredibile storia - l'accusa   
Le invenzioni dell'accusa
Nell’immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d’incapace e concorso in omicidio.
La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio 
finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era
 già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione 
d’incapace. 
Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato
 infatti scagionato da tutti i capi d'accusa (otto) che riguardavano la 
frode.
Scorrettamente invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio. 
Riportiamo la traduzione letterale del testo introduttivo della teoria dello stato sulla quale il PM ha fondato le sue accuse.
   “La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti 
avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe 
interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in 
modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva 
viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe 
potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per
 la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti 
semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e 
lo condusse alla morte”.
    Non c’è una sola parola di verità in queste affermazioni.
        Non è vero che Dale Pike, la vittima, costituiva un 
ostacolo per i piani di Forti di acquistare l’albergo. Non ne aveva 
alcun potere.
          Non è vero che il padre, l’albergatore Tony Pike, 
era un vecchio malato e disabile, incapace di intendere e volere. 
Tutt’altro. A suo tempo, molte testimonianze lo consideravano un astuto e
 sveglio uomo d’affari. D’altronde al processo non è stato presentato 
alcun documento che comprovasse la sua presunta demenza, né da parte di 
un tribunale, né di una qualsiasi commissione medica.
          Non è vero che Enrico Forti volesse appropriarsi in
 maniera fraudolenta del 100% dell’hotel. Anzi si è scoperto che 
l’albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo 
non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva
 ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, 
dicendo chiaramente che intendeva rifilare a Chico un “elefante bianco”. 
Ma l’accusatore l’ha tenuto nascosto alla giuria.
Non è vero che Dale aveva viaggiato a Miami “per vedere il denaro contante”,
 quattro-cinque milioni di dollari, che il Forti avrebbe dovuto pagare. 
L’accordo di compravendita prevedeva il pagamento nell’arco di tempo di 
sei mesi, parte in contanti, parte in permuta di due appartamenti e 
parte con l’assunzione dei debiti dell’albergo con le banche. La 
supervalutazione di quattro-cinque milioni di dollari del valore 
dell’albergo è una stima del tutto inventata. A tutt’oggi il suo valore 
reale è meno di un terzo.
Come si vede, alla base di tutte le accuse, viene evidenziato il movente della truffa.
Invece è vero esattamente il contrario. L’albergatore tentava di 
vendere un albergo che da molto tempo non era più di sua proprietà.
Quindi Enrico Forti era il truffato e non il truffatore ed il movente era completamente inventato ed inesistente. 
L'arringa dell'accusa
Giovedì, 15 giugno 2000, mezzogiorno circa.
Il pubblico ministero Reid Rubin ha appena terminato la sua sommatoria, guardando la giuria come se avesse presentato il suo “masterpiece”, un'opera d'arte.
E di un'opera d'arte si è trattato effettivamente, dal momento che è
 riuscito a costruire e portare avanti un processo senza alcun sostegno 
probatorio per avallare le sue accuse.
Certo Rubin non ha lasciato nulla all'improvvisazione, visto che ha
 impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale.
Un record per i tribunali americani, visto che normalmente 
qualsiasi processo si è sempre esaurito entro sei mesi dalla sua 
istruttoria.
Certamente, questo enorme impiego di tempo e di denaro (dello Stato
 della Florida) deve aver significato molto per la sua carriera o per 
gli interessi del palazzo, se è riuscito ad ottenere facilmente una 
serie di rinvii, fino al completamento di questo suo capolavoro.
Indubbiamente, l'artista Reid Rubin ha avuto molti punti di favore per giungere alle sue conclusioni.
Innanzitutto ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua
 arringa senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi 
teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, basandosi 
esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più 
contestabile.
Tutto si può dire quando non si corre alcun rischio di essere smentiti!
Ma come è possibile che in un processo dove è in gioco la vita di una persona l'ultima parola competa all'accusa?
Semplice: il rito del processo americano prevede che l'ultima 
parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della
 facoltà di non rispondere oppure non è chiamato al banco dei testimoni.
Ma chi era al corrente di questa regola? Sicuramente non Enrico Forti!
Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa
 opportunità puntando tutte le sue “chances” proprio nello spazio finale
 a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve 
decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria 
del dibattimento.
Logico quindi che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa.
A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c'è dubbio che Reid Rubin lo sia.
Ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati
 della difesa: anche loro conoscevano questa regola. E allora è normale 
chiedersi: ma perché concedere questo enorme vantaggio all'accusa e non 
si è provveduto ad evitare questa trappola per tempo?
Disarmante la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra: “Tu
 hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che 
l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. 
Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un 
verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!”.
Naturalmente, anche l'accusatore se ne è guardato bene dal chiamare
 Enrico Forti alla sbarra! Il suo disegno accusatorio era proprio 
fondato su questa possibilità: avere l'ultima parola per convincere una 
giuria che, come succede nella maggioranza dei casi, può anche essere 
stata non molto attenta durante il dibattimento.
Tardivamente, durante l'arringa del pubblico ministero, la difesa ha sollevato un'infinità di obiezioni, molte rifiutate, alcune accettate, ma con uguale effetto.
Il giudice, in quasi tutte le occasioni, ha invitato gli 
avvocati a sollevarle in appello, quell'appello che poi sarebbe stato 
sistematicamente rifiutato.  
 

 
                                                                
L'incredibile storia - il verdetto 
Dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa, la giuria popolare si è ritirata nella camera di consiglio.
Giovedì 15 giugno 2000, ore 16 circa. Solo poche ore sono bastate ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza.
Incredibile ed incomprensibile la decisione della Corte nel 
suo pronunciamento della abnorme pena inflitta, che riportiamo nella 
traduzione letterale:
“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto
 materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni 
dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non 
sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. 
Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo 
senza condizionale”!
La morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una “sensazione”!
In seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare 
ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore 
giudiziario, cinque appelli posti per la revisione del processo sono 
stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti, senza 
motivazione né opinione. 
 

 
                                                             
L'incredibile storia - i diritti negati
... e le regole violate  
Ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo Speed Trial (processo
 veloce entro 20 giorni dall’arresto) per avvenuta scadenza dei termini 
di legge (6 mesi) dalla prima accusa all’arresto (20 mesi).
Il diritto allo Speed Trial gli è stato negato perché applicata la Regola Williams,
 cioè l’esistenza di una diretta connessione tra l’ottenimento di un 
illecito guadagno (truffa) e la consumazione dell’omicidio.
Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti 
era già stato assolto dall’accusa di frode in un precedente processo.
La deposizione rilasciata da Enrico Forti come testimone, durante la quale ha detto la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai Diritti Miranda
 che prevedono l’assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione 
rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine.
Questi diritti gli furono negati anche se al momento di questa deposizione, era già il principale indiziato per l’omicidio.
L’accusatore ha anche scorrettamente ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine,
 secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente
 La giuria così fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale.
In questo modo si è violata anche la regola Double Jeopardy 
secondo la quale, se un imputato è già stato assolto da un’accusa in un 
precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro 
processo.
Ad Enrico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna.
 I Paesi firmatari di questa convenzione, garantiscono l’immediata 
assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato 
diverso dal proprio. E’ prevista anche l’automatica simultanea 
comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano venne a conoscenza del primo arresto di 
Enrico Forti casualmente dai giornali nove giorni dopo. Alla protesta 
ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per “l’involontaria” omissione. 
 
                                                                  

 
                                                          
La doppia storia - Prima fase
Illustriamo la fisionomia dei personaggi e delle situazioni della  PRIMA FASE della vicenda.
1) ENRICO FORTI. Ex campione sportivo, nel 1992 si  trasferisce a 
Miami in Florida, dove svolge un'attività di produttore  
cinematografico, presentatore televisivo ed agente immobiliare. Si sposa
  con un'americana e ha tre figli. Vive a Williams Island.
2) ANTHONY PIKE. Avventuriero inglese che trascorre  molti anni in 
Australia occupandosi delle più svariate attività. Negli  anni '80 si 
trasferisce in Spagna, ad Ibiza, dove costruisce un piccolo  hotel 
all'interno dell'isola. Porta con sé uno dei suoi figli, Dale.  
L'albergo ha un notevole successo grazie alle iniziative di Tony che  
organizza molte feste ed attrae l'attenzione e la frequentazione di noti
  personaggi del jet-set internazionale.
           
3) THOMAS KNOTT. Faccendiere tedesco che riesce a  guadagnare 
enormi quantità di denaro attraverso operazioni truffaldine  in 
Germania. Frequenta l'hotel Pike's, dove si reca spesso con un aereo  
privato in compagnia di un altro tedesco, Siegfried Axtmann, spendendo  
enormi somme di denaro tra donne, champagne e quant'altro. Diventa molto
  amico di Tony e Dale Pike. Axtmann è titolare di una compagnia aerea 
di  nome FAI rent-a-jet di Norimberga, stessa città di Thomas Knott.
           
4) DALE PIKE. E' impiegato presso l'albergo del padre e  cura le 
public-relations dell'hotel. All'inizio degli anni '90 viene  cacciato 
dal padre per uno sgarbo gravissimo commesso nei suoi  confronti. Si 
trasferisce in Malesia dove svolge delle attività non ben  definite. 
Padre e figlio non si parleranno per anni, fino alla fine del  '96.
           
5) Nel 1993 Tony Pike contrae l'Aids. In quel periodo  comincia un 
inesorabile declino delle fortune dell'hotel. In quello  stesso anno 
Thomas Knott viene arrestato in Germania e condannato a sei  anni di 
reclusione per truffe milionarie. Durante il periodo di  detenzione Tony
 Pike si reca a visitarlo alcune volte in carcere, a  riprova della 
grande amicizia che lo legava al tedesco.
           
6) Alla fine del 1996 Knott viene rilasciato e messo in  regime di 
libertà vigilata per il periodo restante della pena. Nella  primavera 
del 1997 sparisce dalla Germania e si trasferisce negli Stati  Uniti, 
Florida, Miami, Williams Island. E' ospitato dall'amico Siegfried  
Axtmann, residente anche lui a Williams Island. I falsi documenti per  
l'espatrio vengono procurati da Tony Pike.
           
7) Sempre alla fine del '96, Tony Pike viene contattato  dal figlio
 Dale che lo invita in Malesia chiedendogli soccorso per  risolvere 
grossi problemi economici. Tony intraprende il viaggio per  visitare il 
figlio, ma quando arriva la sua malattia si aggrava  notevolmente. Dale 
provvede a trasferire il padre dalla Malesia a  Sidney, in Australia, 
dove vive il fratello Bradley. Qui i due figli  fanno ricoverare il 
padre in fin di vita presso un ospedale per malati  terminali e si fanno
 rilasciare una procura per la gestione delle sue  proprietà. Tony Pike 
viene salvato dall'intervento dell'allora moglie  Vera, che riesce a 
trasferirlo in Spagna, dove viene curato e si  riprende miracolosamente.
 Comunque, dopo quella vicenda i rapporti tra i  figli ed il padre 
peggiorano ulteriormente.
           
8) A Williams Island Thomas Knott svolge un'attività di  copertura 
come insegnante di tennis. Abita in un mini appartamento  amministrato 
da Axtmann, assieme ad altri amici tedeschi appartenenti al  clan di 
Axtmann stesso. Il monolocale è sito proprio sotto  l'appartamento dove 
abitano Chico Forti e la sua famiglia. In breve  tempo il tedesco riesce
 a conquistare l'amicizia di Chico.
           
9) Il 15 luglio del 1997 viene ucciso lo stilista  Gianni Versace a
 Miami Beach. Il 23 luglio viene localizzato il presunto  assassino di 
Versace, tale Andrew Cunanan, su una casa galleggiante  sita su un 
canale lungo Collins Avenue, sempre a Miami Beach. La  polizia, dopo ore
 di assedio, irrompe nella casa e trova Cunanan che si  era “suicidato” 
(questa è la versione ufficiale). Thomas Knott dice a  Chico Forti di 
conoscere il proprietario della casa galleggiante che,  guarda caso, è 
rappresentato ancora una volta da Siegfried Axtmann.  Knott si propone 
come intermediario per l'acquisto dei diritti per usare  la casa a 
scopo di inchieste giornalistiche. Firmato un accordo in  questo senso, 
Knott aiuta Chico Forti a realizzare un film/inchiesta  sulla vicenda 
Cunanan/Versace (trasmesso in Italia ed in Francia,  intitolato “Il Sorriso della Medusa”).
           
10) A metà settembre 1997 Chico si reca in un negozio  di articoli 
sportivi per l'acquisto di attrezzature. Knott lo segue e  tratta 
l'acquisto di armi per uso sportivo (una pistola calibro 22, un  fucile 
ed un lanciapiattelli da barca) che intesta a proprio nome.  Essendo 
però sprovvisto di denaro convince Chico Forti a pagare  l'acquisto di 
queste armi con la sua carta di credito insieme alle altre  
attrezzature.
           
11) Alla fine di novembre 1997, Knott invita Anthony  Pike a Miami,
 ospitando anche lui nel mini appartamento. Durante il suo  soggiorno, 
Pike trova l'occasione per conoscere Chico Forti e, con la  complicità 
di Knott, prospetta all'italiano la possibilità di acquistare  l'hotel 
Pike's di Ibiza. Nasconde però che dall'inizio dell'anno  l'hotel non è 
più di sua proprietà.
           
12) Chico Forti non sospetta minimamente l'imbroglio e,  a fine 
dicembre, si reca ad Ibiza per visionare l'hotel. A metà gennaio  1998 
vi ritorna e firma un accordo di acquisto presso un notaio del  luogo. 
Chico esige l'esclusione di Knott dalla trattativa, dopo essere  venuto a
 conoscenza dei suoi precedenti penali.
           
13) Alla fine di gennaio Tony Pike telefona a Chico  dicendogli di 
avere un figlio, di nome Dale, che risiedeva in Malesia.  Dale si 
trovava nei guai e doveva lasciare precipitosamente il Paese, ma  non 
aveva il denaro per pagarsi il biglietto aereo per il rientro in  
Spagna. Poiché anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità di  
denaro, chiede a Chico Forti di provvedere al pagamento del biglietto  
ottenendo quanto richiesto.
           
14) Ai primi di febbraio altra telefonata di Tony Pike a  Chico 
Forti. Questa volta prospetta un viaggio a Miami insieme al  figlio 
Dale, che desiderava conoscerlo. Il volo Madrid/Miami viene  programmato
 per la domenica 15 febbraio ed ancora una volta i biglietti  aerei per 
entrambi vengono pagati da Chico. Il giorno precedente la  partenza Tony
 Pike cambia programma. Telefona a Chico dicendogli che il  figlio Dale 
la domenica sarebbe arrivato da solo. Tony invece avrebbe  viaggiato a 
New York il mercoledì successivo, dando appuntamento a Forti  in quella 
città per un incontro d'affari. Nel frattempo invitava Chico  Forti ad 
andare a prendere suo figlio Dale all'aeroporto e ad ospitarlo  in 
attesa del suo arrivo. Quella mattina Knott si presenta  
all'appartamento di Chico dicendogli di essere al corrente dell'arrivo  
di Dale, proponendo di recarsi lui stesso a prenderlo all'aeroporto.  
Chico è sorpreso dell'informazione in possesso di Knott e rifiuta la  
proposta.
15) Nei giorni precedenti la sua partenza per Miami,  Dale Pike ha 
scritto alcune e-mail alla fidanzata Vaike Neeme. L’ultima è  del 14 
febbraio 1998, giorno antecedente il suo viaggio per Miami. In  questa 
e-mail Dale si dice ansioso di conoscere Chico Forti “il nuovo  socio 
dell’hotel di suo padre” e anche noto produttore cinematografico.  
Scrive “di avere con sé il progetto per fare un film e di volerglielo  
presentare”. Dice anche di contare sull’aiuto di Chico Forti per poterlo
  realizzare. Non fa alcun riferimento alla compravendita dell’hotel.
16) Domenica 15 febbraio Chico Forti si reca all'aeroporto di Miami
  per incontrare Dale Pike. Quando arriva, con notevole ritardo, Dale  
comunica a Chico che non sarebbe stato suo ospite e lo prega di  
accompagnarlo presso un ristorante di Virginia Key dove aveva  
appuntamento con amici di Thomas Knott. Chico acconsente e gli dà un  
passaggio fino al parcheggio di quel ristorante, dove c'è un uomo che lo
  attende su una Lexus bianca. Dale saluta Chico e gli dà appuntamento  
per il giovedì successivo, giorno dell'arrivo del padre a Miami. Chico  
Forti non lo vedrà più. Dale Pike verrà ucciso quella sera stessa e il  
suo corpo verrà ritrovato su una spiaggia a qualche miglio di distanza  
dal parcheggio la sera del giorno seguente.
           
17) La sera di domenica 15 febbraio 1998, in  concomitanza con 
l'omicidio di Dale Pike, Thomas Knott aveva organizzato  un party a casa
 sua e tra gli ospiti c'erano Siegfried Axtmann e gli  altri tedeschi 
del suo clan, compreso l'avvocato Keith Marshall. Questa  riunione ha 
costituito l'alibi del tedesco.
           
18) Chico Forti apprende dell'omicidio di Dale Pike il  mercoledì 
successivo 18 febbraio a New York, dove si era recato per  
l'appuntamento con Tony Pike. Ritornato a Miami senza aver incontrato  
l'albergatore, tenta di rintracciarlo ma inutilmente. Chiede  
l'intervento di Gary Schiaffo, un ex poliziotto di sua conoscenza. Il  
giorno successivo, giovedì 19 febbraio, si reca al dipartimento di  
polizia, convocato come persona informata dei fatti. Gli inquirenti gli 
 comunicano falsamente che anche Tony Pike era stato ucciso.
           
19) Terrorizzato da questa situazione, Chico Forti  mente alla 
polizia negando di aver incontrato Dale Pike.  L'interrogatorio viene 
registrato senza essere coperto dai Diritti  Miranda, benché fosse già 
il maggiore indiziato per il delitto.
           
20) Venerdì 19 febbraio Chico Forti ritorna  volontariamente al 
dipartimento per portare i documenti relativi alla  compravendita 
dell'hotel e per spiegare i suoi rapporti con Tony Pike.  Ritratta la 
versione del giorno precedente, dicendo di aver incontrato  Dale Pike e 
di avergli dato un passaggio dall'aeroporto a Virginia Key e  di non 
sapere cosa fosse successo. In base a questa bugia viene però  arrestato
 con la duplice accusa di frode e concorso in omicidio. Gli  viene 
negata l'assistenza di un avvocato. Il mattino seguente, dopo 14  ore di
 interrogatorio, intravede l'albergatore Anthony Pike nella stanza  
vicina e capisce di essere caduto in una trappola.
           
DOMANDA: Alla luce di questi fatti, per quale  misteriosa ragione Chico Forti avrebbe dovuto pianificare la morte di  Dale Pike?