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mercoledì 16 maggio 2012

IL FALLIMENTO IN GRECIA




LO STATO è FALLITO MA I GRECI NON LO CAPISCONO

                                                                     
DI STEFANO MAGNI*
In Grecia sta fallendo lo Stato. Non ci sono spiegazioni alternative. I governi socialisti e conservatori, nel corso di un decennio, hanno speso ben oltre le capacità dei loro contribuenti. Hanno strapagato i loro funzionari. Hanno assunto e stipendiato milioni di lavoratori socialmente inutili. Hanno costruito stadi e altre “meraviglie” olimpioniche, per poi abbandonarle come cattedrali nel deserto. E adesso si ritrovano con le casse semi-vuote: a fine giugno non saranno neppure più in grado di pagare stipendi pubblici e pensioni, come ha mestamente ammesso il premier tecnico Lucas Papademos. La parabola della Grecia è finita nel baratro della bancarotta. Ma il problema, come si deduce dalla notizia di oggi del ritorno alle urne dopo il fallimento di ogni accordo di governo, è che i cittadini e contribuenti greci non hanno capito che il loro Stato sta fallendo.
Le elezioni di nove giorni fa hanno dato vita a un Parlamento tenuto in ostaggio da comunisti e post-comunisti (rispettivamente quelli del Kke e di Syriza) che vogliono ancora più spesa pubblica e non scendono ad alcun compromesso sui tagli da fare per salvare la baracca. Ora si torna al voto. E cosa si otterrà? Secondo i sondaggi, ci dobbiamo attendere una vittoria ancora più schiacciante di Syriza (prevista al 20%). E quindi che cosa vogliono gli elettori greci? Vogliono continuare ad essere assistiti. Anche con le casse dello Stato ormai vuote. Se non ce la fa Atene, pensano, ce la farà Bruxelles a mantenerci. E’ questo il pensiero che emerge da un sondaggio molto interessante, pubblicato appena ieri: l’80% (quasi la totalità) degli elettori di Syriza, partito che rifiuta l’austerity chiesta dall’Ue, vorrebbe restare nell’eurozona. Non sono disposti a pagare il prezzo della permanenza nella valuta unica, ma vogliono rimanerci. E perché mai, se non per essere aiutati dagli altri contribuenti europei? D’altra parte le formazioni di estrema sinistra greca non si sono mai dette “euroscettiche”. Semmai sono favorevoli ad una “altra” Europa: più “solidale”. E d’altra parte, il loro obiettivo era implicitamente condiviso dai partiti che sinora hanno governato (e affossato) la Grecia. Perché mai sono voluti entrare a tutti i costi nell’euro, pur non essendo pronti? Perché hanno addirittura deciso di truccare i conti, nascondendo a Bruxelles la vera entità del loro scialo? Perché, evidentemente, hanno pensato che, con gli euro al posto delle dracme, i creditori si sarebbero fatti più illusioni. E, in caso di fallimento, “mamma Europa” sarebbe venuta loro in soccorso. A spese di tutti gli altri Paesi membri, ovviamente.
Adesso ci troviamo di fronte a due prospettive realistiche, una più inquietante dell’altra. La prima è un default incontrollato della Grecia. Se i partiti estremisti (che vinceranno le elezioni) non accetteranno di tagliare la spesa pubblica, non otterranno la tranche di 130 miliardi di euro promessi dalla “troika” internazionale (Fmi, Ue e Bce, che ne hanno concessi, in tutto 240) e lo Stato greco andrà in bancarotta. In uno scenario di questo genere, pagheremo anche noi. Paesi con i conti in rosso, quali l’Italia, la Spagna e il Portogallo, otterrebbero ancor meno fiducia dai creditori. Verrebbero visti come “i prossimi” nella lista degli Stati sulla via della bancarotta. E vi sarebbe un fuggi-fuggi generale dei capitali dai nostri sistemi economici e finanziari. In caso di fallimento di Atene, l’agenzia Fitch, nel suo ultimo rapporto, parla di un possibile “downgrade” nella valutazione delle altre tre economie europee a rischio, fra cui la nostra. Non lo dice perché è “cattiva” o perché “fa gli interessi dei poteri forti americani”, come pensano i complottisti. Ma perché è la realtà: anche lo Stato italiano ha speso ben oltre le nostre possibilità e chiunque, persino un bambino, osservando il fallimento della Grecia, potrebbe dire che pure il nostro re è ormai nudo. Bancarotte a catena di Grecia, Italia, Spagna e Portogallo farebbero crollare tutta l’impalcatura dell’eurozona? Probabilmente sì. E nel peggiore e più doloroso dei modi. La seconda prospettiva realistica, altrettanto inquietante, è la concessione di aiuti alla Grecia a titolo gratuito. Al momento può sembrare un’azione da “buon samaritano”, ma già nel breve periodo avrebbe conseguenze disastrose. Se venissero concessi al prossimo governo di Atene altre centinaia di miliardi di euro, senza pretendere alcun taglio, alcuna riforma, alcuna uscita della Grecia dall’eurozona, l’intera Unione Europea si trasformerebbe in un gigantesco ente assistenziale. “Perché la Grecia sì e noi no?” penserebbero i governi più irresponsabili. E allora: giù di spesa pubblica per comprare consensi. Quel sistema malato che noi siamo abituati a vivere in Italia, con un Nord produttivo che mantiene un Sud assistito, diverrebbe la norma anche in tutto il Vecchio Continente. Finché i contribuenti dei Paesi più dinamici e meglio governati dell’Ue non si stancherebbero di mantenere decine di milioni di pesi morti. Non c’è bisogno di attendere decenni, per veder realizzato un simile incubo: con i tempi di oggi, bastano pochi anni.
Eppure una possibile soluzione razionale sarebbe dietro l’angolo: un default controllato e un’uscita, sempre controllata, dall’euro. Prima avviene, meglio è. Si dovrebbe ammettere che l’impresa di una valuta comune a greci e tedeschi, italiani e finlandesi, era un’impresa troppo utopistica per noi uomini, limitati e fallibili. Ma nessun politico, tantomeno chi ha fatto carte false pur di entrare nell’euro, è disposto ad ammettere di aver sbagliato. E allora l’alternativa resta sempre pessima: o fallisce la Grecia o si grecizza l’Europa.

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