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venerdì 3 maggio 2013

LUISA SANTOLINI UDC LA PEDOFILIA E' UN ORIENTAMENTO

Luisa Santolini Udc: “La pedofilia è un orientamento sessuale, come l’omosessualità” 

-Redazione- 3 maggio 2013-“ Perchè una legge per punire chi discrimina gli omosessuali? L’omosessualità è un “orientamento sessuale” come tanti altri: c’è chi è gay, poi c’è chi è etero, e poi c’è chi è pedofilo”.
 L’equiparazione fra pedofilia ed omosessualità non è stata pronunciata da qualche buontempone, ma da un deputato della Repubblica proprio nell’aula di Montecitorio, sollevando un vespaio di polemiche da parte di Paola Concia, promotrice del Ddl attualmente in discussione.
A pronunciare le parole, invero pesanti e forse poco ponderate, l’esponente dell’UdC Luisa Santolini, che finisce immancabilmente sulle agenzie di stampa.
“Il mio orientamento sessuale e’ l’eterosessualita’, ma ce ne sono anche altri, come l’omosessualita’ e la pedofilia’.Così, Luisa Santolini, intervenendo in Aula durante la discussione generale sul testo di legge contro l’omofobia.
L’affermazione dell’esponente centrista ha fatto andare su tutte le furie la prima firmataria del provvedimento e relatrice di minoranza Paola Concia. ‘La pedofilia e’ una malattia – ricorda il deputato – non certo un orientamento sessuale…’.
Insomma, il grimaldello è chiaro: se l’omosessualità è un orientamento sessuale come tanti, non serve una legge “scudo” che protegga gli omosessuali in maniera particolare.
Solo che il riferimento alla pedofilia rovina un po’ il quadretto che la Santolini aveva tentato di dipingere. 
Fonte articolo tre

SE AVETE CONTI CORRENTI IN QUESTI PAESI CHIDETELI E SCAPPATE

Jp Morgan: “Se avete Conti Correnti in questi Paesi, Chiudeteli e Scappate” 

 Unsecured Depositors Of The World, Unite… And Get The Hell Out Of These Countries”: depositanti non assicurati di tutto il mondo, unitevi…e scappate subito da questi paesi”.
Non lascia margini di dubbio l’alert di JP Morgan. Riferendosi ad alcuni dati recenti, la banca americana fa notare che la fetta di grandi depositi non assicurati è probabilmente vicina alla metà circa dei depositi totali dell’Unione europea.
Con i depositi che si stanno già spostando dai paesi periferici verso mete più sicure, la fragilità dell’intero sistema bancario è evidente. Da quali paesi bisogna scappare? Per JPM la risposta è ovvia: dai paesi periferici dell’Eurozona, dunque da Italia, Cipro, Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna.
Secondo JPM, nonostante i nostri politici e le varie autorità di borsa e mercati assicurino che Cipro è un fatto a sé, e che l’Italia in nessun modo rischia di trovarsi nella stessa situazione, per chi ha depositi presso i conti correnti italiani, la situazione non è assolutamente tranquilla.
“Abbiamo ritenuto appropriato mettere in evidenza quali nazioni hanno la maggior fetta di depositi non assicurati, e al contempo non sono anche sotto i controlli di capitali della Bce.
Anche in Francia c’è fermento. Sembra che nonostante il governo Hollande abbia deciso di rinunciare alla tassa del 75% sui più ricchi, esiste una buona ragione per i benestanti di andare via”.
L’accordo a Cipro per evitare il peggio è stato raggiunto, ma sempre di prelievo forzoso si tratta. 
Il rischio, nonostante le rassicurazioni, che tale manovra verrà applicata prima o poi ad altri paesi dell’Eurozona è elevato e l’allarme è stato già lanciato, su Spagna, Grecia, Francia, Irlanda e Italia.
Come dimostra il caso di Abn Amro la corsa all’oro è già iniziata.
Robert Henriques, esperto di JP Morgan dichiara pessimista: “per le prossime crisi potremmo assistere a una fuga dei depositi
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CHI TROPPO LA TIRA .....

Chi troppo la tira... 

di Maria Pia Caporuscio. Il gesto di quell’attentatore dinanzi a palazzo Chigi non lo si può giustificare in alcun modo. Di qualsiasi disagio quest’uomo fosse stato vittima, non si può accettare che la propria rabbia, la si sfoghi contro persone innocenti. Comunque - sarebbe ipocrita nasconderlo - la popolazione ritiene, a ragione, i politici responsabili dei disastri cui si trova oggi il nostro paese. Responsabili di una scellerata gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente non solo incapace, ma anche immorale. Oltre alle sofferenze economiche che la popolazione è costretta a subire, oltre alle ruberie del denaro pubblico e allo sfregio addirittura, con cui questi signori ne fanno un uso personale, la popolazione è costretta a subire anche gli insulti da parte di questi soggetti. Quel dito medio alzato contro i manifestanti, da parte di quell’essere ridicolo, è una sfida a ricorrere alla violenza. Episodi disgustosi quali l’arroganza, la maleducazione e il disprezzo verso gli italiani attuati da questi esseri, sono all’ordine del giorno, basti ricordare il medesimo dito alzato da quella “signora” facente parte anche lei delle nostre istituzioni. Ci si chiede con quale criterio venga scelta una classe dirigente per davvero impresentabile. Questa gente nella loro totale deficienza, non è in grado di capire quali potrebbero essere le reazioni a questo modo gravissimo, di istigazione alla violenza, perché è violenza deridere e insultare una popolazione che contesta il loro vergognoso comportamento, il loro circondarsi di privilegi assurdi e ingiustificabili. Non si può concepire la scorta e le auto blu per qualsiasi buffone che per nostra disgrazia, si ritrova ad occupare posti prestigiosi nelle istituzioni. E’ bene che questi signori prendano atto che esiste un limite di sopportazione e che nessuno può garantire quel che ne potrebbe conseguire. Gran parte della popolazione è consapevole del proprio valore, della propria superiorità in cultura e intelletto, di possedere una dignità ed una educazione di cui questi esseri sono privi e poi vedersi oltretutto maltrattare da questi cafoni, cui pagano altissimi e immeritati stipendi, manda il sangue al cervello. Gli italiani non vogliono e non possono rispettare gente che non merita rispetto, né tantomeno essere costretti a subire i loro insulti. Questi “esseri” hanno la pretesa di proporre leggi che noi dovremmo rispettare? Siamo per davvero disposti a scendere così in basso in questo paese? Sicuramente no! Allora si ponga fine a questa vergogna altrimenti la popolazione sarà costretta a dire basta! E le conseguenze di tutto questo, a nessuno è dato conoscere!

QUANTI SONO I POTENZIALI GIUSTIZIERI IN GIRO X L'ITALIA

QUANTI SONO I POTENZIALI GIUSTIZIERI IN GIRO PER L'ITALIA? 

Applicando gli schemi delle composizioni statistiche, emergono circa 20 mila individui, sparsi su tutto il territorio. Ma la questione più grave è: e se colui che ha sparato fosse invece vittima dei debiti con banche e istituzioni finanziarie o, ancor peggio, degli usurai? Il caso della sparatoria davanti a Palazzo Chigi pone alla ribalta una domanda di non poco conto: quanti sono i potenziali giustizieri in giro per l'Italia, armati e disposti ad attaccare politici o uomini-simbolo prima di sparire anch'essi nel nulla? E' possibile dare una risposta applicando le regole e gli schemi delle composizioni statistiche.
Prendiamo in esame le classi di appartenenza dell'uomo che ha fatto esplodere quei colpi di pistola. Infatti egli era: 1) disoccupato per perdita del posto di lavoro; 2) separato con prole 3) dedito al gioco con puntate di soldi (e relative perdite). Bene, queste tre classi tipologiche hanno precisi numeri nel nostro paese. Secondo i dati delle primarie fonti di notizie i disoccupati che hanno perso il posto di lavoro negli ultimi anni sono 568 mila di cui poco meno della metà uomini (media incrocio dei dati Istat, Centro Studi Confindustria, Isfol, Ministero del Lavoro - a fine del 2012); i separati uomini in Italia sono 640 mila, di cui con prole il 34%, pari a circa 200 mila (Istat); gli individui dediti al gioco in Italia sono 2 milioni e 200 mila di cui ludopatici circa 800 mila e tra questi circa 200 mila spendono per il gioco oltre 1000 euro al mese (studio Azzardopoli della società Libera, 2011).
Incrociando i dati delle classi e le percentuali analizzate emerge una valutazione sommaria: lo 0,23% della popolazione adulta di sesso maschile ingloba in sé quelle tre caratteristiche. Sono circa 20 mila individui sparsi su tutto il territorio nazionale. Tanti? Pochi? Per fare una valutazione ancora più dettagliata bisognerebbe entrare nel merito di altre questioni, che non è possibile ora affrontare per mancanza di notizie. C'è l'acquisto di un'arma da fuoco al mercato nero, la povertà familiare, il disagio psicosociale per l'annullamento reputazionale, la perdita di speranza, la depressione.
Ma una questione, la più grave, aleggia su tutte, ed è la seguente: e se colui che ha sparato davanti a Palazzo Chigi fosse invece vittima dei debiti con banche e istituzioni finanziarie o - ancor peggio - degli usurai per debiti pregressi non saldati e quindi potenziale soggetto a esiziali minacce da parte degli stessi cravattari? Non è una domanda di poco conto. Quanto sono aumentate negli ultimi anni le vittime dell'usura, dei taglieggiamenti, delle minacce di morte, disposti a tutto prima di farla finita? E' una domanda che ad oggi non ha una riposta. Si viaggia nell'assenza di dati. Nel mistero torbido di questo paese che lentamente si inabissa nelle morti per suicidio. Le istituzioni e la stampa li definiscono casi isolati. Fino a che punto continueranno a farlo, visto che i debiti sono ormai un problema - anzi, il problema per eccellenza - nazionale? 

Fonte Cado in piedi 

VICEMINISTRI E SOTTOSEGRETARI CHI A VINTO CHI A PERSO

Viceministri e sottosegretari: chi ha vinto e chi ha perso 

Alta tensione a Palazzo Chigi per la nomina di viceministri e sottosegretari (leggi l'elenco completo). Le trattative si sono protratte fino a tarda serata. La soluzione del puzzle è stata difficile, complessa. Il Consiglio dei ministri, convocato alle 20.30, è iniziato alle 21.40, segno del fatto che la trattativa si era bruscamente inceppata. Come in tutte le infornate di nomi, c'è chi ha vinto e chi ha perso. Tra i vincitori Gianfranco Miccichè, che torna al governo, fortemente voluto da Silvio Berlusconi come sottosegretario alla Funzione Pubblica. Tra le alte sorprese Antonio Catricalà, viceministro allo Sviluppo con delega alle Comunicazioni. Vengono poi riconfermati anche Marta Dassù, Marco Rossi. Doria e Maria Cecilia Guerra. La spunta anche il leader dei "giovani turchi" democratici, Stefano Fassina, piazzato come viceministro all'Economia (con questa mossa il premier Enrico Letta prova a riassorbire il dissenso di Fassina e del Pd per la nomina di Fabrizio Saccomanni a via XX Settembre).
Accuse a Bersani - Ma chi sono i grandi sconfitti? La rassegna inizia con Piero Giarda, ministro dei Rapporti con il Parlamento del governo Monti, in pole da giorni per guidare la finanza pubblica, ma che non compare nella squadra governativa. Un altro grande sconfitto è Roberto Reggi, di strettissimo rito renziano, ex sindaco di Piacenza, depennato negli ultimi minuti con grande sorpresa del primo cittadino di Firenze. Reggi non ha voluto commentare, ma i suoi amici danno contro di "veti diretti e mirati" che sarebbero stati imposti da Pier Luigi Bersani. Altra "trombata" è l'amazzone Michaela Biancofiore, berlusconiana di ferro, superata da Bruno Archi, ex consigliere diplomatico del Cavaliere.
Altri trombati - Ma la battaglia più aspra, al solito, è quella che si è combattuta tra le fila del Partito democratico. Gli ex Ds, infatti, dopo essere stati tenuti ai margini della squadra di governo più in vista, hanno voluto riequilibrare le forze rispetto alla componente cattolica e moderata. Stesso ragionamento hanno fatto i bersaniani, dalemiani e fassiniani. E così nella squadra allargata di Letta entra Enzo De Luca, sindaco di salerno, che approda ai Trasporti. Poi c'è Maurizio Martina, segretario regionale del Pd lombardo, molto vicino a Bersani, che si prende la delega all'Expo. Silurata, invece, Anna Serafini, moglie di Piero Fassino (per la quale il sindaco di Torino s'era molto speso), come non entra in squadra il veltroniano Marco Minniti. Tra gli esclusi anche molti "lettiani". A loro avrebbe chiesto un sacrificio proprio il premier. Lo conferma Paola De Micheli, fino all'ultimo in corsa come sottosegretario in un ministero economico: "Enrico ci ha chiesto il beau geste...". 
Fassina e Casero all'Economia, Catricalà allo Sviluppo economico Ecco i sottosegretari di Enrico
Consiglio dei ministri-lampo: squadra di governo al completo con 40 nomi, di cui 10 viceministri. Bubbico vice di Alfano, dentro anche la Biancofiore 
Come era previsto, sono 40 i sottosegretari e i viceministri che vanno a completare la squadra del governo Letta. Le nomine sono state ufficializzate nel corso di un consiglio dei ministri-lampo convocato dallo stesso Letta al termine del suo "tour" europeo. Ai Sottosegretari parlamentari, come già annunciato dal Presidente del Consiglio nel discorso alle Camere, non sarà corrisposto lo stipendio aggiuntivo. Inoltre gli uffici di diretta collaborazione dei Viceministri saranno ridotti e uniformati a quelli dei Sottosegretari, con la conseguenza che non ci sarà alcun costo aggiuntivo collegato alla suddetta nomina. Ecco i nomi:
Presidenza del Consiglio - Giovanni Legnini (Editoria e Attuazione Programma), Sesa Amici (Rapporti con il Parlamento e coordinamento attivita' di Governo), Sabrina De Camillis (Rapporti con il Parlamento e coord. attivita' Governo), Walter Ferrazza (Affari Regionali e Autonomie), Micaela Biancofiore (Pari Opportunita'), Gianfranco Micciche' (Pubblica Amministrazione e Semplificazione).
Interno - Filippo Bubbico (Viceministro), Domenico Manzione, Giampiero Bocci
Affari Esteri - Lapo Pistelli (Viceministro), Bruno Archi (Viceministro), Marta Dassu' (Viceministro), Mario Giro.
Giustizia -  Giuseppe Beretta, Cosimo Ferri
Difesa - Roberta Pinotti, Gioacchino Alfano
Economia e Finanze - Stefano Fassina (Viceministro), Luigi Casero (Viceministro) Pierpaolo Baretta, Alberto Giorgetti
Sviluppo Economico - Carlo Calenda (Viceministro), Antonio Catricala' (Viceministro), Simona Vicari, Claudio De Vincenti
Infrastrutture e Trasporti - Vincenzo De Luca (Viceministro), Erasmo De Angelis, Rocco Girlanda
Politiche Agricole Forestali e Alimentari - Maurizio Martina, Giuseppe Castiglione
Ambiente, Tutela del territorio e del mare - Marco Flavio Cirillo
Lavoro e Politiche Sociali - Cecilia Guerra (Viceministro), Jole Santelli, Carlo Dell'Aringa
Istruzione, Universita' e Ricerca - Gabriele Toccafondi, Marco Rossi Doria, Gianluca Galletti
Beni, Attivita' culturali e turismo - Simonetta Giordani, Ilaria Borletti Buitoni
Salute - Paolo Fadda
Fonte Libero.it

I 4 SEGRETI DEL PIANO LETTA PER USCIRE VIVI

Ecco i quattro segreti del piano Letta per uscire vivi dall’imbuto fiscale

Golden rule, deficit e patto con la Bce. Le vere missioni del governo spiegate dal braccio destro del premier, Boccia 

 Al ritorno dal suo breve tour nelle principali cancellerie europee, Enrico Letta si è ritrovato a fare i conti con due questioni che condizioneranno la rotta economica del governo più delle piccole scaramucce sull’abolizione dell’Imu. Il primo problema riguarda la previsione arrivata ieri dal centro studi dell’Ocse sulla contrazione del prodotto interno lordo italiano: le stime di novembre parlavano di un 2013 all’insegna del -1 per cento, mentre le stime di ieri parlano di un peggioramento della crescita che porterà il pil a -1,5 a fine anno, e che renderà “impossibili” le riduzioni della pressione fiscale senza un impatto sulle entrate. Il secondo problema si è materializzato sempre ieri durante l’audizione parlamentare di Fabrizio Saccomanni, quando il ministro dell’Economia ha escluso “rinegoziazioni degli sforamenti del deficit” sul modello spagnolo e ha ammesso che pochi impegni presenti nel discorso di insediamento di Letta potranno essere contemplati nel documento di economia e finanza (Def) che l’esecutivo consegnerà a Bruxelles la prossima settimana.
Dunque, come si esce da questo imbuto? E cosa può fare il presidente del Consiglio per non veder sfumare da subito alcune promesse importanti (meno tasse, più crescita, niente giochini con il debito pubblico) fatte pochi giorni fa in Parlamento? La partita si gioca sulle uova ma, come spiega al Foglio Francesco Boccia, consigliere economico del presidente del Consiglio, forse una strada c’è. “Siamo consapevoli – dice Boccia – che le attuali condizioni di finanza pubblica ci impongono un percorso progressivo e selettivo, e per questo credo sia importante individuare da subito le priorità che consentono di perseguire gli obiettivi di rilancio economico e di coesione sociale. Sul fronte europeo le urgenze sono due: da un lato una regolamentazione bancaria che riduca le distorsioni nell’accesso delle imprese al credito e dall’altro una serie di meccanismi che consentano ai paesi con i conti in ordine un costo del servizio del debito sostenibile e in linea con quello degli altri partner europei”. Questo per quanto riguarda la teoria. Ma per quanto riguarda la pratica, Boccia riconosce che il governo ha quattro idee in testa, e anche piuttosto chiare: dalla golden rule al patto con la Bce.
Primo punto, patto con l’Europa. “Le opzioni per coniugare crescita e rigore sono varie”, dice Boccia. “La valutazione di quella migliore passa da una condivisione del metodo con la Commissione e gli altri paesi dell’area euro. Ma posso dire che la strada seguita da Madrid, quella di avere due anni in più per ridurre il deficit fino al 3 per cento del pil, è una possibilità”.
Secondo punto, spending review: “Noi sappiamo che la prima arma a disposizione di un paese è la sua credibilità, e negli ultimi anni, attraverso il conseguimento di avanzi primari di dimensione superiore a qualsiasi altro paese europeo, abbiamo dimostrato di essere in grado di realizzare ogni misura necessaria e funzionale alla messa in sicurezza dei nostri conti pubblici. Questo rigore l’attuale governo intende continuare a perseguirlo ma introducendo elementi di novità ed efficienza nelle sue modalità di attuazione. Come? Così: attuando un intenso monitoraggio per la riqualificazione della spesa pubblica e puntando forte su un nuovo modo di intendere la spending review, con una rimozione delle anomalie che caratterizzano i criteri che sono alla base del patto di stabilità interno”.
Terzo punto, le richieste all’Europa. “Sul fronte europeo le strade sono due. Da una parte la golden rule, ovvero lo scorporo dei cosiddetti investimenti produttivi dal calcolo del deficit annuale. Dall’altra, un patto con la Bce per finanziare le banche dei paesi membri in difficoltà vincolando i prestiti a un trasferimento di risorse per le imprese”. Insomma: tu sei una banca, dai un prestito a un’azienda, quel prestito lo porti alla Bce e la Bce te lo finanzia.
Quarto punto, le tasse. “Considerati gli attuali livelli è inimmaginabile non solo un aumento, ma anche una invarianza della pressione fiscale. E in particolare io credo che il primo vero e immediato segnale che potrà dare il governo su questo fronte sarà legato alla riduzione del cuneo fiscale: punto essenziale per aumentare il reddito disponibile delle famiglie e consentire un recupero di competitività da parte delle imprese”. Sul tema del lavoro, che è stato uno dei punti centrali del discorso di insediamento di Letta, Boccia sostiene che per rivitalizzare il mercato la riforma Fornero non sia da rivoluzionare ma semplicemente da ritoccare in alcuni punti. “La riforma Fornero purtroppo è stata introdotta in un momento di grave recessione, che ha reso stringenti le riduzioni di flessibilità in entrata. Al momento, sulla base dei dati disponibili, la riforma sembrerebbe aver determinato una riduzione delle assunzioni riferibili al lavoro intermittente e parasubordinato, senza che, almeno sinora, a questa riduzione di posti abbia corrisposto la creazione di posti a maggiore stabilità. Una revisione, almeno in questa fase economica, delle flessibilità in entrata e una valutazione di quali misure possano rendere effettivo e consistente il necessario percorso di stabilizzazione dei posti di lavoro appare necessaria, e credo proprio che quando il governo dice ‘ripartiamo dal lavoro’ intende proprio ripartire da qui”. 

Fonte il foglio.it

LAVORO IN CAMBIO DELLA SPESA PER I DISOCCUPATI

Nasce il supermercato per i disoccupati: lavoro in cambio della spesa gratis  



Che cosa c’è da mangiare oggi. Le paure del nuovo millennio si chiamano fare la spesa tutti i giorni e riuscire ad arrivare alla fine del mese. L’umiliazione di offrire un piatto vuoto ai figli di ritorno da scuola è il colpo più duro per i nuovi poveri d’Italia, quasi 4 milioni nel 2013. La soluzione l’hanno trovata in Emilia Romagna, a Modena, dove il Centro Servizi per il Volontariato inaugurerà a maggio l’Emporio Portobello, un supermercato per disoccupati e famiglie in difficoltà economica. Circa 450 i nuclei vulnerabili a cui si intende offrire il servizio: scelti in collaborazione con i servizi sociali in base al quoziente Isee, le famiglie avranno a disposizione in maniera totalmente gratuita una tessera e un tot di bollini per fare la spesa nell’arco di un anno. Nessuna carità: dovranno offrire in cambio il proprio lavoro almeno una volta a settimana.
Lo racconta Angelo Morselli, presidente del Centro per il Volontariato e portavoce di un nuovo welfare dove la parola d’ordine è dignità. “L’idea ci è venuta semplicemente ascoltando i problemi dei nostri concittadini. La situazione è allarmante”. Gli ultimi dati sono quelli di Confcommercio che racconta di un paese dove, dal 2006 al 2011, la crisi ha creato 615 nuovi poveri al giorno, a fronte di un tasso di disoccupazione dell’11,7%.     
Così Emporio Portobello vuole dare risposta ai nuovi poveri, cercando di offrire un’ancora di salvezza. “Crediamo molto in questo progetto – dice Morselli – e vogliamo si mantenga la dimensione dell’acquisto, nessuno regala niente, ma coinvolgiamo le persone in un progetto specifico. Noi vogliamo stringere un patto con gli utenti che accoglieremo nei nostri locali. Ci sono delle condizioni e sarà fondamentale per tutte le parti rispettarle”. La prima regola è essere disposti al cambio di stile di vita. “Portobello sarà composto da tre locali: magazzino, supermercato vero e proprio e un’area di incontro con le associazioni. Intendiamo instaurare con gli utenti un vero dialogo per cercare di assisterli in questa nuova fase di vita. Cambiare lo stile di consumo sarà uno dei primi obiettivi”. E la seconda clausola del patto tra l’Emporio e il cittadino prevede un aiuto concreto: “In cambio chiediamo a chi usufruirà del servizio, di venire almeno una volta a settimana a lavorare come volontario presso la struttura. È il segno concreto che non stiamo facendo nessuna carità, ma cerchiamo di coinvolgere direttamente gli utenti nel percorso di uscita dal disagio”.
A rendere possibile e realizzabile il progetto sono le tante associazioni di volontariato attive sul territorio di Modena e, come ci tiene a sottolineare Morselli, per la prima volta anche laiche. “Siamo abituati a vedere questo tipo di progetti legati solo al mondo del volontariato cattolico, ma in questo caso ci sono anche altre realtà vicine all’associazionismo civico”. Così si va dall’Associazione Porta Aperta Modena, Insieme in quartiere per la città, Arcisolidarietà, Forum delle associazioni familiari della provincia fino all’Associazione Papa Giovanni XXIII e tante altre. Ad essere coinvolta è però tutta la cittadinanza. Sul sito: PortobelloModena.it è possibile dare il proprio contributo. Tante le modalità: si può “donare una spesa”, ovvero fare una donazione di denaro oppure le aziende possono donare direttamente prodotti d’acquisto. Infine c’è un’intensa attività di reclutamento volontari alla voce “dona il tuo tempo”: si cercano studenti o semplici cittadini che per qualche ora a settimana possono dare una mano a gestire la struttura.
“Purtroppo – conclude Morselli – il nuove welfare dovrà passare per forza dal volontariato. Per le famiglie non si tratta più di non riuscire ad arrivare alla fine del mese, ma nemmeno alla terza settimana. Se mancano i fondi e gli aiuti a livello statale, bisogna che siano i cittadini a rimboccarsi le maniche”. Un’esperienza unica: “All’inizio le nostre ambizioni erano più ridimensionate, ma siamo sommersi di richieste prima ancora di cominciare e stiamo cercando di diventare un punto di coordinamento per la nascita di altre realtà sul territorio. Grazie all’aiuto dei tanti volontari locali abbiamo deciso di accettare la sfida”.

DAL FRONTE GRECO UNA GUERRA NON DICHIARATA

Dal fronte greco, una guerra non dichiarata 



Guardo Atene alla luce delle incredibili parole del consigliere della Cancelliera tedesca, Angel a Merkel, secondo il quale ci sono ancora molti ricchi nei paesi del Sud Europa, che hanno addirittura case di proprietà, mentre la gran parte degli operai tedeschi sono in affitto. Così mentre il New York Times descrive l’allarmante situazione ellenica, parla dell’aumento dei disoccupati e dei senza tetto, delle mense che nascono per arginare in qualche modo il problema della denutrizione nelle scuole, la copertina dello Spiegel arriva come un pugno allo stomaco: “la menzogna della povertà” e giù a scrivere che i greci sono in media due volte più ricchi dei tedeschi. Roba da non crederci…eppure nel corridoio dell’albergo dove soggiorno trovo un bigliettino da visita di un giornalista che lavora per lo Spiegel. Quindi…quali indicazioni ha ricevuto dalla redazione o dalla proprietà? E’ venuto in Grecia con l’articolo pronto o ha percorso i circuiti turistici che mascherano e occultano la faccia della povertà che si manifesta già poche decine di metri dopo il Partenone? Ci sarebbe molto da parlare della propaganda mediatica (oltre a Der Spiegel anche la rivista Focus riserva il medesimo trattamento ai ‘ricconi’ Greci, rispetto ai ‘poveri’ tedeschi) e di come il giornalismo sia caduto in basso, con pennivendoli al lavoro per compiacere un mittente o con scribacchini che si autocensurano per non disturbare i manovratori.
Chissà se i giornalisti stranieri che sono arrivati in Grecia si sono informati sulle ‘linee guida’ che i colleghi ellenici devono rispettare: è bene non ritrarre o riprendere immagini di estrema povertà, deve essere spinta la linea di sostegno dei propri aguzzini europei e internazionali (dimostrando che invece sono i salvatori del paese) e non si possono divulgare filmati di contestazione di chi sta al governo. Non vi sembra possibile? Basta leggere le dichiarazioni dell’ex ambasciatore greco in Canada, rilasciate a dicembre scorso al giornale online The Millstone: un giornalista è stato licenziato in tronco per aver mostrato un filmato in cui il Primo Ministro greco veniva fischiato.
Per tornare a quello che considero un vero e proprio insulto alla dignità del popolo greco, lo Spiegel e Focus puntano il dito contro i ricconi (che ci sono lì come in Italia e altrove, dato che le ricchezze con la crisi si sono ulteriormente concentrate), fingendo di non vedere i senza tetto allo sbando nella città, gli studenti che svengono a scuola, gli ospedali che chiudono e che non hanno più medicinali, la marea di uffici, negozi e attività chiuse, le ragazzine che si prostituiscono , le decine di migliaia di ateniesi costretti a recarsi nelle strutture messe in piedi da volontari per avere un minimo di assistenza sanitaria. Guarda caso, a livello internazionale ci si dimentica di riportare la battaglia avviata da Panos Kammenos, dei Greci Indipendenti, che mette al centro una legittima richiesta greca che rischia di mettere in seria difficoltà la Germania. Nello specifico, nel 1941, i Tedeschi presero in prestito, con accordi regolarmente firmati, le riserve auree elleniche. In seguito all’unificazione tedesca, di questo ‘prestito’ di guerra non si disse più nulla. Il deputato greco oggi avanza la richiesta di poter iscrivere nel bilancio nazionale l’ammontare del prestito fatto alla Germania (anche senza calcolare gli interessi maturati nei tanti decenni), ma riceve solo una risposta velenosa dal ministro tedesco delle Finanze Schaeuble, evidentemente in panico per la richiesta ellenica.
La colonia dunque si rivolta contro l’occupante. Sì, perché con buona pace di chi difende governo e multinazionali tedesche, bisogna dire come stanno le cose. A partire dall’aeroporto di Atene, gestito da una società tedesca, che non paga le tasse in Grecia poiché la sede legale è in Germania; ma possiamo anche parlare della Deutsche Telekom che gestisce la rete telefonica fissa e la rete di telefonia mobile Cosmote. O della Siemens, che insieme alla grande compagnia di costruzioni francese Vinci, controlla la metropolitana di Atene, puntando ad acquisire anche la rete ferroviaria e il servizio idrico della capitale (dove vive metà della popolazione dell’intero paese). E in tempo di austerity, la svendita del patrimonio e degli assets pubblici è all’ordine del giorno. Basti pensare alla miniera di oro (s)venduta ai Canadesi al prezzo di 10 milioni di euro, pur sapendo bene(la notizia è di pubblico dominio) che il materiale facilmente estraibile ha un valore di almeno 110 milioni di euro.
Anche le grandi catene di supermercati che resistono alla crisi sono straniere, mentre i negozi e le attività commerciali greche sono state ridotte in cenere. Anche la distribuzione è spesso estera o comunque condizionata da oltre confine; talvolta è piegata addirittura a logiche di quote europee, in base alle quali in Grecia come in Italia si mangiano pomodori olandesi, mentre i nostri vengono esportati negli altri stati. Sono le medesime linee che impongono ad esempio al produttore di arance un prezzo di 5 centesimi al chilo, mentre le stesse vengono vendute ad Atene minimo a 1 euro. Anche da questo punto di vista, gli agricoltori italiani possono ben comprendere che la Grecia è molto più vicina di quanto si possa immaginare. Lo è anche per il costo del gasolio da trazione, che insieme a quello da riscaldamento è aumentato del 400% in tre anni, mentre il costo dell’energia elettrica è raddoppiato dal 2010 a oggi.
Ecco perché nell’inverno scorso ci sono state vittime per il freddo: molte persone non avevano di che riscaldarsi (e anche scuole e ospedali in alcune zone hanno dovuto fronteggiare lo stesso problema). Nella capitale, gli alberi dei parchi sono stati presi d’assalto, spogliati dei loro rami per ricavarne legna da ardere (mentre in alcuni casi si è addirittura arrivati al punto di bruciare mobili, pur di sottrarsi alla morsa del freddo).
Cambiando versante, dal punto di vista della scuola, la situazione è precipitata a partire dal 2011, con ben 2000 scuole che hanno chiuso (e presto è atteso un nuovo giro di vite) e numerosi istituti che non hanno neppure il minimo per poter funzionare. I genitori sono quindi costretti a pagare per l’istruzione dei propri figli, ma ci sono moltissime famiglie con madre e padre disoccupati che non possono concedersi il ‘lusso’ di mandare a scuola i propri figli, dal momento che non riescono neppure a reperire il cibo per sfamarli. Questo è quanto accade anche dal punto di vista sanitario, poiché chi non lavora almeno 150 giorni all’anno non ha diritto alla copertura del servizio sanitario e deve pagare tutto: medicine, prestazioni sanitarie, pronto soccorso. Ma in una Grecia dove la disoccupazione e la povertà stanno sempre più dilagando, spesso non c’è neppure il minimo per sopravvivere e i centri organizzati da personale medico volontario raccolgono la disperazione dei tanti che cercano un’ancora, una ragione, una speranza per non essere sopraffatti dall’istinto di farla finita. Sono ex operai, pensionati, ma anche dipendenti pubblici, negozianti, piccoli imprenditori e pure liberi professionisti; il cosiddetto ceto medio ora ridotto in miseria.
Fanno parte di quelle fasce che, intervistate poco più di anno fa, sostenevano di essere allora nel punto peggiore della crisi e che l’Euro e l’Europa li avrebbero salvati. Oggi giurano che non avrebbero mai ritenuto possibile arrivare a una situazione tanto tragica, convinti come erano che presto la crisi sarebbe finita e che – come gli si imponeva di credere – erano alla fine del tunnel.
Dal tunnel al precipizio, la caduta è stata repentina e dolorosa; ha mietuto vittime, anche nel senso letterale del termine. In una nuova forma di guerra condotta da istituzioni europee antidemocratiche e distanti anni luce da quell’Europa dei popoli che vorremmo; una guerra sorda combattuta con le armi non convenzionali delle banche e della grande finanza internazionale, pronte a cannibalizzare i paesi più fragili.
E’ una guerra silenziosa, strisciante. Alla faccia della miseria umana e mentale di chi sostiene che questa Europa è stata foriera di pace, giustizia ed equità, questa forma contemporanea di schiavitù è una barbarie vergognosa.