Se Letta fallisce
ci aspettiamo i manganelli dell’Eurogendfor

Rieleggere
Napolitano al Colle e puntare decisi a legittimare con una riforma
costituzionale il presidenzialismo di fatto, svuotando di poteri e
dignità il Parlamento in favore della Commissione Europea, della Bce e
del Quirinale, serve a inasprire la crisi. Confermata la linea
pseudo-neoliberista e fiscalista, gli uomini del Bilderberg, del Fmi e
dell’Unione Europea sono i primi a congratularsi, annota Marco Della
Luna. E Napolitano, col plauso di quasi tutti (inclusoBerlusconi)
incarica di formare il governissimo “senza alternative” nientemeno che
Enrico Letta, che «come economista e come politico è assolutamente
improponibile per il ruolo di premier, dato ciò che ha fatto, ciò che è
stato e ciò che è tuttora». Anche se, forse, «si capisce perché è stato
scelto», e per fare cosa: completare l’economicidio italiano.
Impossibile sperare in un miracolo. Più probabile che, invece, la
protesta per il disastro economico venga sigillata da una inaudita
repressione, affidata alla nuova super-polizia europea.
Cresciuto alla
scuola economica di Andreatta, primo grande privatizzatore del
patrimonio pubblico italiano e «autore di quella riforma monetaria che
gettò il nostro debito pubblico nelle grinfie della vorace speculazione
internazionale, facendolo raddoppiare in rapporto al Pil nel giro di
pochi anni», Enrico Letta è stato “allevato” anche da Romano Prodi,
«autore con Draghi della deregulation bancaria del 1999, che ha
consentito alle banche di giocare nella bisca dei mercati speculativi
coi soldi dei risparmiatori». Di Prodi, il giovane Letta fu anche
sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e attualmente è membro di
organismi di area Rockefeller come l’Aspen Institute e la Trilateral
Commission, nonché frequentatore del Bilderberg, «ossia dei fari
illuminanti della finanziarizzazione e della globalizzazione
dell’economia e del mondo intero», spacciata per “liberalizzazione”,
quando invece non è altro che «la fiscalizzazione dei danni da frode».
Già membro della
commissione per l’introduzione dell’euro varata nel ’94, «coerentemente
con questa linea di ingegneria finanziaria e sociale», nel ‘97 Enrico
Letta ha persino scritto un libro intitolato “Euro sì. Morire per
Maastricht”, edito da Laterza, in cui afferma che “vale la pena di
morire” per l’euro e per Maastricht, e che non c’è paese che, come
l’Italia, abbia tanto da guadagnare dall’adesione alla moneta unica,
vero paradiso in terra per gli imprenditori nostrani. «Quindi Letta,
come economista e come partecipe delle istituzioni di ambito monetario,
o non capiva dove si stava andando – e allora è un pessimo economista –
oppure voleva che le cose andassero così – e allora era ed è in palese
conflitto di interessi con l’intera nazione», protesta Della Luna. In
realtà, «non solo non aveva avvertito verso che cosa si andava con
Maastricht, col blocco dei cambi, coi vincoli di bilancio e con la
deregulation bancaria» ma, lungi dal lanciare l’allarme, «ha sempre
spinto in quella direzione e ha professato un’obbedienza rigida, fino
alla morte, verso quelle illuminate riforme», che pare abbia addirittura
contribuito a pianificare.
Siamo seri,
aggiunge Della Luna: come si fa a non sapere che, se si blocca
l’aggiustamento dei cambi tra alcuni paesi imponendo una moneta unica e
li si priva degli strumenti monetari macroeconomici (regolazione del
money supply, fissazione dei tassi), inevitabilmente si generano
squilibri della bilancia dei pagamenti che crescono fino a determinare
lo svuotamento di capitali, industrie e lavoratori qualificati a danno
dei paesi meno competitivi? Così si avvantaggiano solo i più forti, e si
aumenta irreversibilmente – anziché annullarlo – il divario tra gli uni
e gli altri. «A meno che non si costituisca e si faccia funzionare un
governo federale, con un bilancio federale che provveda alla
redistribuzione dei surplus». E come fa, Letta, a “non sapere” che non
può funzionare un sistema basato sulla Bce, che non può finanziare
direttamente gli Stati ma solo proteggere il potere d’acquisto della sua
moneta? «Non è credibile che l’enfant prodige Enrico non sapesse queste
cose e neppure leggesse quegli economisti normalmente dotati e
normalmente liberi che lo preannunciavano: perciò, quando scriveva
“Morire per Maastricht”, non poteva non avere in mente questo esito
infausto particolarmente per l’Italia».
Quindi diffidenza
radicale verso il premier incaricato: da “bocciare” «non solo come
economista, ma anche come statista, come cristiano, come uomo di
sinistra. Come uomo tout court». Ultimo frutto avvelenato del Parlamento
dei “nominati”: «La partitocrazia poteva salvarsi solo garantendo gli
interessi dei poteri forti internazionali sull’Italia», sostiene Della
Luna: già nel 2006, Napolitano aveva apposto la sua firma accanto a
quella del premier Prodi, sulla riforma dello Statuto della Banca
d’Italia, «riforma reclamata da Draghi per legittimare la piena
proprietà privata della stessa Banca d’Italia», che poi infatti «si è
mossa o non mossa come abbiamo visto nel caso Mps». Siamo di fronte alla
«avanzata privatizzazione di un potere pubblico sovrano, quello
monetario». E arriviamo al fatidico novembre 2011. Sempre Napolitano,
«su richiesta della Merkel e di altri», ha sostituito Berlusconi con
Monti, sostenendo poi in modo vigoroso tutta la micidiale politica
finanziaria ed economica dell’uomo della Goldman Sachs, «pur vedendo i
disastri» inferti al paese dalla stretta “obbedienza” ai diktat della
Germania.
Poco dopo aver
concesso la grazie all’agente Cia Joseph Romano, già condannato per il
rapimento illegale sul suolo italiano del mullah Abu Omar, ferocemente
torturato in Egitto nonostante fosse estraneo al terrorismo islamico,
Napolitano proietta ora verso Palazzo Chigi un uomo come Letta,
“allievo” di eurocrati protagonisti delle riforme più perniciose per il
paese. Padrini occulti di Letta, i potentati supremi dell’élite
mondiale: «Tutti organismi di segno neoliberista, legati alla grande
finanza apolide e propugnatori dei progetti “illuminati” della migliore
cultura massonica». Molti, aggiunge Della Luna, sentivano il bisogno di
un presidente della Repubblica che facesse gli interessi del popolo
rispetto a quelli del capitalismo privato, e dell’Italia rispetto a
quella degli stranieri, ma «sono stati frustrati». E ora a Napolitano si
chiede di farsi garante dei rottami della partitocrazia e, al tempo
stesso, di assicurare «l’obbedienza dell’Italia alle potenze dominanti e
a una politica economico-finanziaria suicida, che avvantaggia il
capitalismo bancario straniero a danno degli italiani».
E’ proprio a
questa richiesta, sostiene Della Luna, che si deve il suo successo e la
sua rielezione. La cattiva notizia è che tutto questo – al di là della
volontà dello stesso Napolitano – deriva ineluttabilmente «dai vincoli
gravanti sull’Italia nel contesto e nella gerarchia internazionale». Non
è improbabile, aggiunge l’analista, che «Napolitano per primo deplori
ciò che è costretto a fare», e che al tempo stesso «stia cercando di
limitare le sofferenze degli italiani, nel corso di un processo che non
ha avviato e che non può arrestare». La situazione intanto volge al
peggio, l’economia italiana sta crollando e la nomenklatura mummificata
dei partiti ha tempo «un anno e mezzo al massimo» per tentare di
rilegittimarsi attraverso un rilancio dell’economia e dell’efficienza
del sistema paese. Viceversa, potrebbe «allestire un apparato
autocratico di repressione e di intimidazione poliziesche con cui domare
l’inevitabile rabbia di popolo, chepotrebbe sfociare nella prima
rivoluzione italiana», ovvero «la prima azione collettiva unificante e
fondatrice di una unità nazionale italiana» vera e propria.
Qualcuno pensa
davvero che, fra altri sei mesi di peggioramento economico, si potrà
governare gli italiani con le buone? «In Italia – ricorda Della Luna –
la ragion di Stato è ricorsa alle stragi terroristiche per delegittimare
il dissenso radicale su temi socio-economici in altri periodi critici».
Premessa: «Vorrei poter pensare che un governissimo di scopo, o un
governo di unità e salvezza nazionali, possa rilanciare l’Italia, forte
della straordinaria ampiezza della sua maggioranza; e non posso
escludere, onestamente, che sia questo il disegno anche di Napolitano,
oltre che dei capi di Pd, Pdl e “Scelta Civica”». Ma si tratta,
purtroppo, di una pia illusione, perché «la continuazione sulla linea
del rigore suicida è stata confermata, il programma dei partiti in campo
e quello dei “dieci saggi” è risibile in rapporto ai problemi economici,
e del resto gli strumenti per una diversa politica finanziaria mancano,
essendo stata ceduta la sovranità non solo monetaria, ma anche fiscale e
finanziaria, ed essendo stato eretto a norma costituzionale il dogma
monetarista».
A questi partiti
manca la necessaria competenza tecnico-economica: i loro uomini non
provengono certo da una scuola virtuosa. Piuttosto, sono ferratissimi in
materie come la spartizione delle poltrone, di cui un governissimo è
l’habitat ideale. Abbondano, invece, gli strumenti operativi per il
Piano-B, quello della repressione: messi a disposizione dal Mes, il
Fondo salva-Stati, nonché dal Trattato di Lisbona. Si profila un ruolo
inedito per l’Eurogendfor, il corpo di polizia militare polivalente. E’
una milizia europea anti-rivolte, approvata da tutto il Parlamento
italiano il 9 marzo 2010 nel silenzio totale dei media. Di stanza in
Italia, Eurogendfor è composta esclusivamente di corpi militari e non
civili, è sottratta alla normale responsabilità e giurisdizione, e per
ora può agire senza limitazioni, utilizzando anche armamenti sub-letali
come i gas tossici e le armi elettromagnetiche e acustiche. «E’
sostanzialmente un corpo di polizia quasi-militare straniero che il
Cimin, comitato dei ministri degli interni europei, farà invitare dai
governi sul cui territorio vi siano tensioni sociali, specialmente
dovute a proteste popolari contro le misure economiche e fiscali imposte
a tutela della grande finanza, come già avvenuto in Grecia». Non è un
esercito comune e paritario dei popoli europei, creato per difendersi da
possibili attacchi esterni: «E’ l’esercito dei banchieri e dei paesi
creditori, creato per tener sottomessi i popoli debitori, farli pagare e
prendergli i risparmi e i redditi», dice Della Luna.
«Immaginatevi
reparti di polizia militarizzata formati di tedeschi mandati contro una
sommossa popolare di italiani disperati e rovinati dalle politiche
finanziarie fatte in obbedienza a Berlino e nel suo interesse». Militari
tedeschi, che già «vedono gli italiani come gente con poca voglia di
lavorare», gente che «minaccia il loro benessere e la loro egemonia».
Soldati tedeschi che sanno benissimo che, «per ciò che faranno, non
saranno soggetti a giudici italiani», consapevoli che il governo
italiano dipende da quello di Berlino per poter continuare a sostenere
il suo debito pubblico. «Quanti scrupoli avranno, a tirare il
grilletto?». Quelli che hanno firmato l’adesione-sottomissione
dell’Italia all’Eurogendfor, continua Della Luna, sono gli stessi che
poi vanno solennemente a commemorare le vittime di Marzabotto, di
Sant’Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine. Da “Morire per
Maastricht” a “Uccidere per Maastricht”? «L’Italia neorepubblichina fa
leggi per legittimare chi la dovrà occupare». Conclude amaramente Della
Luna: «I miei lettori sanno che io raccomando l’emigrazione e sono
convinto che gli italiani siano incapaci di una ribellione politica – e
proprio per questo i politici italiani possono permettersi di fare ciò
che fanno. Con i francesi, gli inglesi o gli americani, non si
azzarderebbero».
Fonte:
libreidee.org