PENSIONI/ L’Italia delle rendite e delle ingiustizie generazionali
In un’Italia al lumicino, ove ognuno oramai
affranto invoca soluzioni e ricerca colpevoli, sfugge al grande
pubblico un dibattito serio su alcune distorsioni che, nei fatti, hanno
determinato questa situazione di impasse economico e il conseguente
volgere la prua a un declino inarrestabile. Le giovani generazioni quale
futuro hanno oggi? Che prospettive intravede nella sfera di cristallo
chi si appresta per traguardo anagrafico o scolastico a entrare nel
mondo del lavoro? Non certo un mercato del lavoro effervescente, ma anzi
la disoccupazione, il precariato o la sottoccupazione. Quei pochi
fortunati che riescono a trovare un lavoro, per così dire stabile, hanno
comunque mille preoccupazioni: il costo della vita non consente loro di
affrontare con entusiasmo il futuro, di sposarsi, di mantenere una
famiglia, di comprarsi una casa.
Con un reddito netto di 1500 euro mensili -
corrispondenti a 18.750 annui - e un tasso di risparmio pari al 10%, si
deve riflettere su quanti anni occorrono per accumulare un capitale che
al tasso nominale del 3% permetta di erogare una rendita perpetua pari
al reddito oggi percepito. Confrontiamolo con gli inizi degli anni
Sessanta. Gli occupati erano 20.392.000 a fronte di una popolazione di
50.025.000. Nel 2010, dopo cinquant’anni, gli occupati sono aumentati
del 12% arrivando a 22.872.000, contro un aumento della popolazione del
21% (60.340.0000 di persone). Tale differenza di popolazione è
concentrata nella fascia oltre i 65 anni; si tratta, cioè, di persone
che consumano risorse senza produrre ricchezza.
Certo, le due realtà economiche non possono
essere paragonabili - l’esigua crescita attuale è diversa da quella
degli anni Sessanta - anche perché diversi sono i valori delle
variabili. Ma d’altra parte, se il futuro si costruisce sulle nuove
generazioni, sul loro entusiasmo, sulle loro idee, meno giovani
significano minori entusiasmi e creatività. Se, inoltre, i giovani hanno
difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, quei pochi entusiasmi
vengono perduti o dispersi nella frustrazione.
Il futuro, ma soprattutto il presente, è
diverso per i pensionati. Analizziamo infatti il rapporto Inps 2011. I
dati espressi sono stati aggregati e pochi calcoli evidenziano
distorsioni che sono vizi nascosti e possono spiegare la non crescita
del Paese. L’analisi delle tabelle e alle pagine 227 e 228 è
significativa. I pensionati totali sono 13.941.802. Di questi 1.077.623
sono i pensionati fra i 40 e i 59 anni - pari al 7,7% del totale - che
costano circa 13,2 miliardi di euro; chi entra nel mondo del lavoro
oggi, invece, potrà andare in pensione solo a 70 anni. Vi sono 403.023
pensionati - pari al 2,8 % del totale - che costano allo Stato circa 21
miliardi , pari all’11% della spesa pensionistica. Questa classe è stata
accorpata forse volutamente per nascondere una realtà imbarazzante. La
fascia di reddito è quella delle pensioni superiori a 3.000 euro
mensili, ma la media si colloca a 4.165 euro mese: è come dire che i
tanti vicino ai 3.000 euro mese annacquano i pochi, con pensioni ben più
alte, ma non conosciute.
Ne scaturisce una media che non
scandalizza, ma la realtà è ben diversa. La generazione di chi scrive e
quella dei miei figli avrà il montante di calcolo della propria pensione
basato sul cosiddetto metodo contributivo e saranno pensioni da fame.
Pochi privilegiati oggi, invece, assorbono rendite altamente sperequate
rispetto a quanto erogato. La ricchezza continua quindi ad accumularsi
sulla generazione che:
1. Ha sempre pagato poche tasse, si pensi
all’Iva, un’imposta entrata in vigore nel 1973. I dati Ocse lo
confermano. La pressione fiscale che negli anni Sessanta e Settanta è
stata mediamente del 25%, nel 1980 era già al 31,4% e iniziò rapidamente
a crescere. Nel 1990 si arrivò al 37%, oggi siamo oltre il 45%. Una
tassazione continua per finanziare le cambiali emesse da una classe
dirigente non lungimirante. Cambiali che oggi sono all’incasso e a
carico degli attuali contribuenti. La politica degli Settanta è stata
pessima, con mancanza di visione demografica, industriale e di
pianificazione, ricerca della concertazione e del consenso mediante
concessione di privilegi e prebende.
2. Ha promulgato leggi che hanno difeso la
propria classe corporativa, quali ad esempio le pensioni calcolate con
il metodo retributivo, baby pensioni, ecc.
3. Ha promulgato inoltre leggi che hanno
definito il principio del “diritto quesito” quale una sorta di moloch
inviolabile a difesa delle norme codificate a proprio vantaggio. Riprova
di ciò è la concentrazione della ricchezza.
Dai dati del Ministero dell’Economia Dipartimento Entrate Finanziarie in relazione all’imposta Imu 2012 emerge che:
1. I giovani sotto i 30 anni che pagano l’imposta sono solo l’1,9%.
2. La fascia di età fra i 31 e i 50 è il 24,63%.
3. L’insieme quindi delle persone in piena età lavorativa possessori di case è solo il 26,5%.
4. Se ulteriormente suddividiamo il gettito
per classi di reddito prevalente, il 35% è pensionato, il 25% vive di
redditi di fabbricati che assorbono probabilmente la quasi totalità del
rimanente 73,5% di persone oltre i 50 anni che pagano l’Imu.
Tornando alla domanda iniziale, quanti anni
sono oggi necessari per costituire un capitale, ecco la risposta: 78
anni! Questa attuale generazione di pensionati elitari difende la
propria casta, ma ha tolto la speranza ai giovani e la loro fiducia nel
futuro. I giovani infatti - bruciata la speranza del lavoro - possono
accumulare il capitale, che di fatto servirà loro per la vecchiaia, solo
ereditando e quindi non lavorano. Così la società si spegne e non ci
sarà futuro per questa Italia.
Non solo, lo spauracchio del debito dello
Stato e la sua necessaria esigenza di essere collocato, ha determinato
privilegi alla sua tassazione, molto più conveniente rispetto ad altri
investimenti. Di più, la libertà sui movimenti di capitale e la sua
teoria che la circolazione è tanto più dinamica quanto più le tasse a
essa collegate sono esigue, ha creato artatamente un’ulteriore difesa
corporativa al capitale accumulato negli anni precedenti. Il gettito nel
2011 dei redditi di capitale è stato pari a solo 4,2 miliardi di euro.
Non vi sono dati ufficiali in merito alla concentrazione della ricchezza
mobile sia per fascia di età o di qualifica dello status lavorativo,
molto probabilmente sarà simile a quella delle proprietà immobiliari.
Questi sono alcuni problemi che
spiegano perché l’Italia non cresce. Che fare quindi per ripristinare e
mettere in moto un circolo virtuoso? All’alba del terzo millennio è
necessario un nuovo pensiero politico e un nuovo patto di
redistribuzione fra le generazioni: ritornare a dare speranza e dignità
al lavoro, alle persone e non al capitale. Adam Smith nel suo saggio Teorie dei sentimenti morali ricordava:
“Tuttavia non può sussistere società tra coloro che sono sempre pronti a
ferirsi e offendersi l’un l’altro. Nel momento in cui comincia
l’offesa, nel momento in cui si manifestano risentimento e animosità
reciproca, tutti i suoi legami si spezzano e tutti i membri di cui essa è
composta è come se fossero dispersi e sparsi lontano dalla violenza e
dall’opposizione dei loro affetti discordanti. Se esiste una società di
ladri e assassini, essi devono almeno, secondo un’osservazione banale,
astenersi dal derubarsi e uccidersi l’un l’altro. Perciò la beneficenza è
meno essenziale della giustizia all’esistenza della società. La società
può sussistere, anche se non nel migliore dei modi, senza beneficenza;
ma, necessariamente, il prevalere dell’ingiustizia la distrugge del
tutto”.
Questa senso di impotenza e di ingiustizia
deve essere riequilibrato e devono essere i figli del baby boom - oggi
cinquantenni - consapevoli del loro ruolo di figli e di padri a doversi
fare portatori di questo messaggio di solidarietà intergenerazionale.
Devono illuminare i propri genitori - oggi pensionati - sul fatto che è
necessario un sacrificio: deve essere eliminata una distorsione sociale
per ridare una speranza non tanto per loro, ma per i loro figli, nipoti
di quei nonni oggi pensionati che beneficiano di rendite non più
accettabili. Poche cose ma di principio:
1. Calmierare le baby pensioni al costo della pensione sociale. Effetto di risparmio: stima 6 miliardi di euro.
2. Calmierare delle pensioni d’oro a 3.500 euro lordi mese. Effetto di risparmio: stima 7,5- 8 miliardi di euro.
3. Inserimento dei redditi di capitale
compresi quelli derivanti da interessi del debito dello Stato nella
dichiarazione dei redditi con aliquota quindi progressiva. Effetto di
risparmio derivanti da esenzione ticket spesa sanitaria ed altre
esenzioni, scolastiche ecc.: stima 3 miliardi di euro. Per maggior
gettito fiscale: stima 12 miliardi di euro.
4. Rimodulazione della curva Irpef abbassando le aliquote per ridare al lavoro il suo potere di acquisto.
5. Aumento dell’aliquota della tassa di
successione ed esenzione invece per le donazioni effettuate a enti
non-profit, scuole, fondazioni che perseguono interesse con finalità
sociale pubblica.
Le risorse liberate potrebbero essere
indirizzate a investimenti nelle infrastrutture, alla ricerca e
sviluppo, alle imprese, al pagamento degli arretrati dei debiti della
Pubblica amministrazione. Si creerebbero nuovi posti di lavoro e
ripartirebbe la fiducia e la crescita. Il vero nuovo pensiero politico
di una società progressista, ma al tempo stesso etica e responsabile
guardando al futuro, è una visione di giustizia sociale
intergenerazionale che deve essere perseguita. Non serve consegnarci
all’Europa e pensare che la sua unità risolva le distorsioni dal
sistema. Una cosa è certa: i nostri problemi li dobbiamo risolvere da
soli, il miraggio dell’Europa e la sua integrazione politica è solo una
panacea illusoria per rinviare i nostri problemi domestici.