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sabato 8 dicembre 2012
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20120104
Gabinetto Monti è un governo o un Ufficio Straordinario? I dubbi di
carattere costituzionale sul modo in cui è avvenuto il passaggio dal
Governo Berlusconi a quello di Mario Monti
Gabinetto Monti è un governo o un Ufficio Straordinario? I dubbi di carattere costituzionale sul modo in cui è avvenuto il passaggio dal Governo Berlusconi a quello di Mario Monti
di Mario Esposito Professore straordinario di Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento Prima,
durante e dopo l'ultima, singolare crisi di governo si è da più parti
sostenuto, con diversità d'approccio e di accenti ma con comune esito
diagnostico, che essa sarebbe stata determinata dalla cosiddetta
“sfiducia dei mercati” nei confronti dell'indirizzo politico intorno al
quale si era formata e poi mantenuta, sia pure con modifiche nella
composizione, la maggioranza parlamentare che aveva sostenuto il
Gabinetto Berlusconi. Se così fosse, saremmo di fronte ad un evento
costituzionale nuovo sia nella sostanza sia nella forma: i mercati -
espressione lessicale (almeno dal punto di vista giuridico) generica e
imprecisa - non rientrano tra i soggetti che, a vario titolo, danno
impulso ovvero partecipano o, ancora, risolvono le crisi di governo. E,
sotto altro profilo, lo svolgimento e la soluzione della successione tra
l'Esecutivo Monti e quello Berlusconi espongono, come si vedrà,
peculiarità tali da non poter essere pacificamente ricondotte alla
fisiologica dinamica della vigente forma di governo. È noto, d'altra
parte, che i recentissimi fatti istituzionali sono effetto di
trasformazioni che, coinvolgendo i radicali delle organizzazioni
statali (e in primo luogo la sovranità, ormai divisa, a dispetto di un
insegnamento antico e sempre valido, tra versante attivo e versante
passivo: il primo imbrigliato nella complessa costruzione europea,
ancora in larga parte dominata dalle logiche pattizie internazionali; il
secondo affidato, viceversa, alle sole forze dei singoli Stati) hanno
già dato luogo a gravissimi problemi e, soprattutto, all'assoggettamento
delle collettività nazionali ad influenze (apparentemente almeno)
adespote e comunque eteronome. Corrispondentemente, nella
pubblicistica corrente la descrizione degli eventi politici è stata
sovente doppiata dal ricorso a termini propri di una condizione di
guerra, ad esempio qualificando il Ministro dell'Economia come Ministro
della Difesa o, ancora, sottolineando la funzione del Presidente della
Repubblica quale reggitore dello Stato nelle condizioni eccettive
determinate da deflagrazioni belliche. Le fasi che hanno condotto al Gabinetto Monti In
tale scenario, merita allora di essere, sia pur rapidamente, "glossata"
la successione delle fasi che hanno condotto alla formazione del
Gabinetto Monti, seguendone lo sviluppo attraverso i comunicati
ufficiali della Presidenza della Repubblica. In breve tempo, infatti,
il Presidente della Repubblica, che già aveva più volte intrapreso
un'azione di stimolo delle misure da lui ritenute necessarie per
corrispondere alle richieste dei mercati finanziari, ha indotto lo
spostamento dell'obiettivo dalla natura dei provvedimenti da adottare
alla composizione soggettiva del Gabinetto e della sua maggioranza
parlamentare, con la conseguente apertura della crisi di governo prima e
persino a prescindere dalle condizioni formali che, alla stregua della
Costituzione e della prassi di questa integrativa, ne sono presupposti. La nomina di Monti a senatore a vita Il
9 novembre 2011, quando ancora il Presidente del Consiglio non aveva
rassegnato le sue dimissioni, il Presidente della Repubblica ha nominato
senatore a vita il prof. Mario Monti, futuro Premier. Tale atto
potrebbe essere interpretato come tentativo di dare legittimazione
parlamentare al designando (ma già probabilmente designato in pectore),
tenuto conto della vigente disciplina elettorale, in forza della quale,
avendo la coalizione vincente già un "capo", per tale predeterminato
dalle forze politiche che vi aderiscono, è ristretto l'ambito di
discrezionalità del Presidente della Repubblica nell'individuazione
della persona cui conferire l'incarico per la formazione del Governo. Si
tratterebbe allora di un preincarico in forma di nomina senatoriale,
che non sarebbe valso, però, ad attingere il risultato sperato, dal
momento che - come appare evidente - l'indicazione elettorale del capo
della coalizione proviene dai cittadini e non può essere certo surrogata
dal, sia pur autorevolissimo, munus di cui all'art. 59 Cost. D'altra
parte, la nostra Costituzione non richiede affatto che il Presidente
del Consiglio ed i Ministri siano altresì parlamentari. Le ragioni
della investitura senatoriale di Mario Monti vanno allora cercate
altrove. E probabilmente nel fatto che i senatori a vita, data la nomina
presidenziale, sono assolti forse dal vincolo di mandato verso il corpo
elettorale, che non li ha espressi, ma correlati da vincolo fiduciario
col Capo dello Stato, personalmente, fin quando duri in carica chi ha
proceduto alla nomina, e successivamente e comunque con la figura
istituzionale, da chiunque incarnata. Sotto altro aspetto, questa
induzione potrebbe trovare conferma nel fatto che senatori a vita
diventano, di diritto, anche i Presidenti della Repubblica emeriti. Da dove proviene l’indicazione i Monti? Ciò
contribuirebbe a spiegare quel che, altrimenti, risulterebbe
difficilmente comprensibile: donde cioè provenga l'indicazione del prof.
Monti quale soggetto più idoneo al quale conferire l'incarico di
formazione del nuovo Governo. Dai comunicati ufficiali dei gruppi
parlamentari relativi al contenuto delle consultazioni avviate dal
Presidente Napolitano il 13 novembre non appare, infatti, alcuna sicura
paternità dell'indicazione medesima. Il Presidente della Repubblica,
il quale aveva già avuto colloqui "non protocollari" con le "maggiori
componenti delle forze politiche di maggioranza e di opposizione", ha
aperto - vi si è fatto cenno - se non la crisi in senso proprio e
tecnico, le consultazioni che la presuppongono sulla base di un semplice
preannuncio di dimissioni formulato dal Presidente del Consiglio,
peraltro condizionato all'approvazione della legge di stabilità. E
proprio in questo lasso di tempo il Presidente della Repubblica ha
provveduto alla nomina del prof. Monti a senatore a vita, quasi a voler
su di lui proiettare, in prospettiva di emergenza (più volte evocata nei
suddetti comunicati del Quirinale), una frazione delle prerogative che
fanno di lui il Capo dello Stato nei momenti di grave necessità,
allorché ha avuto contezza che la maggioranza a sostegno di Monti
sarebbe stata comparabile, sia alla Camera sia al Senato, a quella che
esprime, nel Parlamento in seduta comune, il Presidente della
Repubblica. Ma l'attivazione di questi poteri emergenziali, collegati
alle funzioni del Presidente della Repubblica quale Capo dello Stato,
implica e richiede che lo stato di crisi risulti composto da una crisi
di governo in senso proprio e dall'impossibilità di risolverla con le
procedure ordinarie. Nessun espresso voto di sfiducia Non solo,
però, non v'era stato alcun espresso voto di sfiducia - l'unica
condizione in presenza della quale il Governo è giuridicamente obbligato
alle dimissioni - ma, sotto altro aspetto, le mere dimissioni, quando
non conseguenti a sfiducia, non danno luogo all'immediata apertura delle
consultazioni, perché, per prassi ormai consolidata, il Capo dello
Stato, anche al fine di verificare se ricorra o meno la suddetta
fattispecie di crisi composta, invita il Presidente del Consiglio a
presentarsi alle Camere per spiegare le ragioni dell'atto abdicativo. Di
fatto, tuttavia - ecco un altro aspetto di peculiarità della vicenda -
ciò non sarebbe potuto avvenire, poiché, per inversione delle fasi, le
dimissioni si sono risolte in un atto esecutivo di un procedimento
iniziato ben prima, almeno a far data dal 12 ottobre, allorché il
Presidente della Repubblica si era volto ad identificare gli elementi
non più solo oggettivi, quanto piuttosto soggettivi di un nuovo
Esecutivo corrispondente alle attese, a latere creditoris (non solo del
debito, dunque, ma anche della fiducia), delle istituzioni europee,
dell'opinione pubblica internazionale e degli operatori economici e
finanziari. Le consultazioni estese a soggetti esteri Non è un
mistero che le cancellerie europee - talvolta in modo esuberante -
prediligessero l'«opzione Monti»: per parte sua, secondo quanto risulta
ufficialmente, il Presidente della Repubblica, tra il 10 e l'11
novembre, ha esteso le consultazioni a soggetti esterni all'ordinamento
costituzionale italiano e addirittura esteri (in particolare e
nell'ordine al Presidente Obama - il quale, si legge nel comunicato
quirinalizio, "ha voluto essere ragguagliato sugli sviluppi e le
prospettive della situazione politica in Italia in relazione alle gravi
tensioni tuttora in atto sui mercati finanziari" - al Presidente Wulff,
il quale "ha quindi manifestato l'auspicio che gli sforzi in atto per
dare soluzione alla crisi di Governo di fatto apertasi vadano a buon
fine", e al Presidente Sarkozy, dalla conversazione con il quale il
nostro Capo dello Stato ha appreso che la fiducia della Francia nei
confronti dell'Italia era legata alla prospettiva che il nostro Paese si
desse "al più presto un governo capace di contribuire al superamento di
una situazione che è altamente preoccupante per tutta l'Europa e in
particolare per la zona Euro"), laddove, a fronte delle menzionate
insistenze manifestate da rappresentanti di Stati stranieri, il
Presidente della Repubblica avrebbe forse potuto persino inviare un
messaggio motivato alle Camere, richiamando l'attenzione di tutte le
forze politiche sull'anomalia d'una simile evenienza. Il mutamento
soggettivo della compagine governativa non ha, poi, avuto alcuna
influenza sulla soluzione della crisi economica che tuttora
drammaticamente perdura, smentendo forse il presupposto da cui si erano
prese le mosse e rivelando che tutto stava nelle misure da adottare, che
potevano essere assunte anche dal precedente Governo. Un prezzo alto in termini di assetto costituzionale Non
sembra azzardato segnalare, allora, che il prezzo pagato dall'Italia in
questi ultimi tornanti di turbolenza non solo (e non tanto) nazionale
potrebbe essere molto alto anche in termini di assetto costituzionale. Il
Capo dello Stato, non che limitarsi a svolgere una funzione di alta
vigilanza, secondo parametri costituzionali, sulla gestione
dell'indirizzo politico di maggioranza, vi si è ingerito sino a
promuovere la rimozione del Governo Berlusconi e della corrispondente
sua formula politica, facendosi portatore di una candidatura non solo
estranea alla maggioranza (e all'opposizione), ma investita, come si è
avuto modo di dire, di un tratto fiduciario presidenziale sul quale lo
stesso Napolitano ha attivamente cercato il coagularsi di un ampio
consenso, così oggettivamente istituendo una sorta di ufficio
governativo straordinario, caratterizzato dal nesso, non solo genetico,
con la Presidenza della Repubblica. Non basta: l'estensione delle
consultazioni, in forma quasi sostitutiva, a soggetti di Stati esteri si
è subito riflessa sulla condotta del nuovo Presidente del Consiglio dei
Ministri, il quale si è affrettato a compulsare le istituzioni
comunitarie, mentre ha ricevuto la fiducia senza esplicitare il
programma, come si è appreso anche nel corso del dibattito parlamentare,
nonché, prima, all'esito dei colloqui che i gruppi parlamentari hanno
avuto con il Capo dello Stato in fase di conferimento dell'incarico: di
tal che il Parlamento sarà chiamato non già a controllare che
l'Esecutivo si contenga nell'ambito dell'accordo fiduciario, quanto
piuttosto a ratificare i contenuti che tale programma acquisirà di volta
in volta per unilaterale determinazione del Ministero. In un motto,
potrebbe dirsi che abbiamo un Governo che ha avuto fiducia sulla fiducia
e, in definitiva, al di fuori della fattispecie dell'art. 94 Cost. e
della prassi che si era ormai formata.
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