Il Fallimento di un’Idea chiamata “Europa”
La società civile europea, in ognuna delle nazioni, è perfettamente cosciente della provvisorietà della sua situazione.
La storia in europa non è terminata, tale compimento è immaginabile
solo presso i popoli che incarnano un’ideologia – per natura impaziente,
per natura isolata dalla realtà, per natura convinta che il popolo in
questione è fin d’ora pervenuto alla fine dei tempi.
Siamo un popolo che ha una coscienza escatologica, siamo gli eletti della nostra Heilsgeschichte.
Non è questo però il caso delle nazioni europee, immerse nella storia: esse sanno che lo stato non ha molto a che fare con il museo delle antichità caro a Friedrich Engels e sanno pure che la Chiesa è capace di giocare su parecchi piani. E poi, gli europei che pensano sanno anche perfettamente che il segreto della politica è questo gioco su diversi registri istituzionali, che il più machiavellico degli uomini di Stato è assoggettato alle forze della storia, forze di cui non è mai veramente padrone.
Nel momento della disfatta della concezione teocratica (a Mosca) e nel momento dell’apparente vittoria della concezione liberale (a
Washington), l’europa dice sottovoce a se stessa che la seconda seguirà
la prima nell’oblio e – di conseguenza – che non bisogna contare troppo
sull’immortalità della società civile in quanto futura linea di forza e
modello.
Ma c’è di più. All’orizzonte dei decenni che si aprono davanti a noi, si profila una sorta di campo di battaglia tra la concezione liberale di tipo americano e la concezione nazionale. E’ segno di buona educazione scommettere in favore della prima i cui prodotti palpabili sono ingurgitati fino al vomito. Dentro di sé, l’europa sa che sono cose effimere, che Vico e Hegel avranno
l’ultima parola perché la loro tesi distingue tra corsi e ricorsi, tesi
e antitesi. E’ sempre la dialettica – concetto essenzialmente europeo –
definito già da Eraclito ed Empedocle nella notte dei tempi.
In questo campo di battaglia, la nazione deve prevalere sull’internazionalismo, che – nella sua versione moscovita o americana – equivale alla morte dell’europa.
Convegni, tavole rotonde, conferenze, opere sono consacrate a questo
tema, il che è segno di una inquietudine, di un’incertezza.Dietro a questo fenomeno, ci sono sei decenni di propaganda sorniona contro l’idea di nazione e per l’internazionalismo che dissolve le identità, cancella i simboli ed instaura il regno della merce e delle nozioni riducibili a slogan. Questa è l’ultima parola del liberalismo che ha dietro di se un potente motore, l’America.
Perché l’egemonia della società liberale ha dei limiti nella durata. A dire il vero, vale anche per lo stesso liberalismo.
Ma, l’uno o l’altra, sono rafforzati dagli Stati Uniti che ne sono
tanto più sostenitori in quanto non hanno mai conosciuto altro, un’altra
combinazione, un altro regime, un’altra concezione politica, un’altra
idea.
Essi mettono in opera tutta la loro energia per creare un pianeta cosiddetto liberale,
per la maggior gloria del loro modello, della loro formula. E’ dunque
una lotta mortale tra un’America liberale ideologicamente monocroma e
un’europa accogliente delle differenze, delle immaginazioni, delle
culture: in una parola, delle nazioni.Una volta stabilito che parlare di un modello equivale - per l’europa – al suo asservimento (perché l’europa non è una e non ha bisogno di modelli, altro termine per designare l’uniformità), torniamo indietro per esaminare quello che l’America riserverebbe ad un continente omogeneizzato.Ho sottolineato, come un dato estremamente importante, il fatto che l’America – al contempo - ignori la storia
e sia indottrinata a concepirla solo in termini di mali che bisogna
soprattutto evitare e che i suoi antenati hanno evitato, appunto. Gli
stessi padri fondatori conoscevano solo una storia aggiustata secondo le
loro idee: quella delle libertà britanniche contro l’arbitrio
regio e degli annali di Roma che li avvertivano dei pericoli che il
Senato correva di soccombere al principato dei Cesari. Fin dall’inizio –
di conseguenza – la storia degli Stati Uniti si sviluppa sulla base del
principio di combattere sempre il regio-cesareo, cosa che i dirigenti
del paese realizzarono estendendo la democrazia liberale fino ai limiti del grottesco: svestirsi in pubblico è assimilato alla libertà politica del cittadino, bruciare la bandiera anche.Non rimane dunque più spazio per il buon gusto, la
decenza, le buone maniere, per la morale ed il patriottismo: tutto deve
cedere, tutto deve essere misurato alla stregua dell’atto individuale,
del capriccio, del volgare. In poche parole, all’arbitrio di Cesare si è
sostituito quello dell’uomo medio. L’uno è destabilizzante e
demoralizzante quanto l’altro.
Ciò che resta come criterio di tutti i comportamenti, è l’efficacia-successo del business, terreno neutro, quello della redditività. I valori americani scaturiscono dall’intesa su questo minimo denominatore che i portavoce del liberalismo - perfetti conoscitori della materia – formulano e giustificano.
Cosa dicono Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek, Karl Popper,
tutti europei maturati, per buone ragioni, in America, rappresentanti
di quelle tentazioni che furono state rimosse dal suolo dell’europa?
Questi economisti liberali ed i loro interlocutori filosofici, affermano che la nazione è un’idea vaga, che l’uomo appartiene solo a se stesso, che l’appartenenza ad una razza, ad un linguaggio, ad un paese è secondaria (Mises) e che le frontiere sono obsolete perché solo la mobilità della merce conta. Hayek vede il grande merito del libero mercato nel fatto che non riconosce alcuna finalità (società liberale priva di telos), se non la felicità personale.
Ma quale tipo umano produce questa formula che si dice non ideologica? La risposta ce la fornisce Henri Lapage ne “Pourquoi la propriété“. Una vera e propria truffa intellettuale
perché la sua formula è fondata sull’irreale, su una contro-verità.
Tranne alcuni stravaganti irresponsabili, nessuno può sostenere che
l’uomo non dipende da nessuno perché – in verità – lungo tutta la sua
vita egli dipende dagli altri, da persone fisiche o morali: nella sua famiglia, la sua istruzione, il suo lavoro, la sua vita sociale, nell’utilizzazione del suo stesso linguaggio (quest’ultimo, quello che l’idea europa non ha mai avuto né potrà mai avere).
La vita in comunità è fondata su un ordine sociale già esistente con
diritti ed obblighi radicati nella natura umana. La teoria del
contratto, base e principio del liberalismo ed avente la sua origine in Hobbes piuttosto che Rousseau, dissolve i legami diversi da quelli dell’interesse materiale e momentaneo di ciascuno ed instaura delle partnerships tra uomini estranei gli uni agli altri e che restano tali.
E’ quindi evidente che gli Stati Uniti non “vendono” unicamente un sistema economico o un modello sociologico,
ma una visione totale del mondo che costituisce un blocco. In questo
monolito ideologico, il capitalismo figura allo stesso titolo della
cultura di massa. E le pratiche ugualitarie, allo stesso titolo del pluralismo. Sarà bene sottolineare che il popolo che vuole “acquistare”
il modello americano, porta via egualmente gli accessori, essendo la
merce indivisibile. Prendere o lasciare, ma – appunto – non c’è scelta:
bisogna prendere. La merce arriva in un pacco ben confezionato: il
sex-shop così come il diritto per lo studente. Uguale.
L’europa è costretta a fronteggiare una situazione simmetrica a quella che la sua metà dell’Est ha conosciuto sotto il regime marxista. Teocrazia marxista e liberalismo americano rappresentano
una rottura d’equilibrio: in favore dello Stato o in favore della
società civile. Con l’arretramento del primo modello, il secondo
accumula degli atout.“La scommessa di due secoli è vinta, il pianeta si installa in uno dei modelli, la storia ormai si ferma“, ecc. – Fukuyama ripete ciò che disse Stalin nel
1934! Dopo 17 anni di regime sovietico, questi dichiarò che la storia
finiva e che in futuro sarebbero bastati piccoli aggiustamenti al
vertice – ossia da parte del Politburo – per far funzionare la grande macchina comunista lanciate sulle sue rotaie.
Abbiamo a che fare con un’escatologia laica. Anche l’impero romano-germanico medievale credeva di essere – è bene ricordarlo – “fine della storia“, sfociante direttamente nella salvezza in quanto parte della storia sacra. Hitler, in fondo, con il suo Terzo Reich che doveva durare mille anni, non ragionava diversamente.
Ciò che soprattutto ci interessa, è che il millenarismo gode
di buona salute e che un impero considerato pragmatistico e mercantile,
pensa se stesso secondo lo schema di tutti gli altri imperi ideologici
passati e presenti.
Questo avvenire escatologicamente concepito, bloccò infatti nel XIX secolo l’appellativo di nazione, come blocca nel XXI secolo l’appellativo di impero. Il fatto è che questi due concetti si inseriscono sempre nel corso della storia, non ne propongono affatto la fine.
Infatti, gli Stati Uniti non sono né una nazione né un impero:
tendono le braccia (come la loro statua all’ingresso di New York) verso
l’umanità accogliendo tutti i membri o – dovrei dire – ogni unità
perché l’arrivo su quei lidi abolisce automaticamente sia il passato sia le sue distinzioni.
Più importante del passato c’è l’avvenire, l’edificazione di un’umanità nuova,
fondata su altri postulati e che fissa il suo sguardo su un altro
orizzonte. Perciò gli Stati Uniti sono costretti ad inventare concetti
di coesistenza nuovi che mostrino la novità dei rapporti tra gli uomini.
Il termine più adeguato è ancora “società“, mentre la storia di questa società cede all’espressione american experience.Termine che suggerisce l’apertura a sempre più democrazia, uguaglianza, pluralismo e benessere. Mosca non diceva nulla di diverso quando i corifei del Kremlino distinguevano accuratamente tra la fase intermedia “socialista” e la fase ultima “comunista“: dove tutte le imperfezioni e le contraddizioni avrebbero trovato il loro rimedio.
In europa, le radici classiche e cattoliche sono più potenti di
quanto non si pensi e lo Stato-nazione è il loro prodotto. Come dire che
– malgrado le apparenze – le società civili in europa sono inquadrate
dallo Stato e che il sentimento nazionale è conservato con l’aiuto
spontaneo degli avvenimenti stessi.
Inutile negare che, sotto la pressione dell’ideologia liberale e
della struttura sociale da essa realizzata, l’indebolimento di queste
forze – statale, nazionale e religiosa – prosegue, con
sforzi sempre rinnovati. Tuttavia, per quanto quasi sotterranee, le
forze tradizionali continuano a resistere alle devastazioni dell’ideologia liberale animata da velleità totalitarie.
Il liberalismo ci fornisce ogni giorno prova di quanto le sue ambizioni superino il terreno dell’economia, lanciandosi alla conquista della società civile in un primo tempo, poi dello Stato e – per finire – della Chiesa.
Nel corso di questo processo, il liberalismo si
è pensato sempre di più come una formula di abolizione della storia.
Dunque, come un’escatologia, una religione laica. Questo processo si è
evoluto parallelamente con il marxismo e
non è escluso che la lotta mortale contro quest’ultimo, accelererà la
maturazione liberale dando luogo a forme eccessive, americane.
Ora – più il modello americano è considerato esclusivo, del successo
di ogni cosa – più i paesi che l’adottano, saranno condizionati ad
uscire dal loro quadro nazionale. Il pericolo, un pericolo dalle
dimensioni storiche è imminente e si potrebbe dire che il secondo atto
di un’impresa – che fu prima marxista – è mirante ad abolire le forze che resisteranno al rullo compressore del materialismo livellatore.
In ultima analisi, lo spirito del secolo, se non della modernità, è stato questo:
cambiare la condizione umana e la storia con l’ausilio di due potenze ideologiche, estranee all’europa, ma che si sono assegnate il compito di alienare l’europa da se stessa.
Il grande metodo consiste in una dissoluzione del doppio quadro del
pensiero e delle sensibilità formate dallo Stato-nazione e dalla
religione-Chiesa. Il pretesto del loro smantellamento è il fatto che l’uno e l’altro hanno generato nel corso della storia forme eccessive. Hanno fatto altrettanto, liberalismo e socialismo a partire dalla loro posizione di forza. Tutto ciò che è umano aspira al potere (libido dominandi):
questa tendenza non è appannaggio di una sola scuola di pensiero, di un
solo movimento. Resta da sapere quali sono i mezzi di resistenza al
maremoto ideologico che – tramite marxismo e liberalismo – infierisce sull’europa. Perché, affermare che è uno Zeitgeist al quale sono stati fatti indossare tanti abiti, non vuol dire niente.
Il marxismo lo è stato nel 1930 – benché abbia dovuto dividere il proscenio con il fascismo – e il liberalismo ha
già 150 anni dietro di sé. Il cambiamento non avverrà dall’interno del
sistema, dalle sue cosiddette contraddizioni. Al contrario: gli
avvenimenti dell’Est lo dimostrano.
Con l’aiuto di una propaganda incessante, assieme agli utili
idioti non pensanti del popolo, l’ambiente imperante ci persuade che il
sistema – qualunque sistema si conosca dall’interno - è naturale quanto
la natura – e che le cose sono così e non altrimenti. Il cambiamento
avviene dall’esterno: nel caso dell’europa, dalla sua parte orientale.Un Brzezinski, un George Pilder, un Peter Drucker – per esempio – si ispirano al miracolo tecnologico e tecnostrutturale, preconizzando un pianeta le cui “unità”
non saranno più nazioni, imperi e popoli sovrani, ma banche giganti,
transnazionali, laboratori elettronico-spaziali. Ecco ciò che soddisfa
l’immaginazione della destra-sinistra: una sorta di ritorno della
dottrina di Saint-Simon, fusa con le trovate di Marshall McLuhan.
Tutte le tendenze utopistiche dei secoli passati si ritrovano e si
spalleggiano in questa nuova e meschina ideologia che – nel migliore dei
casi – si ispira a Jules Verne.
Il caso degli Stati Uniti è quello di una società (né Stato, né religione, né spessore storico)
isolata dal pianeta, creata con l’intenzione di salvare il genere umano
dal peccato e dai suoi frutti: miseria, malattia e servitù.
Si tratta dunque di un’ispirazione religiosa (calvinista),
della trasposizione del trascendente nell’immanente, del sacro nel
profano. Il contenuto originario della fede è svanito, ma lo zelo del
missionario resta intatto: invece di condurre gli uomini a Dio, bisogna
condurli alla democrazia. Avviene qui un malinteso tragicomico.Questa democrazia non è ateniese, nemmeno giacobina, non è proprio una nozione politica.
E’ imposta come vissuto, una virtù, un modo di vita ed un modo di essere. Democrazia della
famiglia, nell’aula scolastica, in chiesa, nei gruppi e nelle
associazioni, nelle procedure giudiziarie. Al contrario, la parola
demonizzata sarà l’autorità, perché “in nome di cosa esercitarla“?
Da qui: uguaglianza, livellamento, uniformazione, spersonalizzazione,
demitizzazione. Ne conseguono: rapporti umani resi asettici seguendo le
formule in voga, un conformismo immediato e totale perché il “non conformista” diventa ipso facto immorale, insano, peccatore, maturo per l’ostracismo. Ieri era ritenuto troppo incline al sesso, oggi non abbastanza.
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