Carceri indegne, ma l'amnistia resterà un tabù
Il ministro
Cancellieri fa il punto sulla situazione: "Le nostre carceri non sono
degne di un paese civile". E la situazione non può far altro che
precipitare: eppure, parlare di amnistia resta mossa fortemente
impopolare.
“Le nostre carceri non sono degne di un paese civile. È
necessario che in carcere si paghino gli errori commessi, ma anche che
se ne esca migliori e bisogna garantire a ciascun detenuto una
possibilità decente di alloggio, di sanità e di spazi per poter lavorare“.
Sono queste le ultime dichiarazioni del ministro Anna Maria Cancellieri
sulla situazione delle carceri italiane, giunte dopo che nei mesi
scorsi aveva parlato in maniera ancor più chiara, sottolineando come la
soluzione dell'annoso problema del sovraffollamento delle carceri fosse
“una priorità per il Governo”. Del resto, la situazione appare senza
dubbio drammatica, con 65.785 detenuti presenti a fronte dei 44mila
posti “disponibili” e dei 38mila effettivamente utilizzabili (per
carenza di personale o per inagibilità delle strutture). Ma non basta,
perché, come ricorda un report del Sole24Ore, nei prossimi mesi il
quadro complessivo può peggiorare ulteriormente per l'avvicinarsi di tre
scadenze cui far fornte:
La prima a dicembre, perché scade la legge «svuota
carceri» sulle misure alternative, già prorogata (e ampliata) dall'ex
guardasigilli Paola Severino, che ha soprattutto dimezzato il fenomeno
delle “porte girevoli” (chi entra e esce dal carcere nel giro di
pochissimi giorni). A gennaio, poi, scade la moratoria concessa
all'Italia dalla Corte di Strasburgo per evitare altre condanne per
«trattamenti inumani e degradanti» (il governo Monti ha impugnato la
sentenza per guadagnare qualche mese in più). La terza scadenza riguarda
gli Opg, che dovrebbero chiudere a marzo 2014 (termine già prorogato di
un anno).
Dunque, che la condizione dei detenuti sia una priorità sembra essere concetto condiviso,
con l'affollamento delle carceri che resta “una barbarie condannata in
tutto il mondo”. Il punto è capire come uscire in tempi rapidissimi
dall'impasse. La costruzione di nuove carceri è soluzione complessa e
certamente non utilizzabile in tempi brevissimi. Dunque, restano altre
strade, tra cui senza dubbio quella dell'approvazione del disegno di
legge già presentato in Senato e che contiene misure alternative al
carcere, nonché della possibilità di depenalizzare alcuni reati. Ma non
solo, perché da tempo si è tornati a parlare di indulto ed amnistia.
Su questi provvedimenti (come anche per la depenalizzazione
di alcune fattispecie di reati), però il rischio è quello dello scontro
frontale, dal momento che anni e anni di scontro fra politica e
magistratura hanno reso ingestibile la discussione di senso. E,
impostare un ragionamento sull'amnistia a prescindere dai riferimenti
diretti alle vicende giudiziarie dei politici (e ovviamente nello
specifico del Cavaliere), appare arduo tanto quanto pensare di poter
legiferare sull'indulto senza una mezza sollevazione popolare. Così,
persino considerazioni di buonsenso come quelle del capogruppo Pd al
Senato Zanda sul fatto che “aministia e indulto hanno un senso solo se sono legate a misure strutturali“,
finiscono per sembrare un'apertura ai bellicosi propositi di riforma
della giustizia pidiellini. Invece ci sarebbe tanto da discutere, magari
senza preconcetti o pregiudizi, magari partendo dalla necessità di
“riformare il sistema delle pene senza intervenire sul processo”, oppure
dalla riflessione su quanto il fallimento della passata esperienza
(l'indulto del Guardiasigilli Mastella) sia dovuto alla reiterazione dei
reati (chi è uscito dal carcere c’è troppo spesso tornato), oppure
ancora da una seria riflessione sul ruolo riabilitativo e non meramente
punitivo del sistema carcerario.
Invece assisteremo, c'è da giurarci, ad un braccio di ferro
tra “tifoserie” e sciacalli interessati alla cura del proprio
particulare. È il dramma della politica dei nostri tempi,
quello di aver speculato sulle emergenze, galleggiato sulla paura, fino a
ritrovarsi immobile ed impossibilitata ad agire.
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