L’asse della speranza da Pechino a Beirut, via Mosca, Teheran e Damasco

La strategia degli Stati Uniti, ideata da Zbigniew Brzezinski, di
supportare l’oscurantismo islamico per combattere sia i progressisti
musulmani che la Russia, ha suscitato un’alleanza che gli resiste. Ora
Cina, Russia, Iran, Siria e Hezbollah sono costretti a fare blocco per
sopravvivere. Infine, osserva André Charny, la trappola scatta su chi
l’ha tesa.Islam contro Islam…
Iran, Siria e Libano grazie ad Hezbollah e ai suoi alleati, considerati
per anni dall’occidente fonte del male per il loro sostegno a ciò che
l’occidente chiama “terrorismo”, non hanno mai finito di parlarsi. Dopo
il trattamento individuale per ciascuno di essi in funzione delle
divisioni politiche regionali, nasce un asse che dalle porte di Russia e
Cina arriva a quelle di Tel Aviv. Quest’asse nasce dalla politica
occidentale nella regione. Gli Stati Uniti, seguiti dai principali Paesi
occidentali, hanno dichiarato che i loro interessi economici devono
essere preservati a tutti i costi. Questa politica faziosa negli anni ha
generato tensioni, conflitti armati e scontri che non finiscono di fare
notizia. Tale politica continua è stata attuata con il sostegno di
attori locali. Tuttavia, è accelerata dopo la caduta del muro di
Berlino, vissuto come evento storico giustamente, ma segnando l’avvento
di una strategia aggressiva e sprezzante in Medio Oriente. Scomparsa
l’URSS, i Paesi della regione non potevano sperare in null’altro che
rimettersi alla volontà occidentale, anche quella degli Stati Uniti.
Invece di approfittare di tale posizione privilegiata di arbitro, questi
ultimi e certi Paesi occidentali preferirono l’imposizione e il dominio
sul “Medio Oriente allargato” attraverso interventi diretti in Iraq e
Afghanistan, ma anche in Libano, Yemen e Maghreb con la dichiarata
intenzione di intervenire in Siria e Iran. Gli Stati Uniti fin dagli
anni ’70 , dopo la crisi petrolifera, devono controllare le fonti delle
materie prime, in particolare il petrolio, nonché le rotte di queste
risorse, perché ebbero l’amara esperienza di scoprirne la necessità
vitale per la loro economia e il benessere dei loro cittadini. Le
opinioni degli esperti si differenziano sulla valutazione delle riserve
di gas e idrocarburi, ma l’idea rimane la stessa, la natura finita di
tali tesori che si trovano, secondo loro, nelle mani di avidi beduini
che non sanno utilizzarli se non per accumulare oro e finanziarsi
passatempi e divertimento.
Nel momento in cui lo “scontro di civiltà” di Samuel Huntington
sostituisce la guerra fredda, l’Islam è diventato per gli Stati Uniti il
nuovo utile nemico, in qualche modo loro “alleato” contro l’Europa.
Pragmatici e opportunisti, videro nel movimento islamico un’”ondata” e
scelsero di giocare la carta musulmana per controllare meglio le arterie
dell’oro nero. Questo pericoloso alleato islamista venne percepito come
utile ben prima dell’implosione del comunismo. Dagli anni ’70, gli
Stati Uniti sostennero gli estremisti islamici, dalla Fratellanza
musulmana siriana agli islamisti bosniaci e albanesi, dai taliban a Jama Islamyah
egiziano. Si parlò addirittura di rapporti con il FIS (Fronte islamico
di salvezza, diventato il violento gruppo “GIA”), in Algeria.
Coccolarono i wahhabiti a capo della monarchia saudita pro-USA, che
finanzia quasi tutte le reti islamiste nel mondo. Fecero gli apprendisti
stregoni, e i movimenti fondamentalisti che credevano di manipolare
spesso si rivoltarono contro il “Grande Satana” per raggiungere i loro
obiettivi. Al contrario, gli Stati Uniti abbandonarono o vollero
neutralizzare quei Paesi musulmani suscettibili di conquistare potere
politico e relativa autonomia. Si pensi al presidente Jimmy Carter che
abbandonò lo Scià quando l’Iran stava diventando padrone del suo
petrolio. A ciò si aggiunse la volontà di schiacciare ogni accenno
d’indipendenza intellettuale anche nei Paesi arabi laici come Siria,
Egitto e Iraq.
Giocando con l’islamismo a scapito dei movimenti laici che potessero
rappresentare un’alternativa all’Islam politico radicale, ridivenendo
rifugio sicuro dopo ogni fallimento in questa regione. Tuttavia, tale
“islamismo” ovviamente non deve essere confuso con la Repubblica
“islamica” dell’Iran, che ha una storia atipica. Inoltre, diversi autori
importanti sui movimenti islamici, a volte commettono l’errore di
confondere la Repubblica islamica dell’Iran con gli islamisti, che non
hanno nulla in comune tranne il preteso riferimento a Islam e sharia. La
differenza fondamentale è la definizione stessa di Islam politico
auspicato da ognuno. Fondamentalmente tutto li separa, e se è vero che
gli statunitensi non fecero molto per salvare lo Shah, ciò fu
giustificato secondo le loro ragioni strategiche, perché con loro l’Iran
in nessun modo poteva diventare un grande potenza regionale. Ciò spiega
perché, qualche tempo dopo la caduta dello Scià, gli Stati Uniti
avviarono la guerra scatenata da Saddam Hussein contro il confinante,
permettendo di rovinare gli unici due Paesi che potessero avere
un’influenza decisiva nella regione del Golfo. Tuttavia, gli sviluppi in
Iran dopo la guerra con l’Iraq gli permisero di diventare una vera
potenza regionale, temuta in particolare da certe monarchie del Golfo,
che da allora preferirono affidare la propria sicurezza all’occidente,
soprattutto agli USA. Per contropartita, affidarono le loro “risorse”
alle economie occidentali, finanziando attività e movimenti indicatigli
dai servizi segreti di Washington.
Tali monarchie chiusero gli occhi sugli eventi in corso in certe
regioni, come la Palestina, anche se dicevano di sostenere le
aspirazioni del popolo palestinese. Furono tra i primi Paesi arabi ad
avere contatti diretti e segreti con Israele, portando poi alla
riconciliazione del movimento di resistenza palestinese con gli
iraniani, che oggi appaiono essere gli unici disposti a difendere i
luoghi santi dell’Islam con gli uomini di al-Quds, ramo delle Guardie
Rivoluzionarie, e attraverso il loro sostegno ad Hamas. La magia
statunitense si rivolse contro il mago. Il mondo arabo-musulmano deve
rimanere per il Nord America un mondo ricco di petrolio da sfruttare a
volontà, ma povero di materia grigia e tenuto nella totale dipendenza
dalla tecnologia; un mercato di un miliardo di consumatori privi
d’indipendenza politico-militare ed economica. Il giogo coranico,
secondo loro, ne sostiene la povertà intellettuale.
Le regole del gioco
L’asse passando da Baghdad e Damasco avanza a scapito della strategia
regionale di Washington. Era essenziale, negli anni, che questo asse
adottasse alleati e partner, soprattutto per via delle sanzioni contro
Iran e Siria. Inoltre storicamente la linea Damasco-Mosca non è mai
stata interrotta nonostante la scomparsa dell’Unione Sovietica,
nonostante il periodo tumultuoso attraversato dalla Federazione russa.
Ma l’arrivo del Presidente Vladimir Putin, che aspirava a ristabilire il
ruolo internazionale della Russia e a preservarne gli interessi
strategici, non fu gradito dagli Stati Uniti. Da parte sua, l’Iran
doveva sviluppare le relazioni con la Russia, divenendone alleato
oggettivo nei negoziati con l’occidente sul programma nucleare. Anche la
Cina ha rafforzato i rapporti con Teheran, soprattutto dopo l’embargo
sull’economia iraniana. Queste due grandi potenze sono diventate, per
forza di cose, le basi, se non le riserve strategiche, dell’”asse della
Speranza”. E’ ovvio che ognuno ne tragga vantaggio, ma i russi e cinesi
sono contenti di avere partner che agiscono da pedine contro i loro
avversari storici, mentre approfittano del petrolio e del gas iraniani, e
delle posizioni strategiche offerte dalla situazione in Siria rispetto
alle posizioni avanzate degli Stati Uniti. Nel suo libro La Grande Scacchiera, l’America e il resto del mondo,
pubblicato nel 1997, Zbigniew Brzezinski, ex-consigliere per la
sicurezza nazionale del presidente Carter, molto influente negli Stati
Uniti di Clinton, rivela con franchezza le ragioni ciniche alla base
della strategia islamica del suo Paese. Secondo lui, la sfida principale
degli Stati Uniti è l’Eurasia, il vasto spazio dall’Europa occidentale
alla Cina passando per l’Asia centrale: “Dal punto di vista americano, la Russia sembra destinata divenire un problema…“
Gli Stati Uniti dunque sono sempre più interessati a sfruttare le
risorse della regione e a cercare d’impedire alla Russia di avere la
supremazia. “La politica degli Stati Uniti ha anche lo scopo
d’indebolire la Russia e privare di autonomia militare l’Europa. Da qui
l’allargamento della NATO verso l’Europa centrale e orientale al fine di
sostenere la presenza degli Stati Uniti, mentre la formula della difesa
europea capace di contrastare l’egemonia americana sul vecchio
continente comporterebbe un ‘asse anti-egemonico Parigi-Berlino-Mosca‘”.
Infatti, attraverso le loro scelte, gli statunitensi sembrano essersi
sbagliati su tutti i fronti utilizzati come basi per conquistare i
giacimenti di petrolio e gas, ottenendo cocenti fallimenti politici.
Riguardo gli europei occidentali, hanno praticamente abbandonato ogni
strategia affidando la loro politica estera agli Stati Uniti. Anche se
cercano di salvare la faccia con certe pose, sanno che non sono loro a
comandare. Il recente esempio di François Hollande e Laurent Fabius che
giocano alla guerra è lampante: hanno dovuto ripiegare rapidamente,
comprendendo che i negoziati tra Lavrov e Kerry prevalgono sui loro
annunci roboanti.
La risposta della tigre
Prendendo atto del fallimento delle loro manovre, gli statunitensi
intendono alzare la tensione contro le autorità russe, decise ad opporsi
mentre la Cina rimane appostata valutando la situazione, ma riluttante a
fidarsi di Washington… Ricordiamo che la Cina è interessata tanto
quanto la Russia al Medio Oriente: il primo segno d’interesse risale al
1958, durante la crisi in Libano che portò allo sbarco statunitense
sulle coste libanesi, intervento cui si oppose aspramente, ben più
dell’URSS. Tali manovre statunitensi sono particolarmente ben rodate,
essendo un meccanismo relativamente semplice; si creano presunte ONG per
i diritti umani, incoraggiando certi “allarmisti” e fornendo una sede
ad oscuri oppositori senza spessore, creando nel momento opportuno le
condizioni per destabilizzare un Paese. Questo è un lavoro che si
prepara per anni. Fu sperimentato durante la Guerra Fredda, l’esempio
più eclatante è il Cile, continuando fino ad oggi con le famose
“rivoluzioni colorate” e, più recentemente, con la “primavera araba”. Le
stesse azioni sono in preparazione in altri Paesi che appariranno sui
titoli di giornale, specialmente in Azerbaijan. E’ in tale contesto che
scoppiarono le “manifestazioni” in Iran nel giugno 2009, con il pretesto
del condizionamento dell’elezione del Presidente Mahmud Ahmadinejad. La
Repubblica islamica dovette affrontarle per quasi nove mesi. Hezbollah
inoltre subì l’attacco israeliano per 33 giorni e un nuovo complotto
del governo per privarlo dello strumento direttamente correlato alla sua
sicurezza, cioè la rete di comunicazione. La sua risposta rapida ed
efficace del 7 maggio 2008 fu considerata dai cospiratori un affronto,
essendogli stata resa la pariglia!
Non restava dell’”Asse della speranza” che la Siria, cui venne intimato
dagli statunitensi che se non rompeva i rapporti con Iran ed Hezbollah,
avrebbe subito la sorte degli altri Paesi arabi colpiti dalla
“primavera”, che invece di portare le rondini della democrazia, portava i
corvi del terrore e dell’instabilità. E’ in questo contesto che le
famose “rivoluzioni colorate” colpiscono la Russia attraverso l’esempio
ucraino. Queste rivoluzioni hanno fatto perdere alla Russia la maggior
parte del suo campo strategico. Furono utilizzate dall’Europa (UE), che
vuole accogliere gli ucraini con la promessa di migliori condizioni
economiche e di aiuti. Ma in realtà, tali eventi hanno permesso agli
Stati Uniti d’imporre basi militari alla periferia di Mosca. All’epoca
la Russia, indebolita da un potere che non aveva né ambizione né
spessore, non poté rispondere. La Russia di oggi non può accettare che
ciò si riproduca in Ucraina. Ciò spiega la sua reazione immediata. La
sua reazione è, nonostante le apparenze, conforme agli esempi in Medio
Oriente, dato che l’idea è dire che la democrazia non si esercita nelle
piazze, ma conquistandosi i voti. Se l’opposizione vuole prendere il
potere, dovrebbe farlo con le elezioni. Al di là di ciò, la Russia,
appena uscita dall’aggressione in piena regola delle milizie cecene che
hanno portato morte e terrore nel suo territorio, con il sostegno
finanziario di certe monarchie del Golfo, ovviamente difende i suoi
interessi. Questo spiega la velata minaccia dei sauditi: “Potremmo
evitarvi la minaccia del terrorismo a Sochi, se abbandonate la questione
siriana”. Gli è stato riposto con irricevibilità, ovviamente. In ogni
caso, tutto ciò dimostra sia il ruolo delle monarchie del Golfo che
l’uso dei movimenti islamisti nel sostenere occultamente la politica
degli Stati Uniti di destabilizzazione di certi Stati, ritenendo di
crearsi condizioni favorevoli nella regione.
L’asse Beijing-Beirut, via Mosca, Teheran e Damasco potrà solo divenire
più forte. Si tratta per ognuno di essi di sopravvivenza. Secondo un
proverbio orientale: “Non mettere nell’angolo un gatto, rischi di
vederlo trasformarsi in una tigre”, ma se si vuole mettere nell’angolo
una tigre? Certamente nessuno vorrebbe sapere la risposta.